mercoledì 19 dicembre 2012 - Sergio Giacalone

Benigni e l’esegesi "ad hoc" della Costituzione repubblicana

Roberto Benigni ha un grande merito: quello di avere riportato gli italiani e riflettere sui massimi sistemi, sugli ideali che hanno fatto l’Italia, prima e al di là della fase repubblicana in cui viviamo (o languiamo).

Per far questo ha sfruttato la sua straordinaria capacità di toccare corde che danno voce ai migliori sentimenti del nostro popolo, in ciò nella fattispecie agevolato dalle molteplici chiavi di lettura cui si presta la Costituzione della Repubblica Italiana. L’abilità di Benigni è stata nel decontestualizzare il testo della Carta repubblicana dal momento e dalle pulsioni politiche che la generarono e calarlo nel nostro presente, leggendone ed esaltandone quelle note di ampio respiro, di pacificazione nazionale, di trasversalità politica cui il disposto costituzionale si presta. Tali pregi, però, non sono ascrivibili alla sbandierata grandezza o lungimiranza di quelli che con termine prosaico e un po’ truffaldino sono chiamati i “padri costituenti”.
 
Vale qui la pena di ricordare che i nomi di De Gasperi, di Nenni, di Pajetta, di Pertini, o di Sforza, prima che alla Costituzione vanno legati allo strapotere del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia che pretese di prendere in mano le redini dell’intero Paese all’indomani della Liberazione e di imporre la presenza dei partiti ciellenisti a tutti i livelli, partendo dal rionale o dall’aziendale, con la conseguenza di gettare così le basi per l’odiata lottizzazione che è indice di partitocrazia e che ha fatto di quella italiana una democrazia incompiuta.
 
La Costituzione stessa, vista nel contesto in cui fu generata, è il frutto di un costante compromesso politico fra l’istanza marxista dei social-comunisti e quella cattolica dei democristiani che la pressione ciellenista portò in massa alla Costituente. Questo ne fa un testo “sospeso” mai fattivamente schierato, pieno di intenzioni programmatiche e scarso di norme giuridiche direttamente attuabili o vincolanti. Un testo, insomma, nato sostanzialmente “contro” più che “pro”. Contro l’Italia monarchica e contro quella fascista e dunque contro la pregiudiziale risorgimentale che costituiva la radice dello stato unitario. Pro soltanto alla cristallizzazione del potere dei partiti pronti a preservarlo con ogni mezzo: si pensi alla paradossale scelta di Togliatti di votare a favore dell’art. 7, ossia il riconoscimento “tale e quale” dei Patti Lateranensi.
 
Il Concordato, non solo recava l’imbarazzante firma di Mussolini (unica concessione al passato fascista), ma poneva i cattolici in una posizione giuridica di privilegio nei confronti delle altre confessioni religiose (sperequazione corretta solo con la revisione del Concordato nel 1984). Eppure Togliatti disse sì, il motivo era evidentemente di natura squisitamente politica: il leader comunista, con il pragmatismo e l’intelligenza che lo caratterizzavano, pensava di mettere una lunghissima ipoteca di collaborazione con i democristiani nei futuri governi del paese. Non aveva fatto i conti con la voracissima balena bianca che tanti buoni propositi e alti ideali avrebbe fagocitato negli anni a venire. Questo solo episodio la dice lunga sulle valutazioni spiccatamente politiche che sottendono a molti articoli della Costituzione.
 

Non serve addentrarci nel reticolo degli articoli che fissarono per il nostro paese le regole di un parlamentarismo esasperato che vale l’ingovernabilità endemica che ha ammorbato l’era repubblicana: ne abbiamo un ricordo diretto. Così come conosciamo bene il valore e la portata delle rettifiche che negli ultimi anni la solita politica ha introdotto per correggere gli evidenti limiti costituzionali. Il c.d. “porcellum” è lì a ricordarceli. Un accenno specifico merita, invece, l’articolo 139, uno dei pochi articoli della costituzione con effetto giuridico immediato, che sancisce l’eternità della forma repubblicana dello stato. E’ qui che forse si vede più chiaramente quanto il vero spirito che animò la Costituzione fosse innanzitutto di pura reazione al passato: tutte le forze politiche presenti nella Costituente, a parte la povera minoranza liberale senza speranze, furono concordi nell’inibire per sempre al popolo italiano la libertà di ricorrere allo stesso strumento, il referendum istituzionale, con cui la Monarchia aveva permesso la nascita della Repubblica. Negavano così valore, in un solo articolo, a tutte le libertà concesse negli articoli precedenti.

Ho fatto questa lunga premessa per provare che il più grande pregio della Costituzione della repubblica italiana oggi sta proprio nel suo iniziale difetto. La nostra evidente avversione alla politica che ci ha governati negli ultimi 65 anni, le cui vergogne e miseri trucchetti ci sono finalmente stati svelati, ci ha resi paradossalmente sensibili ad un testo che proprio le trame politiche del tempo hanno voluto così: verboso e messianico, di modo da non propendere mai per una specifica parte politica e al contempo di contentarle tutte e dunque suscettibile di elevarsi al di sopra della stessa politica, di rendersene distante, almeno nelle sue professioni di fede, come oggi ci piace che sia. Su tali premesse interviene la straordinaria capacità di Benigni di parlare al cuore risorgimentale che ogni italiano tiene nascosto dentro di sé, dimenticato per volontà politica.

C’è un bisogno diffuso di riannodare i lembi di quel fil-rouge rappresentato dalla pregiudiziale risorgimentale che guidò l’Italia liberale e l’Italia fascista e che invece l’Italia repubblicana ha palesemente spezzato, a scapito della nostra identità nazionale. Va riconosciuto al comico toscano il merito di saper trarre questi principi da un testo che per le cose sopra dette si presta molto ad essere interpretato come se fosse un testo sacro, al cospetto del quale Benigni ha saputo farsi perfetto sacerdote più che esegeta critico. Un testo magistralmente presentatoci quale votato alla perfezione se non già perfetto, come invece la Costituzione della Repubblica Italiana, se calata nel suo contesto originale, non fu e non è.

 



2 réactions


  • (---.---.---.119) 19 dicembre 2012 10:49

    Ma su cosa ha fatto riflettere!? Ha presentato quello che avrebbe dovuto essere il momento supremo della vita sociale come il Paese dei Balocchi: cioè qualcosa che c’è, ma che non esiste! Per fortuna, la Costituzione era altro. Ben altro che l’esibizione di un giullare! Purtroppo, gli italiani l’hanno ridotta a questo! E quel che è peggio, è che non se ne rendano conto! Stanno piombando sempre più dentro una dittatura e ancora non se ne rendono conto, ammaliati come sono dalle fandonie sparate dal famigerato trio ABC! Alle prossime elezioni, daranno l’appoggio al rinnegato Bersani il quale con la sua politichetta fatta soltanto di tasse e di coartazione delle fondamentali libertà individuali, li inginocchierà veramente solo ed esclusivamente per favorire gli introiti degli speculatori della finanza. Questo spregevole servo di Goldman Sachs è il vero artefice dei mali italiani. Quando di questo la gente si renderà conto, sarà però troppo tardi!


    • (---.---.---.18) 19 dicembre 2012 12:34

      Amico egregio, suppongo che tu ti sia fermato all’introduzione... O che avevi comunque delle cose da dire e hai trovato questo spunto per dirle. Non mi sembrano particolarmente pertinenti in questo contesto ma è pur vero che sfogarsi fa sempre un gran bene! Bravo! :)
       


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