Benigni e l’esegesi "ad hoc" della Costituzione repubblicana
Roberto Benigni ha un grande merito: quello di avere riportato gli italiani e riflettere sui massimi sistemi, sugli ideali che hanno fatto l’Italia, prima e al di là della fase repubblicana in cui viviamo (o languiamo).
Non serve addentrarci nel reticolo degli articoli che fissarono per il nostro paese le regole di un parlamentarismo esasperato che vale l’ingovernabilità endemica che ha ammorbato l’era repubblicana: ne abbiamo un ricordo diretto. Così come conosciamo bene il valore e la portata delle rettifiche che negli ultimi anni la solita politica ha introdotto per correggere gli evidenti limiti costituzionali. Il c.d. “porcellum” è lì a ricordarceli. Un accenno specifico merita, invece, l’articolo 139, uno dei pochi articoli della costituzione con effetto giuridico immediato, che sancisce l’eternità della forma repubblicana dello stato. E’ qui che forse si vede più chiaramente quanto il vero spirito che animò la Costituzione fosse innanzitutto di pura reazione al passato: tutte le forze politiche presenti nella Costituente, a parte la povera minoranza liberale senza speranze, furono concordi nell’inibire per sempre al popolo italiano la libertà di ricorrere allo stesso strumento, il referendum istituzionale, con cui la Monarchia aveva permesso la nascita della Repubblica. Negavano così valore, in un solo articolo, a tutte le libertà concesse negli articoli precedenti.
Ho fatto questa lunga premessa per provare che il più grande pregio della Costituzione della repubblica italiana oggi sta proprio nel suo iniziale difetto. La nostra evidente avversione alla politica che ci ha governati negli ultimi 65 anni, le cui vergogne e miseri trucchetti ci sono finalmente stati svelati, ci ha resi paradossalmente sensibili ad un testo che proprio le trame politiche del tempo hanno voluto così: verboso e messianico, di modo da non propendere mai per una specifica parte politica e al contempo di contentarle tutte e dunque suscettibile di elevarsi al di sopra della stessa politica, di rendersene distante, almeno nelle sue professioni di fede, come oggi ci piace che sia. Su tali premesse interviene la straordinaria capacità di Benigni di parlare al cuore risorgimentale che ogni italiano tiene nascosto dentro di sé, dimenticato per volontà politica.
C’è un bisogno diffuso di riannodare i lembi di quel fil-rouge rappresentato dalla pregiudiziale risorgimentale che guidò l’Italia liberale e l’Italia fascista e che invece l’Italia repubblicana ha palesemente spezzato, a scapito della nostra identità nazionale. Va riconosciuto al comico toscano il merito di saper trarre questi principi da un testo che per le cose sopra dette si presta molto ad essere interpretato come se fosse un testo sacro, al cospetto del quale Benigni ha saputo farsi perfetto sacerdote più che esegeta critico. Un testo magistralmente presentatoci quale votato alla perfezione se non già perfetto, come invece la Costituzione della Repubblica Italiana, se calata nel suo contesto originale, non fu e non è.