venerdì 10 gennaio 2020 - Osservatorio Globalizzazione

Chi voleva morto Soleimani?

Dopo averlo intervistato sul tema della nuova corsa alle armi di Cina, Russia e Stati Uniti Verdiana Garau intervista nuovamente l’analista Paolo Mauri sulle ragioni dell’assassinio di Soleimani, cogliendo l’occasioni per una serie di considerazioni geopolitiche sul Medio Oriente e per una secca smentita sul coinvolgimento di Sigonella nel raid di Baghdad.

V.G. Sul fatto che il drone MQ9 Reaper ,che ha ucciso Soleimani la notte del 3 Gennaio scorso, possa essere stato teleguidato da Sigonella sono giunte già ampie smentite. Su Al Arabiya si smentisce con la conferma che il drone sia partito invece dal Qatar, dalla base di Al-Udeid.

P.M. Era quasi ovvio che potesse essere partito soltanto dal Qatar. Per varie ragioni. Innanzitutto quelle logistiche. Il Qatar si trova in prossimità dell’Iraq e il drone non avrebbe dovuto sorvolare nessun altro spazio aereo a differenza di Sigonella che si trova in Sicilia. Avrebbe potuto partire anche dalla Siria per esempio, ma dobbiamo ragionare sulle complicanze che comporterebbe teleguidare un drone da una base piuttosto che da un’altra. Esempio in Siria i russi hanno una bolla anti Access area denial e quando si verificò l’ultimo attacco da parte di Trump avvertirono Assad immediatamente. Non è un caso che in quell’occasione furono svuotati i magazzini e non ci furono vittime tra i civili e le conseguenze dell’attacco contenute.

V.G. E la politica di Tamim bin Hamad Al Thani, emiro del Qatar, quale sarebbe? Che interesse aveva il Qatar di far partire il drone dalla base americana situata nel suo territorio?

P.M. Il Qatar ha bisogno di mantenere buoni rapporti con gli americani, è filoiraniano e allo stesso tempo è circondato dall’Arabia Saudita.

V.G. Si potrebbe sospettare dunque che dietro l’assassinio di Soleimani ci sia persino Ali Khamenei. Erano forse tutti d’accordo? Il Qatar deve giocare la sua partita politica è circondato dai sauditi e da sempre in conflitto con loro per interessi, Soleimani stava diventando molto influente, per Al Khamenei cominciava ad essere forse scomodo. Essendo Soleimani inviso a gran parte del Medio Oriente probabilmente la convergenza ha fatto in modo che accadesse.

Ed è accaduto tardi se pensiamo che il personaggio fosse scomodo da tempo a tutti gli altri attori esterni, ovvero USA, Russia e poi c’è Israele…

P.M. È molto probabile anche questo. Ad esempio anche i russi hanno fornito l’appoggio aereo al Free syrian army per combattere l’ISIS a suo tempo. Le ragioni della politica internazionale e il suo modus operandi sono spesso ruvide, a volte illogiche e contano molto gli interessi. Il Qatar appunto confina con l’Arabia Saudita, sono filoiraniani e hanno in pancia una base USA. Vedono la presenza della base americana come uno scomodo affare. Ci si chiede perché non abbiano usato la base di Al Dahfra negli Emirati Arabi. Ed è semplice. Non ce ne era bisogno. Negli Emirati sono filoturchi, ci sono i Fratelli Musulmani e sono anti-iraniani. Giocarla dal Qatar è una mossa strategica alla quale il Qatar si poteva prestare benissimo per diversi fattori. Mantenere rapporti diplomatici con gli Stati Uniti e allo stesso tempo accontentare l’Iran.

V.G. Dal governo iracheno parlano di una lettere che Soleimani aveva con sé il giorno dell’attentato, possibile missiva per un compromesso. Era una missione diplomatica quella che forse stava conducendo quel giorno?

P.M. Sì, abbiamo questa versione dei fatti. E forse il Qatar avrebbe proprio potuto dare l’ok perché non era affatto interessato ad un impegno diplomatico o potenziale compromesso tra i sauditi e l’Iraq. Certo che non lo sapremo mai.

V.G. In quella zona sappiamo anche che un’altra area di interesse, oltre alle vicende politico religiose ed economiche più strettamente medio orientali, è lo stretto di Oman. Bocca d’accesso verso il Golfo dall’India che coinvolge più attori a livello geopolitico. Certamente la questione Medio Orientale rispetto agli Stati Uniti esula dal fattore petrolio oggi, gli interessi sono legati ad una possibile futura ricostruzione di tutta la zona del Medio Oriente e dal suo futuro indotto?

P.M. La questione del Golfo di Oman esula dalla vicenda Soleimani e va oltre. E il petrolio è certamente la punta dell’iceberg di tutta la questione mediorientale rispetto agli interessi che possono avere gli Stati Uniti ad oggi in quell’area che stanno solo ritirando truppe. Possiamo dire che sia Gli Stati Uniti, la Turchia e l’Arabia Saudita non sono interessati al gioco dell’Iran. La componente più forte degli interessi sull’area è certamente legata a tutto un possibile indotto che si potrà sviluppare in visione di una futura ricostruzione, ed è molto importante. Poi il fattore legato all’interesse di contenere l’Arabia Saudita è certamente più forte. Fecero saltare Saddam per lo stesso motivo. L’Iraq infatti è a maggioranza sciita, ma non filo-iraniana, la componente nazionalistica fortissima e non gradiscono più la presenza delle basi americane nel loro paese. La questione resta aperta dunque come possiamo intuire, tra lo sciismo dell’Iraq e il sunnismo saudita.

V.G. Viene da pensare che con la caduta del califfato e la sua definitiva sconfitta si sia dunque rotto un importante equilibrio, un equilibrio che c’era e che adesso non c’è più e che questo abbia potuto scatenare l’ attacco che si è concluso con l’assassinio di Soleimani e lo scandalo geopolitico.

Soleimani poteva essere benissimo ucciso anche prima. Pare giungere tardiva questa azione?

P.M. Sì giusto. La presenza dello Stato Islamico era una forza che aiutava a mantenere uno stato di equilibrio. Questo equilibrio è venuto a mancare con la fine del califfato. Gli americani avrebbero potuto giustiziare Soleimani anche prima se volevano. Avrebbero potuto farlo fuori a Palmira, in Iraq, a Beirut quando era con gli Hezbollah. Ma gli hezbollah anche per il Libano costituiscono un fattore di equilibrio. Sono al governo adesso. Sono un fattore stabilizzante al momento. Inoltre le pressioni di Nethanyau infastidivano Washington. La lettera di cui si sospetta e che avrebbe portato in trattativa l’Iraq con l’Arabia Saudita è un’ipotesi infatti molto plausibile. Non è forse un caso che Soleimani sia stato ucciso proprio adesso.

V.G. Torniamo in Italia e alla vicenda della fantasia Sigonella.

P.M. Esatto, proprio una fantasia. I pacifisti nostrani vogliono dare mostra di sé. Che a Sigonella ci siano i Reaper è da verificare e comunque, non mi risulta. Inoltre i droni MQ9 Reaper hanno un’autonomia di 1150 miglia con una velocità di 350km/h. Perché usare un drone con queste caratteristiche da Sigonella a Baghdad quando ci sono a disposizione tante altre basi utilizzabili più prossime al bersaglio?

Baghdad dista a più di 3000Km da Sigonella. A livello tattico non ha alcun senso.

Ogni missione viene concepita con razionalità. Poteva partire da Incirlik in Turchia? Dalla Giordania? Nemmeno dalla Grecia sarebbe potuto partire. Sono trovate che fa parlare la stampa. Sono sirene, nel senso omerico del termine, per attirare gli ingenui naufraghi.

V.G. Di Maio ha comunque smentito i fatti. Ma pare che niente più di ciò che dica sia attendibile. Come vedi questo Ministro degli Esteri?

P.M. Di Maio non è un ministro credibile. Può smentire qualsiasi cosa, ma ci stupiremo poi sul perché gli americani continuano a non considerarci. L’Italia ha un’importanza a livello internazionale che non può continuare ad essere sottovalutata. Ma nessuno pare imporsi né a Bruxelles, né a Washington. Vi è una sudditanza psicologica di fondo che permette poi ad esempio alla Germania di essere interpellata sulle vicende libiche prima che sia interpellato il nostro paese.

V.G. A questo proposito, la nostra politica internazionale che ha coinvolto più governi non soltanto quelli Cinque Stelle, come hai visto la nomina di Profumo a Leonardo? Gli americani più volte hanno mostrato il loro disappunto. Profumo non proviene dal settore, ha le competenze per ricoprire quel ruolo?

P.M. Profumo è una nomina politica. Ai miei occhi inspiegabile. La sua gestione non ha infatti brillato. C’erano molte valide alternative, non ha assolutamente mostrato lucidità nella gestione di Leonardo a partire dal disinteresse nella partecipazione alle più importanti manifestazioni internazionali, come Farnborough o Le Bourget.

V.G. Si cavalca molto l’emozione collettiva, la politica mostra gravi segni di debolezza, si esulta per la morte di un grande personaggio come Soleimani senza riflettere alle conseguenze e se ne offre spesso una lettura sbagliata. Tutti gridano che Soleimani fosse un pericoloso terrorista. Sul personaggio si potranno delineare molte considerazioni, ma certamente non era un terrorista.

P.M. Dalla Nirestein ai giornalisti del Foglio passando per certa destra ci si è scagliati contro Soleimani definendolo il peggior terrorista in circolazione. Mi stupisce in modo positivo che la maggior parte dell’opinione pubblica non abbia sposato questo accanimento, ma al contrario non si sia schierata così biecamente.

Soleimani non era un terrorista, era un uomo politico che faceva il suo gioco. E la terza guerra mondiale non scoppierà. C’è chi a destra lo considera un eroe come sempre a destra un terrorista. Non è stato un eroe, ma sarà doveroso considerarlo per quello che era e che rappresentava, un grande personaggio che passerà alla storia. Inoltre noi italiani per elezione naturale siamo molto più vicini all’Iran culturalmente che non agli Stati Uniti.

V.G. Soleimani era molto scomodo perché un rivoluzionario se posto a confronto con l’Arabia Saudita che non brilla per democrazia, ma mostra più il suo lato conservatore e meno destabilizzante per le politiche internazionali?

P.M. Si deve ricordare che è molto più pericolosa la penetrazione economica degli islamici wahabiti nel mondo che non l’atteggiamento manifesto degli Iraniani che avrebbero probabilmente voluto chiudere il loro piano di riunificazione della mezza luna sciita. Se l’Iran è manifesto, l’Arabia Saudita è subdola.

Pensiamo poi anche alla presenza del Qatar in Italia e di come questo si stato reso possibile, avendo ospitato in casa un pericoloso finanziatore del terrorismo che non solo costruiva moschee, ma veri e propri centri culturali con lo scopo di espandere la propria influenza all’esterno del Medio Oriente. La nostra mentalità, quella italiana è certamente mercantilista. Abbiamo scoperto tutto il mondo senza però mai issare alcuna nostra bandiera. Creando così una vasta rete di contatti nel mondo.

V.G. Ritornano al concetto di emozione collettiva, considerando che le guerre benché abbiano propositi razionali, sono infine atti emozionali. Non sarà accaduto tutto questo per sollevare l’opinione pubblica iraniana e ricompattare il mondo sciita dal momento che i sunniti con la loro finanza si sono imposti sui mercati di tutto il mondo?

P.M. È probabile. Come probabile che si possa essere anche stato lo zampino dei servizi segreti israeliani. Soleimani rischiava di diventare inoltre il prossimo presidente iraniano, non sappiamo se si sarebbe candidato, forse si, resta il fatto che era un grande stratega. E gli interessi per farlo fuori in Medio Oriente, come abbiamo appena descritto erano davvero molteplici e la geometria molto complessa.

Foto: Mohammad Ali Marizad/Wikimedia 



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