sabato 17 dicembre 2016 - Enrico Campofreda

Siria | Due uomini di fronte ad Aleppo

Due foto dalla Siria. In una c’è l’uomo posato, lo statista, secondo altri il satrapo, parla di vittoria storica per la ripresa della sua Aleppo che non gli era amica ben prima che ribelli e jihadisti ne facessero una frontiera contro il suo potere.

Lui è nel Palazzo di Damasco, protetto da guardie fidate, una casta chiamata élite; da lì continua a difendere il ruolo di Presidente di una Siria in dissoluzione. Non solo e tanto perché i giocolieri del Medio Oriente vogliono disarcionarlo e complottano contro di lui. Ma perché un pezzo di quel popolo che deve governare – quello islamico e sunnita – gli ha girato le spalle e ne contesta i privilegi. Non è tutto così semplice e schematico nel Paese che ha una ricchissima storia antica e una moderna, percorsa da eventi ordinari prima che luttuosi. Però non è sul cammino e sulle cause di quella che, definita guerra civile e diventata da tempo carneficina, si soffermano queste righe. Vanno diritte a quel che c’è dietro le foto, una visione sfavorevole al siriano senza Siria e senza futuro, rattristato nella prossima condizione di profugo in patria o fuori.

Quest’uomo disperato piange per un’esistenza che non ha più o non potrà più avere, seppure l’altro, il Presidente, fiducioso nella vittoria finale gli promette di rilanciare la nazione più forte e bella di prima. Comunque l’uomo con la kefia è impaurito. Magari teme le vendette dei lealisti, che potrebbero considerarlo un ribelle, un fiancheggiatore diretto o indiretto del jihadismo che ha distrutto la Siria del tempo recente. Niente può essere come prima in una nazione che conta 400.000 cadaveri, sette milioni di profughi, un territorio diviso in quattro o più aree controllate da signori della guerra con gli scarponi in terra, mentre sulle teste volano i controllori del cielo dispensatori di morte. Siriani disperati, ad Aleppo e in ogni scenario di guerra, sono rimasti intrappolati per mesi, per anni, ostaggi delle fazioni. Avevano la sola colpa d’essere nati in quei luoghi non volerli abbandonare. Se i due uomini mai dovessero guardarsi potrebbero parlare? E dirsi cosa? Cosa può raccontare questo Presidente a un cittadino, che lui vuole suddito, per motivare il disastro in corso e la rinascita d’una nazione?

Una soluzione, ventilata dai suoi nemici, è quella d’un suo farsi da parte, rinunciare a una carica che non ha più senso se non per sé e i suoi fan, che non sono l’intero popolo siriano. Milioni ormai sparsi in cento rivoli di dolore. Ma l’uomo posato, e soprattutto i suoi protettori, escludono un simile passo, che ovviamente può favorire i nemici. Così tutto è stato fermato tranne la morte. Quella di chi combatte sui vari fronti, l’odiato ribelle multiforme, e quello dei fedeli al Capo non più di Stato bensì di clan. Soprattutto non s’è fermata la fine di chi ha l’unica colpa di non parteggiare per nessuno. Gente odiata ancor di più, perché quei volti smunti di bambini frastornati, donne straniate, vecchi marciti nella polvere, rappresentano un peso per ogni combattente. Sono la zavorra con cui i prigionieri di ideologie e teologie non vogliono fare i conti; secondo propri fanatismi, a ogni costo, non vogliono chiudere anzitempo il conflitto. Non vogliono perché sanno che la soluzione finale non gli darà scampo, perciò tormentano gli inermi dicendo di difenderli. Se in Siria muore ogni pietà, non siamo fra coloro che lo giustificano e assolvono combattenti e mandanti. Su questi pesa il giudizio della Storia che scrive il suo epicedio solo per i civili. 

Enrico Campofreda, 16 dicembre 2016

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

 



8 réactions


  • Persio Flacco (---.---.---.195) 17 dicembre 2016 13:39

    Sulla tragedia siriana è in atto una colossale opera di rimozione. Tutti sono in grado di capire che se il regime di Bashar al-Assad cadesse la Siria diventerebbe un inferno tale da far apparire la sua attuale terribile condizione come desiderabile.

    Il regime siriano, con tutti i suoi difetti e le sue colpe, è l’unico a poter garantire che la Siria non cada nel baratro della barbarie assoluta. Dunque è del tutto ipocrita chi, affettando trepidazione per la sorte della popolazione civile, continua ad omettere questa basilare verità.
    Eppure di questo nessuno tiene conto. Non i mass media, non gli analisti, non i commentatori, non i decisori politici e nemmeno l’autore dell’articolo che sto commentando.
    Questa colossale rimozione non riguarda solo i siriani, il cui destino per i decenni futuri dipenderà dall’esito dello scontro in atto, riguarda anche noi: i cittadini del mondo occidentale, che ci troviamo a toccare con mano gli effetti di un potere assolutamente reale ma sfuggente, indefinibile, che può imporre ad una pletora di fonti informative, teoricamente variegata e pluralista, l’omissione di una componente fondamentale della realtà in cui viviamo.
    Non è la prima volta che succede di vedere all’opera questo potere, ma da qualche anno a questa parte è praticamente scomparsa ogni forma, sia pure residuale, che gli si opponeva.
    Alle persone non rimane che la Rete: un ambiente nel quale il pluralismo e il senso critico ancora esistono, e la necessità di documentarsi in proprio.
    Non c’è quindi da meravigliarsi se dal basso sta montando un onda di rifiuto verso i mass media, il mondo della politica, quello della cultura ufficiale. 

    • Enrico Campofreda (---.---.---.253) 17 dicembre 2016 17:49

      Signor Flacco, da anni seguo le vicende mediorientali scrivendo anche sulla rete, perché le posizioni che esprimo non sono consone alla linea mediatica di cui anche lei parla. Sullo strazio siriano, che pur riconosce, con cause e concause divise fra il regime clanista degli Asad (mica diverso dai Mubarak, e ora Sisi, Ben Ali, Saddam, Gheddafi) e il fondamentalismo jihadista (sostenuto certamente: 1. dall’imperialismo militare ed economico, 2. sviluppato in maniera autonoma da almeno due o tre tendenze dell’Islam politico che comunque va studiato, seppur siamo in totale disaccordo sugli obiettivi che si pone, 3. eppure aiutato dall’implosione ormai pluritrentennale del sedicente socialismo arabo modello baathista) non riesco a vedere logiche del meno peggio. Anche perché oggi, in quel che resta della Siria, il peggio del peggio lo produce questo gioco criminale riversato totalmente sulla pelle del popolo siriano. Chi dice di difenderlo - da ogni parte, anche quella delle potenze mondiali che vogliono il cambio o il consolidamento di regime - mente. L’ho scritto, lo ribadisco: il mio sguardo sull’orizzonte geopolitico che prosegue e valuta anche quel che lei dice e non dice (come le lontane e non dimenticate stragi di Asad padre su palestinesi e kurdi) non accantona le considerazione attorno a uomini e donne civili. Altre vie, soprattutto quelle delle tifoserie pro o contro gli attori-massacratori, sono frequentatissime. Personalmente guardo anche altro. Cordialmente ecam 



    • Persio Flacco (---.---.---.195) 18 dicembre 2016 00:18
      Lascio da parte le considerazioni sul potere che orienta l’informazione occidentale, pur considerando l’argomento di rilevantissima importanza per il *nostro* futuro, oltre che per il futuro di nazioni come la Siria, per rispondere brevemente ad una questione di principio e di metodo da lei sollevata. Lei dice di non riuscire ad applicare il criterio del "meno peggio" alla situazione siriana, ma quale può essere il criterio alternativo da applicare per formarsi una opinione su quella tragedia e contribuire, esprimendola pubblicamente, a formare una opinione comune?
      Se rifiuta di giudicare in base al "meno peggio" non le rimane che giudicare in base a "ciò che è meglio". In base a ciò che *lei*, cittadino di un paese occidentale, ritiene sarebbe meglio per la Siria e per la sua popolazione civile. E’ però evidente in questo approccio l’ombra di una mentalità di tipo colonialista, benché animata da intenzioni di tipo umanitario. Per fugare quest’ombra e rendere accettabili le conclusioni a cui si perviene applicando quel criterio, con un semplice e abusato artificio dialettico si trasforma "io so cosa è meglio per i siriani" in "bisogna aiutare i siriani a realizzare la democrazia", dunque "bisogna abbattere il tiranno". Non continuo perché è già chiaro che, senza nemmeno rendermene conto ma inevitabilmente, sto sostenendo la dottrina neocon-sionista della cosiddetta "esportazione della democrazia": una forma assai raffinata e insidiosa di mentalità colonialista di cui dovremmo avere imparato a conoscere bene i frutti.
      A proposito: anche io ho una immagine simbolo stampata a fuoco nella mente. Per la precisione si tratta di un filmato di pochi secondi, incredibilmente passato al TG1 in prima serata, che ho visto una sola volta. 
      Baghdad, è esplosa un’autobomba e un uomo piange senza ritegno: ha appena perso la sua famiglia. A colpirmi è la sua posizione: con le gambe distese davanti a sé sulla strada polverosa, la schiena appoggiata al muro sbreccato che la costeggia, le braccia abbandonate lungo i fianchi. E quel pianto disperato. Una disperazione senza rabbia: puro dolore senza speranza. Le immagini mi hanno suscitato profonda commozione, e un pensiero irrazionale: "povero figlio mio", ho pensato. Poi è subentrata una rabbia sorda. Mi è tornata in mente la faccia di Bush jr e quella dei componenti la cricca neocon-sionista che lo teleguidava: gli ideatori e autori della guerra americana all’Iraq, quella degli "esportatori di democrazia", sostenuti dalla quasi totalità dei mezzi di informazione, dai più influenti benpensanti, dagli intellettuali, da tutti i politici occidentali.
      Gerge W. Bush ora si gode il suo ranch e va in giro a fare conferenze, ma loro sono ancora lì, signor Campofreda, e speravano nella elezione di Hillary Clinton per continuare con le loro strategie disumane. Dopo l’Iraq le hanno aggiornate, sperimentandole prima sulla Libia per poi applicarle, come un format di successo, sulla carne viva della gente di Siria. Ormai la rabbia si è mutata in volontà di capire, ed è per questo che mi sono permesso di farle quelle osservazioni. Non esiste una alternativa al criterio del "meno peggio" per la Siria, perché non esiste una alternativa migliore al regime di Assad.
      Ad avere creato una alternativa ad Assad è la propaganda degli esportatori di democrazia: su circa 20 milioni di siriani i combattenti contro il regime saranno, a dire tanto, cento-duecentomila, di cui una parte consistente sono jihadisti di varia estrazione provenienti da altri paesi, armati da chi sappiamo. Quanti siano i loro sostenitori tra la popolazione civile è difficile dirlo, ma non credo che siano molti i siriani che si augurano di vivere sotto la sharia del Califfato dopo avere sperimentato come si vive in una società tollerante come era quella del "tiranno" Assad. In particolare sono certo che non lo desiderano i cinque milioni di siriani appartenenti a minoranze religiose ai quali l’ISIS taglierebbe volentieri la gola. Ma non possiamo saperlo, perché Hillary Clinton e i suoi "democratici" clenti europei rifiutarono recisamente la proposta del "tiranno" Assad di chiedere ai siriani, attraverso libere elezioni, da chi vogliono essere governati. La risposta è stata: "Assad se ne deve andare", a prescindere da chi verrebbe dopo.
      In questa tragica storia non ci sono possibilità di errore: il conflitto è ciò che strazia la popolazione civile siriana, e l’unico rimedio alle sue sofferenze è che vengano sconfitti al più presto jihadisti e mercenari che perseguono il cambio di regime. Tutto il resto è ipocrisia feroce.

  • vittorio3 (---.---.---.158) 17 dicembre 2016 19:04

    Sig Campofreda,

    di commenti apparentemente sensati se ne possono fare a iosa sul medio oriente, i suoi “regimi”, le sue “primavere arabe” ma mi pare più utile per le sorti dell’occidente e del M.O ricordare alcuni fatti certi :

    1. i musulmani tutti considerano nostri eventuali interventi in loco come ingerenze intollerabili (salvo a sostegno temporaneo di una fazione o tribù che vuole spodestarne un’altra magari più incivile ancora)

    2. tra sciiti e sunniti c’è un latente dissidio/odio attualmente incrollabile (come era nel medioevo fra cattolici e protestanti) e che rende quantomeno precarie se non fasulle le “nazioni” che francesi e inglesi hanno disegnato dopo la caduta dell’impero ottomano; Siria, Irak e Libia sono costituite da almeno tre  diverse realtà socio/religiose che solo regimi autoritari hanno tenuto insieme seppur oppressivamente

    3. la cosiddetta “liberazione” dell’Irak dal tiranno Saddam Hussein ha prodotto milioni di morti e, post “pacificazione” e nel solo ultimo anno, 160.000 morti a seguito di attentati (di sciiti contro sunniti o curdi, di baatisti contro curdi, ecc.). E noi vorremmo occuparcene masochisticamente e non richiesti né graditi ?

    4. il regime più crudele, feudale, antidemocratico e oppressivo è quello saudita ma nessuno se ne cura (al punto paradossale che nessuno parla degli eccidi da loro compiuti nello Yemen)

    5. i nostri interventi in Siria e Libia hanno provocato milioni di morti nonché milioni di emigranti che non siamo capaci di assorbire senza sconquassi socio/economici

    6. giustamente ci rammarichiamo dei tanti civili morti p.e. in Siria, citando chissà perché quelli derivanti dai bombardamenti dell’esercito regolare di Assad e dei russi ma non quelli provocati dai “ribelli” (così chiamavamo i “combattenti” dell’IRA, OAS, ENAS ... o no?). Quanti di noi sanno che durante lo sbarco in Normandia morirono sotto le bombe alleate 40.000 civili ? TUTTE LE GUERRE SONO FEROCI E ± INGIUSTE

    6. nel primo paese toccato dalla “primavera araba”, la Tunisia, ci siamo astenuti dall’intervenire (salvo un po’ di armi regalate a gruppi di insorti) e faremmo bene a aiutarla economicamente in modo più massiccio anche perché è l’unico paese musulmano democratico, con parità uomo-donna sancita dalle leggi,ecc.

    Commentare è facile, molto difficile invece governare fenomeni così articolati e complessi quali le dispute religiose musulmane, la crescente diffusione nel mondo del credo musulmano che non tollera né l’ateismo né altre religioni, la povertà e oppressione regnati in molte regioni africane che stanno divenendo sempre più musulmane (Sudan, Nigeria, Egitto, ) generando tendenze alla rivalsa e all’emigrazione,ecc.

    Quando cattolici e protestanti si facevano la guerra, ceceni arricchiti dal traffico di droghe cercavano di sovvertire il governo legittimo, “coloured” sudafricani lottavano contro i bianchi, ecc. ecc. .... abbiamo lasciato che risolvessero i loro problemi/dissidi fra di loro.

    CONTINUIAMO AD ESSERE REALISTI E NON  BUONISTI A BUON MERCATO


    • Paul Droogo (---.---.---.193) 19 dicembre 2016 09:15

      2. Nel medioevo i protestanti non esistevano.


  • Enrico Campofreda (---.---.---.49) 18 dicembre 2016 12:10

    Le rispondo ulteriormente, signor Flacco, e poi taccio, perché come solitamente dico: ho già il privilegio di scrivere e lascio ai lettori gli eventuali commenti. Che apprezzo sempre, nello spirito interattivo che caratterizza questo sito. Dico pure a chi, come lei, volesse argomentare in maniera copiosa: scrivete articoli, se volete realizzate reportage, seguite questa via che è mestiere, o almeno dovrebbe esserlo (se ci fossero editori disposti a sostenerlo, qui si apre un’altra voragine che tralascio) visto che per molti, anche illustri colleghi, l’informazione imbocca sempre più scorciatoie propagandistiche. Io cerco di evitarle. 


    Non credo esista una neutralità d’informazione, ma si prova sostenere perlomeno la correttezza d’approccio sugli argomenti, approfondendo, studiando, osservando su più fronti. Sicuramente non avrà visto altri miei pezzi (non sono una ’firma’), che in parte può trovare anche su Agoravox. Nel Medio Oriente ho rivolto lo sguardo su alcune aree che continuo a esaminare, per quel che mi è possibile anche in loco. Se leggesse miei reportage e articoli su Egitto, Turchia e kurdistan turco, Libano, Territori Occupati, Afghanistan troverebbe molte delle valutazione che riporta nel suo lungo commento che è musica per le mie orecchie. Su cosa divergono le nostre opinioni? Sull’iper realismo politico e sul percorse che lei riporta sia il meno peggio per la Siria. Per me non lo è. Non solo per quello che tanti siriani, palestinesi, kurdi testimoniano da decenni sugli Asad, che lei definisce tolleranti. Forse questa valutazione può farla la componente alawita, favorita dal regime, o minoranze religiose protette, ben poco la maggioranza sunnita. Così com’è accaduto in Iraq, come sta accadendo in Turchia, se governanti e sistemi di potere non accettano la convivenza fra varie componenti sociali, religiose, razziali semplicemente non governano per tutti, governano per caste, clan, lobbies, etnie, e inevitabilmente vengono fuori problemi piccoli o angosciosi.

    Sul sistema coercitivo e di interessi del clan Asad, oltre alle testimonianze di vittime, lavori letterari, esistono documentati studi di ricercatori internazionali e italiani (Dettori di Limes è uno di questi). Forse li conoscerà, non so. Non so se sia sufficiente a convincerla che questo ’meno peggio’ da molti siriani era rifiutato, già negli anni Ottanta e con altre rivolte sino a giungere al febbraio del 2011. Al di là dei giochi del Risiko mondiale, dei cambi di regime, dei sauditi (che come gli iraniani) compiono i propri calcoli per l’egemonia regionale, un presidente che ama il proprio popolo non assiste al suo dissanguamento, operato anche dai nemici, certo, ma anche dalla volontà di restare avvinghiato al proprio potere. 
    Ho parlato di lui e l’ho opposto alla disperazione dell’uomo in kefia, simile a quello di Baghdad da lei citato, perché continuo a pensare che i popoli non si meritino satrapi come Bush, Clinton, Putin, Asad, Erdoğan. Né il post colonialismo imperialista e purtroppo neppure il socialismo arabo hanno creato un’emancipazione popolare, né la creano le teocrazie e i fondamentalismi. Lo scrivo da anni raccontando vicende, faccio come posso il cronista, non il politico, non propongo soluzioni e non mi sento buonista. Forse anche per questo testate che diffondono propaganda, sensazionalismo e buonismo chiudono la porta in faccia a me e altri colleghi. Ma continuiamo, convinti che le parole, le immagini, i pensieri stimolino confronto e opinioni. Quello di cui i regimi hanno sempre timore, mentre non temono di reiterare sciagure, come nel passato. E anche questo comportamento di realistico cattivismo non consola e non mette in pace l’anima. 





    • Persio Flacco (---.---.---.195) 18 dicembre 2016 20:38

      La ringrazio per la sua risposta e per il suo lavoro, signor Campofreda. Non è necessario essere d’accordo su tutto, né penso di avere la verità in tasca. Mi lasci soltanto precisare che quando ho qualificato come "tollerante" il regime degli Assad l’ho fatto tenendo conto:

      1. del contesto mediorientale (la Siria non è la Francia)
      2. della non lontana storia di insurrezioni sunnite nel paese (Hafiz ne ha sterminati alcune decine di migliaia)
      3. del confronto con la situazione attuale in alcune enclaves e di quella ipotetica di tutta la Siria se prevalessero gli avversari del regime. Non importa chi perché, realisticamente, se cadesse il regime nessuna componente del multiforme schieramento che lo combatte avrebbe la forza di contenere il Daesh e i suoi collaterali. Lo immagina il Daesh che prende il controllo delle forze armate siriane?
      Lo immagina dilagare con quelle in Iraq e poi...chissà. Non crede che allora, se questo avvenisse, sarebbe inevitabile una guerra di contenimento? Meglio non pensarci.
      Concludo con un’ultima osservazione: gli oppositori al regime oggi sono stretti attorno al regime, compresa la maggioranza sunnita. Sono quelli che vogliono liberarsi del clan al potere ma che non vogliono che il loro Paese sia distrutto. Gli altri, compresi i presunti ribelli "moderati", non sono patrioti siriani.
      Grazie di nuovo per l’interessante discussione.
       

  • Paul Droogo (---.---.---.193) 19 dicembre 2016 09:21

    La "ultima osservazione" è la prima che va fatta se si vuole mettere a fuoco la situazione politica in Siria.


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