venerdì 5 ottobre 2012 - Riccardo Noury - Amnesty International

Colombia, violenza sessuale incontrollata, le donne non trovano pace

 

Mentre paiono imminenti i colloqui di pace tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie di Colombia (il principale gruppo dell’opposizione armata), che potrebbero porre fine a decenni di conflitto armato, c’è un gravissimo problema che rimane insoluto: la violenza sulle donne.

Nel 2011, il conflitto armato ha costretto altre 259.000 persone a lasciare le loro terre; 305 civili sono stati rapiti o presi in ostaggio; 111 nativi, 45 difensori dei diritti umani e 29 sindacalisti sono stati assassinati; le forze di sicurezza hanno commesso almeno 38 esecuzioni extragiudiziali; le mine antipersona piazzate dai gruppi armati di opposizione hanno ucciso 20 civili e 49 soldati.

E, solo nel 2011, i casi noti di violenza sessuale contro le donne sono stati 22.597.

Come denuncia un rapporto diffuso ieri da Amnesty International, il governo colombiano non sta facendo concreti passi avanti per portare di fronte alla giustizia i responsabili dei crimini sessuali legati al conflitto armato.

Nelle zone di conflitto, la violenza sessuale contro le donne viene praticata per seminare il terrore tra le comunità per spingerle alla fuga, vendicarsi contro il nemico, esercitare il controllo sui diritti sessuali e riproduttivi delle combattenti e sfruttare donne e ragazze come schiave del sesso.

I dati spaventosi sulla diffusione della violenza sessuale non devono nascondere il fatto che i fenomeno è raramente denunciato: le vittime hanno troppa paura per parlare, temono di essere stigmatizzate per aver subito uno stupro o non hanno fiducia in un’indagine efficace.

Altri ostacoli all’accesso alla giustizia, sottolinea Amnesty International, comprendono la mancanza di reale sicurezza per le sopravvissute allo stupro e a coloro che sono coinvolte nel procedimento legale; la discriminazione e lo stigma nei loro confronti da parte dei funzionari giudiziari; l’assenza di una strategia complessiva per combattere l’impunità; le inefficienze burocratiche; la mancanza di fondi; e, infine, l’infiltrazione dei gruppi armati nelle istituzioni locali.

Cresce, contemporaneamente, il numero delle attiviste per i diritti umani minacciate e aggredite per aver denunciato la violenza sessuale. Come Blanca Nubia Díaz, che dal 2001 lotta per vedere di fronte alla giustizia i responsabili dello stupro e dell’assassinio di sua figlia Irina, 15 anni (nella foto, la sua tomba). L’ultima minaccia risale a un anno fa, quando hanno preso di mira suo nipote.

Il problema è avvertito anche da una parte delle istituzioni. Diverse figure di primo piano delle istituzioni, tra cui il vicepresidente Angelino Garzón e il procuratore generale, si sono pubblicamente impegnati a perseguire la giustizia per le sopravvissute alla violenza sessuale legata al conflitto.

Quest’anno, i parlamentari Iván Cepeda e Angela María Robledo, sostenuti dal delegato del difensore civico per i bambini, i giovani e le donne, hanno presentato una proposta di legge al Congresso per combattere l’impunità per i reati sessuali legati al conflitto. Se approvato, il testo modificherà, tra le varie cose, il codice penale per rendere la violenza sessuale nel contesto di un conflitto armato uno specifico reato, in linea con gli standard internazionali.

Altre proposte di legge, tuttavia, minacciano di vanificare ulteriori sforzi per portare di fronte alla giustizia i responsabili di questi crimini di diritto internazionale.

Una di queste, attualmente all’esame del Congresso, prevede il rafforzamento del ruolo della giustizia militare nelle indagini e nei procedimenti di crimini di diritto internazionale in cui sia implicato personale delle forze di sicurezza. Sebbene il testo escluda dalla giurisdizione militare i crimini sessuali legati al conflitto, dà alla giustizia militare un più ampio controllo sulla fase iniziale, e dunque, cruciale, delle indagini su tutti gli altri casi non legati al conflitto.

Un’altra iniziativa di legge, conosciuta come il “quadro legale per la pace”, approvata dal Congresso a giugno e subito dopo firmata dal presidente Santos, consente agli autori di violazioni dei diritti umani, compresi gli appartenenti alle forze di sicurezza, di beneficiare di un’amnistia di fatto attraverso la sospensione, da parte del Congresso, delle condanne di detenuti delle parti coinvolte nel conflitto, comprese le forze di sicurezza.

Ce n’è abbastanza per concludere che se il rispetto dei diritti umani e soprattutto una strategia efficace per combattere la violenza contro le donne non saranno al centro dei negoziati di pace, la Colombia non andrà incontro a un periodo di pace duratura e stabile.

Quello che attendono invece, da decenni, milioni di colombiane e di colombiani.



2 réactions


  • Sandro kensan Sandro kensan (---.---.---.188) 5 ottobre 2012 15:04

    So poco della situazione in Colombia ma credo che sia come in altri paesi del sudamerica dove le forze che qui vengono definite di sicurezza sono in realtà i paramilitari ovvero gente legata al governo o agli interessi governativi. Di solito questi gruppi fanno quello che si vorrebbe facesse l’esercito ma che viene delegato a forze esterne per non incorrere in condanne internazionali.

    Quindi si agisce con gli stupri, con le torture, con le sparizioni per il volere del governo tramite interposta forza di sicurezza. Sbaglio?


  • (---.---.---.16) 5 ottobre 2012 23:11

    Non sbagli, purtroppo...


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