mercoledì 13 marzo 2013 - Enrico Campofreda

Malalai, la combattente della ragione

Kabul – La voce di Malalai è sempre dolce e determinata e il monito simile all’annuncio dato tempo fa al mondo di un impegno “finché avrà voce”. Ma da quella primavera del 2003 quando puntò il dito contro taluni criminali seduti in Parlamento la sua vita è itinerante, a Kabul, in certe province come nelle trasferte che periodicamente affronta per cercare sostegno alla causa di un Afghanistan democratico. Malalai Joya, la combattente della ragione, è costretta a un’esistenza clandestina per la minaccia alla sua incolumità, attentata ben otto volte, dai nemici giurati. Assalti fortunatamente falliti.


Come sta signora Joya?

Finora posso dire bene, grazie. Purtroppo so quel che rischio, ma non rinuncerò al ruolo che mi compete e alle aspettative del mio popolo. Da quando non posso apparire in pubblico (in Afghanistan sono diversi anni che vive scortata da un nugolo di fidatissimi attivisti armati, ndr) galoppano dicerie e false notizie: Malalai è fuggita all’estero, Malalai vi ha tradito. Niente di tutto questo. Mi conforta sapere che chi mi è vicino non cade nel tranello e il movimento ha sempre nuove leve. Nonostante l’occupazione militare permanente e una specie di normalizzazione inventata dal governo Karzai, in tante province cresce il malcontento contro tale gestione dello Stato. Il nostro impegno è indirizzare la rabbia verso soluzioni democratiche, soprattutto fra le fasce più povere che possono cedere alle lusinghe talebane.

E come fate, vivendo in una clandestinità forzata?

Non tutti lo siamo. Negli ultimi due anni stanno aumentando desiderio e coscienza di una politica pulita alla luce del sole che ponga al centro il tema della giustizia contro le distruttive soluzioni già provate: Taliban, Signori della guerra, governi servili e piegati all’Occidente. Certo dobbiamo affrontare situazioni molto dure. Le forze talebane, oltre all’organizzazione militare, mostrano capacità di propaganda e analisi politica. Mentre i gruppi paramilitari interni sono radicati in certe aree perché ne controllano l’economia illegale basata su produzione e traffico dell’eroina (e non sono gli unici, ndr). La stessa ipotesi che, dopo il ritiro delle truppe Isaf, possa scoppiare un nuovo conflitto interetnico simile a quello degli anni Novanta è uno spettro che cerca d’intimorire la gente con una situazione senza sbocchi.

Eppure tuttora in Afghanistan i partiti democratici sembrano inesistenti. Il più noto, Hambastaghi, è una forza minoritaria.

“È vero, ma esistono molte personalità impegnate anche come indipendenti, il nostro compito è lavorare su una piattaforma condivisa che attualmente trova due punti comuni: lotta contro l’occupazione occidentale e contro i Warlords. Hambastagh (i cui membri pur continuamente minacciati siedono nella Jirga, ndr) mi ha invitato ad aderire al partito. Mi sono consultata col mio staff e per ora questo passo non c’è stato. Personalmente ritengo che il problema della giustizia sia centrale per il futuro dell’opposizione politica che necessiterebbe di maggiore visibilità. Dovremmo avere accesso ai media che invece sono totalmente asserviti alle posizioni del governo e non danno spazio ad altre voci”.

Ma non potete dotarvi autonomamente di strumenti d’informazione, se non di una tivù almeno di una radio?

Tivù e radio sono appannaggio di chi ha fondi per sostenerle: Stati Uniti e l’Occidente ma anche nazioni che puntano all’egemonia regionale come Iran, Turchia, Pakistan. So che Hambastaghi sta cercando finanziamenti esteri per gestire proprio una stazione radiofonica. Ma la questione non si limita solo al denaro c’è sempre di mezzo la sicurezza che può continuamente esser messa in discussione dai nemici. Io non posso più avere tribune in Afghanistan, devo andare all’estero”.

Gli aiuti della Comunità Internazionale non possono servire anche alla vostra causa?

Con la scusa della guerra al terrorismo in questi anni nel Paese sono piovuti un’infinità di dollari ma sono finiti nelle tasche degli onnipresenti Signori della guerra e del business. Se solo si fossero rispettati gli impegni della ricostruzione non ci troveremo nelle condizioni di miseria che sempre più si vedono in giro. Si verificano casi di bambini venduti dalle famiglie per fame, con tanto di rete di trafficanti all’estero ne hanno scritto addirittura alcuni giornali locali! L’Afghanistan precipita nella disperazione e disumanizzazione, questo è il futuro offerto da Karzai.

Eppure la nazione ha risorse minerarie che potrebbero risollevare l’economia.

Certo, se a gestirle fosse un ceto politico che si ponesse al servizio della nazione e degli interessi della comunità. Al contrario il governo offre a potenze straniere come la Cina la possibilità di sfruttare quelle risorse a suo vantaggio e chi intasca le concessioni sono pochi privati della cerchia governativa che s’arricchiscono personalmente. Inoltre dà spazio a chi s’arricchisce col narcotraffico che diffonde l’eroina anche fra la nostra gente: la smercia a bassi costi sul mercato interno con la funzione di disgregare i giovani, com’è accaduto nei decenni scorsi da voi in Occidente. Le cifre della tossicodipendenza fra gli afghani sono in paurosa crescita, un milione e mezzo di uomini e 600.000 donne sono coinvolti nel fenomeno.

In mancanza di lavoro e prospettive per tanti giovani si ripresenta l’ipotesi della fuga all’estero come accadeva dopo la guerra civile e il periodo talebano?

Io dico al mio popolo e alle giovani generazioni: la lotta sarà lunga però siamo tutti nella stessa barca. Chi va all’estero cerca soluzioni individuali, non lo critico ma è una scelta che rimanda il problema non lo risolve. Possiamo estraniarci, diventare traditori come gli attuali governanti o combattere. La storia afghana parla chiaro: finora tutti gli occupanti di questo Paese sono arrivati e sono dovuti andar via. Accadrà anche alla Nato. Bisogna lavorare perché la gente apra gli occhi e non abbia paura d’impegnarsi per cambiare. Non abbiamo alternative, arrendersi equivale a soccombere. Nell’animo prima che nel corpo.

 



1 réactions


  • Damiano Mazzotti Damiano Mazzotti (---.---.---.125) 13 marzo 2013 10:08

    Bella, bella, bella, bello. Bella lei, fuori e dentro. Bella l’intervista. Gran bel coraggio ha lei a esporsi in un paese fuori dal mondo come l’Afghanistan. Infatti sono indietro di almeno 200 anni rispetto al corso della storia sociale del mondo, mentre potrebbero sopravvivere benissimo senza rincorrere la maldestra evoluzione della storia economica mondiale.


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