venerdì 9 novembre 2018 - Osservatorio Repressione

Decreto Salvini e il reato di blocco stradale

Il 5 ottobre scorso, il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, è entrato in vigore il decreto legge 113/2018, il cosiddetto decreto Salvini sulla sicurezza, che, in particolare sul tema dell’immigrazione, rappresenta una ulteriore pesante regressione rispetto ai diritti dei migranti e ai principi fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione.

Nonostante la pluralità e la eterogeneità delle norme contenute nel decreto, è possibile appezzare una sua coerenza interna, del tutto in sintonia con la scelta governativa di orientare e direzionare il disagio sociale, indotto dalla crisi e dai tagli alla spesa sociale, verso specifiche categorie di soggetti, i migranti, gli occupanti di case, chi protesta per le strade.

Nelle pieghe del decreto, infatti, recuperando lo spirito di un paio di proposte di legge presentate da alcuni parlamentari del centro-destra nella scorsa legislatura, vi sono anche delle norme che si occupano del blocco della circolazione su strade e autostrade.

Viene reintrodotto il reato di blocco stradale (che era stato depenalizzato nel 1999), sanzionato, se il fatto è commesso da più persone, con la pena della reclusione da 2 a 12 anni.

Si stanno celebrando in queste settimane alcuni processi per i blocchi effettuati sull’autostrada Torino – Bardonecchia nel febbraio-marzo 2012, dopo la caduta di Luca Abbà da un traliccio dell’alta tensione, e nell’agosto 2013.

Si è trattato di vicende a cui hanno partecipato centinaia di persone, nell’ambito di manifestazioni che esprimevano, le une, la rabbia per quanto accaduto a Luca e per la militarizzazione crescente della Val di Susa, le altre, la volontà di impedire l’arrivo di alcuni componenti della talpa che doveva effettuare i lavori nel tunnel geognostico di Chiomonte.

Bene, se quelle manifestazioni venissero fatte oggi, i partecipanti rischierebbero pene elevatissime e, con ogni probabilità, l’applicazione di misure cautelari, visto i criteri guida utilizzati negli ultimi anni dagli uffici giudiziari torinesi. Tutto ciò in perfetta armonia con le roboanti dichiarazioni, ahimè quasi giornaliere, del ministro dell’interno, che sembra avere in odio qualsiasi forma di protesta o di conflitto sociale.

Non è il caso di gridare allo scandalo.

Soprattutto se si confronta tale riforma con le ripetute prese di posizione di un governo che spara ad alzo zero sulle occupazioni di case, che si contrappone con ferocia all’esodo dei migranti, che trasforma in crimine umanitario il salvataggio di disperati in fuga dalle proprie case, che ogni giorno ci permette di constatare come l’umanità, il senso di solidarietà e di giustizia continuino pericolosamente ad arretrare nella coscienza degli italiani.

Siamo di fronte all’ennesimo giro di vite che produrrà un po’ di carcere in più per gli appartenenti ai movimenti sociali, che dovranno fare i conti con una repressione resa più intensa ed efficace da norme come questa.

Ciò nonostante, vale la pena di segnalare come siano evidenti i profili di incostituzionalità della nuova disposizione legislativa, non solo perché fanno difetto i requisiti di necessità urgenza connaturati all’emanazione di un decreto legge, non tanto per lo scarso nesso funzionale tra la norma in questione e i contenuti e le finalità dello stesso decreto, quanto, soprattutto, per l’adozione di minimi e di massimi edittali assolutamente spropositati, in rapporto alla finalità rieducativa della pena, prevista dal terzo comma dell’art. 27 della Carta costituzionale.

In diverse pronunce la Corte Costituzionale si è espressa in passato nel senso che tale finalità costituisca “una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”, il che richiede una costante proporzione tra quantità e qualità della sanzione e offesa del bene giuridico tutelato.

In particolare, secondo La Corte “la palese sproporzione del sacrificio della libertà personale” provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell’illecito “produce … una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall’art. 27, comma 3°, Cost., che di quella libertà costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione”.

Nel caso del nuovo di reato di blocco stradale è prevista la possibilità di irrogare delle pene detentive, come detto da 2 a 12 anni, ben più alte di quelle previste per reati che, secondo la coscienza collettiva, appaiono sicuramente più gravi.

Basti pensare, saltando di fiore in fiore, che per i partecipanti ad un’associazione per delinquere il nostro codice penale prevede sanzioni da 1 a 5 anni di reclusione, per i capi e promotori da 3 a 7, per un attentato ad impianti di pubblica utilità da 1 a 4, per l’adulterazione di cose in danno della pubblica salute da 1 a 5.

Il massimo edittale di 12 anni, indicato nel nuovo reato di blocco stradale è uguale a quello di chi recluta o induce alla prostituzione dei minorenni o di chi commette violenza sessuale contro un minore di 14 anni o di chi compie violenza sessuale di gruppo. E’ più alto di quello del reato di sequestro di persona, della rapina semplice, della violenza sessuale su un adulto.

Inoltre, per il reato di blocco stradale non sarà possibile far ricorso a quegli istituti, non facilissimi da collocare sul piano sistematico ma di sicura natura deflattiva e spesso assai vantaggiosi sul piano difensivo, quali la messa alla prova e l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ciò a causa dei limiti edittali, particolarmente elevati, previsti nella nuova fattispecie, con il paradosso che, ad esempio, per reati come la resistenza aggravata contro le forze dell’ordine (come il lancio di sassi nel corso di una manifestazione) il secondo istituto sarebbe astrattamente applicabile, pur essendo il fatto, in tutta evidenza, più grave di un semplice blocco stradale.

Il conformismo, lo scarso coraggio interpretativo che allignano di questi tempi nella magistratura italiana non consentono di sperare che si giunga in tempi brevi ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma.

Inutile dire, poi, che, con ogni probabilità, la lettura che di essa daranno le Questure, prima, e le Procure, successivamente, potrebbe estendere ulteriormente il suo ambito di applicazione, soprattutto in relazione alle manifestazioni che si tengo nei centri urbani.

Non resta che sperare in un sussulto di dignità di quei parlamentari che dovranno votare nei prossimi mesi per la conversione del decreto in legge.

Ma anche questa, visti i maneggi, le retromarce, i compromessi governativi di questi giorni, appare una pia illusione.

Sui siti No Tav si è detto in più occasioni che non esistono governi amici.

Un governo che approva norme di questo tipo, che coltiva con pervicacia una prospettiva di incremento della repressione verso i movimenti appare un governo che, nei fatti, si muove in una logica di ostilità nei confronti delle lotte e del conflitto sociale. Con buona pace di tutti coloro che, approdati in sedi istituzionali, continuano a sostenerlo, pur avendo condiviso e/o apprezzato in questi anni le ragioni delle mobilitazioni No Tav.

Avv.Claudio Novaro

Foto: ateneinrivolta.org/Flickr



6 réactions


  • Un italiano (---.---.---.101) 9 novembre 2018 14:05

    Era ora, finalmente, di fermare le bande di facinorosi che si ammantano di diritti democratici. Infine minoranze che bloccano il resto della popolazione che non ha nessuna colpa se non quella di essere in quel posto in quel momento.


  • daria (---.---.---.94) 9 novembre 2018 16:44

    E’ giustissimo. Chiunque deve poter bloccare qualsiasi strada se ha da protestare. Io, per esempio, vorrei bloccare l’autostrada Milano-Venezia, in quanto e’ ingiusto che la mia parrucchiera non apra la Domenica.


  • paolo (---.---.---.49) 9 novembre 2018 18:29

    Ovvio che centra nulla con la repressione, ma è sacrosanta tutela del diritto di tutti.

    L’entità della pena avrà una applicazione graduale sulla base del danno procurato.

    Se blocco una autostrada o una ferrovia e ci scappa il morto, 12 anni sono più che giustificati.

    Quindi bene decreto Salvini.


  • Antonello Laiso (---.---.---.213) 11 novembre 2018 21:24

    Aristotele scolpì nella pietra 2500 anni fa’ la frase sempre attuale : Ogni popolo ha il governo che si merita. E ,diceva Totò ho detto tutto.


  • paolo (---.---.---.49) 11 novembre 2018 22:37

    Ha proprio ragione Antonello Laiso, infatti ritengo che il popolo italiano ha indubbiamente meritato i governi Berlusconi, Prodi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, tanto per citarne alcuni degli ultimi decenni. Non possiamo incolpare di queste sciagure nessun altro se non il popolo italiano, che spesso è peggiore di chi li rappresenta.


  • Enzo Salvà Enzo Salvà (---.---.---.64) 12 novembre 2018 17:00

    D’accordo con l’articolo, "la piazza" è una forma di difesa e di espressione civile così come lo è la "disobbedienza civile". 

    Domenico Stimolo, qui sotto nel commento FB, ne esprime molto bene il valore democratico. 

    Un Saluto

    Es.


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