sabato 22 settembre 2012 - Enrico Campofreda

Charlie Hebdo e la sacra libertà d’offesa

C’è uno strano ragionamento nelle considerazioni, qualcuna condivisibile perché animata da elementare buon senso poi abbandonato, che Pierluigi Battista fa nell’editoriale “La libertà non è un rischio” apparso sul Corriere della Sera. Quello di valutare dal punto di vista suo, nostro o della maggioranza occidentale (laica, agnostica, cattolica, protestante, ebraica) le vicende che riguardano le recenti offese all’Islam. Il ragionamento è: il film “L’innocenza dei musulmani” è paccottiglia (comunque da distinguere dalla letteratura di Rushdie) si tratta d’una bieca provocazione da evitare e condannare ma riguarda direttamente chi la produce e la fa circolare, non l’universo occidentale che non può correre il rischio di limitare la libertà di espressione di ciascuno. Anche di chi offende altrui sentimenti e credo. Battista sostiene, neanche tanto indirettamente, una visione egocentrica e chiusa della società. Trascura (volutamente?) aspetti antropologici e culturali delle radici ormai multietniche e multiconfessionali presenti nelle nazioni dell’Ovest e gli oppone alcune categorie come elemento assoluto e inviolabile. Una di queste è, appunto, la libertà d’espressione che tutti amiamo e difendiamo. Ma per questioni meno trascendenti quante volte s’è discusso sulla sua essenza profonda che, c’insegnavano da piccini, “finisce dove inizia quella altrui”.

E’ manifestazione di libero pensiero l’insulto gratuito privo di alcuna logica che certi politici si vomitano addosso per costume acquisito? Un buon educatore lo considererebbe un pessimo esempio. Un uso fondamentalista, incendiario della parola visto che di argomenti a sostegno non c’è ombra in simili smanie di “libertà”. E’ l’uso che la peggiore politica e la peggiore stampa nazionale e non solo offrono – ahinoi – quotidianamente. E’ libera una società senza regole? Battista per primo risponderebbe di no. Allora perché monsieur Charb, la cui faccetta sbarazzina con pugnetto chiuso (per caso si tratta d’un saluto guevarista?) troviamo sempre sulle pagine del Corsera, sostiene la necessaria libertà di calcare la penna d’una soggettiva verve satirica per ferire un sentimento religioso che lui non riconosce e non condivide?  Potrebbe anch’egli fare un passo oltre il suo punto di vista di editore, giornalista e cittadino e valutare gli effetti di un gesto che, in nome della libertà di satira, ferisce il punto di vista del musulmano o potrebbe ferire il fedele di qualsivoglia religione, come l’esempio delle fantasie sessuali col crocefisso giustamente stigmatizzate da Battista. L’unica libertà di questi prodotti creativi può diventare la libertà di bestemmia che in fondo non è un grande obiettivo per credenti e non.

Scopriamo che l’uscita estremista aumenta tirature e vendite del Charlie Hebdo e a loro tanto basta. Le possibili reazioni violente, e sicuramente fanatiche come quelle della scorsa settimana contro i simboli occidentali, non interessano a simili paladini della libertà d’espressione. Dovrebbero interessare a chi deve garantire aperture e convivenza. Ma certi difensori aprioristici del beau geste e della libertà quale criterio astratto, fra cui l’editorialista del Corsera finisce per collocarsi, decontestualizzano come hanno fatto a lungo in materia di revisionismo storico. Anche chi ama princìpi e ideali è bene che eviti d’irregimentare la geopolitica e la cultura sociale attorno a categorie che appartengono alla propria visione del mondo ma non all’intero mondo. Noi che siamo, volenti o nolenti, figli dell’Illuminismo e della temporalità papale, del 14 luglio e della Restaurazione con simili riferimenti esprimiamo qualcosa che risulta estraneo non solo agli sciiti afghani ma agli stessi più prossimi sunniti del Bosforo. Battista, Panebianco, altri ideologi dell’anti-intolleranza di ritorno da quegli acculturati che sono lo sanno bene. Eppure sfoderano ulteriori categorie: paura e viltà lanciate sull’orgoglio nazionale, dell’Europa, dell’Occidente, del catto-laicismo e di chissà quanti riferimenti di cui si nutrono il nostro passato e presente, spesso con risvolti nient’affatto rassicuranti. Pochi si sforzano a un approccio dell’altrui punto di vista, è più facile ostentare l’ombelico e meravigliarsi se altri non apprezzano l’esibizione. Se nel loro fondamentalismo s’incazzano, passano per intolleranti. Gli altri, sempre gli altri.



2 réactions


  • (---.---.---.6) 22 settembre 2012 12:48

    Ma come non capisci che se si comincia col "giudicare" se uno scritto o un disegno è un "insulto gratuito", si finisce quasi subito col censurare ogni espressione e con l’abolire la libertà di parola? Ma davvero dovremmeo rinunciare a una così grande conquista come la libertà d’espressione per rispettare sciocche superstizioni e credenze ?


    • (---.---.---.231) 22 settembre 2012 15:51
      Secondo me non è così semplice. In realtà la libertà di parola già subisce pesanti censure: apologia di reato, apologia del fascismo... Alcuni storici o sedicenti tali sono stati condannati per aver sostenuto tesi negazioniste della Shoàh, cioè NON per avere esaltato l’olocausto ma per aver detto che non è mai avvenuto; un vero e proprio reato di opinione. Esiste il reato di vilipendio alla religione e quello al capo dello stato (un concetto, quello di vilipendio, peraltro molto ambiguo perché separato dalla satira da un confine affatto incerto).
      Queste limitazioni alla libertà di espressione non ci sembrano tali, o quantomeno ci risultano sopportabili, semplicemente perché coincidono con la sensibilità personale della stragrande maggioranza delle persone, ma è logico supporre che per una minoranza esse siano vissute come prevaricazioni.
      Se ne giustifichiamo (o accettiamo) alcune, allora, difficile negarne (o rifiutarne) altre solo perché riferite a sensibilità che non appartengono alla nostra cultura. A meno che non si prenda a criterio quello dell’egemonia culturale, quindi arbitrario. 

Lasciare un commento