La Lega a un bivio: possibili scenari post elettorali

Di lotta o di (sotto)governo: il dilemma di Bossi.
La dinamica elettorale al Nord indica come la Lega abbia inevitabilmente pagato l’esser stato il sostegno più solido di un Governo il cui leader è ormai stabilmente al di sotto del 30% di gradimento. Sul punto si trovano d’accordo tutti i principali studiosi dei flussi elettorali. Non che fossero mancati chiari segnali della disaffezione della base, gli umori della quale erano e sono evidenti qualora si ascolti Radio Padania. Il Senatur, secondo quanto lasciano filtrare ambienti a lui molto vicini, avrebbe affermato di non avere la forza di aprire una nuova fase. La Lega, poi, nonostante l’immagine che vuol dare, dilaniata da faide interne, non è più quel partito monolitico che era stato in un passato anche recente. Solo Bossi riesce, sempre più a fatica, a fare in qualche modo la sintesi e a dettare la linea, sebbene, anche recentemente, aldilà dell’ossequio formale, voci in dissenso rispetto all’alleanza di governo si siano levate, specie in Veneto (Gentilini, “il sceriffo” di Treviso, come lo stesso ebbe ad autodefinirsi, e da ultimo anche Tosi, il popolare ras di Verona).
Bossi ha buon gioco e in buona parte ragione nel dire che il suo partito ha in mano il Governo. Qualsiasi altro scenario possa aprirsi per il dopo Berlusconi, è facile prevedere che mai più la Lega avrà un ruolo così decisivo, così condizionante sull’esecutivo. Ma la linea politica sin qui seguita ormai elettoralmente non paga più, è evidente. E l’essere legato a doppio filo al governo Berlusconi non potrà non continuare inevitabilmente a portare a una crescente emorragia di consensi. La perdita di alcune roccaforti rischia di essere solo l’inizio. La caduta di Milano, in particolare, comporta la perdita di innumerevoli posizioni chiave negli assessorati certo, ma anche, cosa forse persino più importante, nelle municipalizzate (A2A in primis) e nelle controllate (SEA, gli aeroporti di Milano alla cui guida c’è un uomo della Lega), le praterie che foraggiano la nomenclatura anche leghista. L’amministrazione meneghina, infine, rappresenta un’importante via d’accesso all’Alta Finanza, attraverso la ricchissima fondazione Cariplo, le cui erogazioni sul territorio fanno inevitabilmente gola ai politici. Parliamo, chiaramente, di quello che eufemisticamente si chiama “gestione del consenso”.
La presunta e un tempo ostentata diversità leghista è ormai solo un lontano ricordo. Questo è il punto che segna anche plasticamente il cambiamento quasi antropologico del politico leghista: la Lega, intendiamoci, è sempre un partito fortemente identitario. Tuttavia, specie negli ultimi anni, ha dimostrato una sorprendente capacità di radicarsi nel sottobosco della politica. Il partito non è più, ammesso che lo sia mai stato, quel potente fattore antisistema, ma è parte integrante e organica di quel sistema che la Lega delle origini voleva combattere. Solo a parole, evidentemente. Non deve quindi sorprendere che il solo partito rimasto a difendere tenacemente le province sia quello di Bossi. Dei vecchi partiti della prima repubblica, dalla caduta della quale la Lega è nata, essa ha ereditato i vizi: il nepotismo, certo, ma soprattutto la lottizzazione, sistema per molti versi perfezionato proprio dalla Lega. I leghisti si trovano più che bene a Roma, questo ormai lo sanno tutti: portaborse, auto blu e soprattutto il potere che deriva dall’occupazione di ministeri, sottosegretariati, enti, cui la Lega attinge a piene mani. Anche a livello locale, in quota Lega sono innumerevoli le presidenze, gli assessorati, i posti nei cda degli enti parastatali.
Si diceva delle fondazioni: ha fatto recentemente scalpore, e allarmato i poteri cosiddetti forti, come il sindaco di Verona, non da solo per la verità, abbia sfiduciato e fatto dimettere Profumo, che ha portato Unicredit ad essere presente in ben 22 paesi del mondo. Ancora recentemente Bossi, che, nonostante la triste faccenda (come chiamarla altrimenti) di Credieuronord, non ha perso il vizio della finanza, si è vantato di aver designato il presidente della Popolare di Milano. Nella persona di Ponzellini, un tempo indicato come prodiano di stretta osservanza. E qui veniamo a un altro elemento caratterizzante il “nuovo” corso leghista, che, in verità, neanche tanto nuovo non è, vale a dire la capacità di cooptare e legare a sé uomini di potere navigati e buoni per tutte le stagioni. E il caso, ad esempio, anche di Paolo Biasi, il potente presidente della Fondazione CariVerona. I leghisti, un tempo considerati dei buzzurri, che avevano visto solo in televisione i palazzi d’oro della politica, appaiono sempre più ubriachi di potere, basti sentire, tra gli altri, l’arroganza di un Castelli in tv. Oltre al trasformismo, ai metodi della “vecchia politica”, recenti inchieste giornalistiche hanno messo in luce gli episodi di malaffare che, da Nord Ovest a Nord Est, hanno visto coinvolti elementi della Lega in misura crescente. Un libro ne ha raccolti parecchi, oltre a un ampio campionario dei bestiari leghisti. Parlo di “Il libro che la Lega Nord non ti farebbe mai leggere” di Eleonora Bianchini, ma mi piace qui anche citare “Dio Po. Gli uomini che fecero la Padania” di Gian Antonio Stella. Per la verità gioverebbe ricordare come la Lega abbia preso la sua parte già ai tempi della tangente Enimont (Bossi e il tesoriere della Lega Patelli furono condannati a 8 mesi ciascuno)
E’ proprio il voler apparire al suo elettorato la stessa delle origini il vero motivo delle sparate che gli elementi di primo piano del partito, Bossi in testa, fanno periodicamente. E’ facile prevedere come uscite del genere non faranno che aumentare in questo finale di legislatura. Ma, al di là del linguaggio, la Lega è ormai profondamente diversa da quella primitiva, questo è sotto gli occhi di tutti, anche dei meno svegli tra il suo elettorato già non troppo sveglio. Come hanno mostrano recenti sondaggi all’indomani del 150° dell’Unità, che davano la percentuale degli italiani che considerano positivamente l’unificazione al 93% (senza significative disparità tra Nord e Sud), nelle urne la secessione non paga più. E il federalismo rischia di moltiplicare, con i livelli decisionali, la confusione e di aumentare significativamente il carico fiscale sui contribuenti. La Lega, un tempo paladina delle partite IVA, oltre a essere diventata, per chiaro interesse, il partito più statalista nell’intero panorama politico italiano, si è poi largamente imborghesita (come da più parti pure si auspicava), perdendo quella carica rivoluzionaria e per certi versi eversiva che generalmente le si riconosceva, adeguandosi al generale andazzo e al sistema di potere berlusconiano. Con la foga del convertito.
Quella parte dell’elettorato liberista non ha aspettato nemmeno l’annunciata e ormai certa discesa nell’agone politico di Montezemolo per voltarle le spalle e il voto degli arrabbiati, è facile immaginarlo, sarà sempre più intercettato da Grillo e i suoi, gli unici che appaiano genuinamente antisistema. Nemmeno come sindacato del Nord, a ben guardare, la Lega ha saputo realmente servire i suoi elettori, nonostante la politica fortemente antimeridionale perseguita dall’asse Bossi-Tremonti. Tutto questo detto, si vede bene come il partito sia di fronte a un dilemma: continuare ad allattare finché può a un sistema di potere, sancito ilpactum sceleris con un Berlusconi inevitabilmente sulla via del tramonto o lasciare il Premier al suo destino. Una exit strategy si impone nell’agenda dei vertici ed è certo che in via Bellerio ne stiano discutendo da tempo. E’ inevitabile che la Lega pagherebbe fortemente in termini di consenso l’insistere nel sostenere un Governo che galleggia solo facendo crescenti concessioni in termini di posti a singoli parlamentari (i cosidetti responsabili). Mi si permetta solo un inciso a questo proposito, dato che non si sono mai visti ratti salire su una nave che sta affondando.
Analogamente continuare a votare leggi vergogna per salvare il Capo finirà, credo inevitabilmente, per ridurre la Lega a un ruolo meno che marginale alla prossima scadenza elettorale nazionale. Verosimilmente Bossi ha paura che gli sia riservato, come a Fini, il metodo Boffo. Il Premier, si sa, ha una potenza di fuoco di tutto rispetto, sicari senza scrupoli e non è notoriamente tenero con chi tradisce la sua fiducia. Che, è facile immaginare, abbia pagato a caro prezzo, come l’uomo è solito fare. E’ anche probabile, a questo proposito, che il Cavaliere sia in grado di ricattare la Lega. Non si spiegherebbe altrimenti l’ostinazione leghista nell’insistere sulla difesa del Governo, strategia, questa, che appare perdente su tutta la linea. La Lega saprebbe ovviamente capitalizzare l’appoggio in termini di poltrone, cosa in cui è una vera maestra, finendo così per far apparire, in confronto, i responsabili nient’altro che i poveracci, i dilettanti che sono. Ma, quand’anche il Governo sopravvivesse al secondo turno, difficilmente potrà andare oltre i referendum. L’esito dei quali, visto che il tam tam della rete, nel silenzio dell’informazione ufficiale, sembra davvero in grado di spingere gli italiani alle urne raggiungendo così il quorum, si preannuncia disastroso per un governo che ha fatto di tutto per boicottarli.
Se poi la mobilitazione popolare dovesse continuare anche oltre i ballottaggi e i referendum, come pare destinato ad avvenire, in nessun caso il Governo potrebbe giovarsene. Anzi potrà solo andare peggio, visto che l’elettorato deluso, in genere, prima ingrossa le fila dell’astensionismo (cosa ora realizzatasi solo parzialmente per la capacità del Movimento 5 stelle di intercettare i voti in uscita dalla maggioranza e dall’opposizione), per poi sostenere più decisamente l’alternativa. Un’opposizione ancora in ordine sparso finirebbe per avvantaggiarsi ulteriormente, al solito, di un voto contro più che di un voto a (suo) favore. A questo punto appare più che fondata quella che è la vera, inconfessabile paura dei leghisti: l’essere espulsi dalle grandi e medie città del Nord, l’una dopo l’altra, come tante tessere di un domino (cosa questa già in parte avvenuta), per ritirarsi nelle campagne dell’entroterra padano e nei paesini delle Prealpi dai quali, anni fa erano scesi trionfalmente fino a Roma. La speranza è che la transizione cominci con la verifica parlamentare di fine giugno, molto opportunamente chiesta da Napolitano. Magari passando per un Governo tecnico alla cui guida si potrebbe pensare una figura di garanzia per tutti. Un uomo internazionalemente stimato, qualcuno alla Mario Monti, che rassicuri i mercati in tempi di tempeste finanziare, rassereni il clima e cambi questa vergognosa legge elettorale che toglie ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Legge elettorale che è poi, vale la pena ricordarlo, un altro regalo della Lega. Il che la dice lunga su quanto Bossi e i suoi tengano alla sovranità popolare.