mercoledì 8 maggio 2013 - Riccardo Noury - Amnesty International

Eritrea, il paese-carcere celebra 20 anni dall’indipendenza

 

L’Eritrea si prepara, venerdì 24 maggio, a festeggiare il ventesimo anniversario dell’indipendenza conquistata nel 1993 dopo un conflitto con l’Etiopia durato 30 anni.

Da allora, come ricorda un rapporto diffuso oggi da Amnesty International, il governo del presidente Isaias Afewerki ha sistematicamente fatto ricorso al carcere per ridurre al silenzio ogni voce dissidente.

Così, alle celebrazioni non potranno prendere parte migliaia di prigionieri politici e di coscienza che languono, senza accusa né processo, nelle carceri del paese: giornalisti, parlamentari, fedeli di credi religiosi non riconosciuti, disertori dalla leva obbligatoria sepolti vivi in carceri segrete, isolati dal mondo esterno e, soprattutto, dalle famiglie.

Molti sono morti sotto tortura (nell’immagine, il disegno di un metodo di tortura fatto da un ex prigioniero), di stenti, di malaria o a causa delle condizioni estreme delle gelide celle sotterranee o dei roventi container di metallo situati in mezzo al deserto.

La loro colpa? Aver espresso un’opinione, aver praticato una religione o aver cercato di fuggire dalla repressione. Quando non riescono ad arrestare i diretti interessati, le autorità mettono in prigione i parenti.

Se è ancora vivo, il prigioniero di coscienza che ha trascorso più tempo in carcere dovrebbe essere Mohamed Meranet, un giudice di Keren arrestato il 17 luglio 1991 per il sospetto di avere rapporti col governo dell’Etiopia. Da quasi 22 anni non vede la famiglia, non incontra un avvocato e non ha la minima prospettiva di un riesame del suo caso.

C’è poi il gruppo chiamato G15, composto da altrettanti esponenti politici arrestati nel settembre 2001 per aver scritto una lettera aperta al partito unico al potere, il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia chiedendo dialogo e riforme.

L’ultima ondata di arresti ha colpito almeno 187 persone (tra cui un ministro e due governatori), finite in centri segreti di detenzione a seguito dei fatti del 21 gennaio di quest’anno, quando 200 soldati occuparono il ministero dell’Informazione e trasmisero un appello per il rilascio di tutti i prigionieri politici e l’attuazione della Costituzione del 1997.

Nutrito è anche il gruppo dei giornalisti prigionieri. Il più anziano è Gebrehiwot Keleta, del quotidiano Tsegenay, in carcere dal giugno 2000 per aver incontrato un funzionario dell’ambasciata Usa.

Dal 19 settembre 2001, con la chiusura dei quotidiani indipendenti e l’arresto di 10 giornalisti, in Eritrea la libertà di stampa semplicemente non esiste. Per assurdo, vengono arrestati anche i giornalisti che lavorano per il regime, come è successo nel febbraio 2009 a tutto lo staff di Radio Bana, un’emittente sponsorizzata dal ministero dell’Educazione. Alcuni di loro sono ancora in carcere.

Nel 2002 il governo ha vietato il diritto alla libertà di culto ad alcune minoranze religiose e ha istituito un registro ufficiale delle fedi riconosciute, in tutto quattro: islam, chiesa cattolica, chiesa ortodossa e chiesa luterana. I fedeli di altri riti cristiani in carcere dovrebbero essere tra i 2000 e i 3000.

Nonostante il fortissimo rischio di essere arrestati e imprigionati per uno o due anni (e poi essere nuovamente arruolati), il livello di diserzione dal servizio militare è elevato. La leva è obbligatoria per tutti i cittadini di età compresa tra i 18 e i 40 anni. La durata, 18 mesi, viene spesso estesa a tempo indeterminato. La maggior parte della popolazione adulta eritrea è di fatto arruolata, in alcuni casi da oltre 10 anni. Notizie non confermate parlano di ragazzi di età inferiore a 17 anni obbligati a svolgere il servizio di leva.

Chi cerca di fuggire da tutto questo ed è fermato prima di oltrepassare la frontiera viene condannato a uno o due anni di carcere. Per chi riesce a fuggire, la pena è l’arresto dei familiari.

L’Italia, che ha un passato coloniale in Eritrea, tace, non da oggi, e fa qualche affarecol presidente Afewerki.



1 réactions


  • (---.---.---.230) 24 maggio 2013 22:07

    Sono 22 anni d’indipendenza 20 sono dal referendum.

     


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