Beit Lahia, la nuova Abu Ghraib
La cattura e l’umiliazione di più d’un centinaio di palestinesi a Beit Lahia cammina di pari passo con la desertificazione d’ogni presenza umana e materiale nella Striscia di Gaza.
S’intreccia in sordida assonanza alla unilaterale, totale, criminale, bestiale desertificazione con cui il governo Netanyahu e il braccio armato dell’Israel Defence Forces affermano di voler sradicare Hamas dall’intera area, mirando invece ad alleggerirla dalla presenza di due milioni di gazesi. Eppure il gesto di questa prigionìa che a detta dello Shin Bet è indirizzata a miliziani del Movimento di Resistenza Islamico, è più d’un abuso di soggettivi codici militari e di guerra. Non solo perché, come già accaduto in altre occasioni (le operazioni condotte nell’estate 2014) Tsahal stesso ammise che fra i parecchi catturati durante rastrellamenti di terra solo una quota minima risultavano combattenti. Ma ammesso che tutti i catturati di Beit Lahia fossero miliziani, gli si applica un trattamento che definire subumano è un eufemismo. Denudati, bendati, inginocchiati - l’Intelligence israeliana sostiene per ragioni di sicurezza affinché non si dileguino in un’area ormai totalmente controllata dallo stesso esercito di Tel Aviv - quegli uomini, fra cui sono stati già riconosciuti un giornalista, un operatore umanitario, appaiono prostrati non solo per la postura imposta ma per la vessazione subìta. Che potrebbe proseguire altrove, immaginiamo nelle carceri alla maniera dei lager del Terzo Millennio, già sperimentati dagli alleati della Cia e dell’Us Army a Guantanamo e Abu Ghraib.
Il fine è terrorizzare il nemico, anche quello presunto, semplicemente ostaggio d’una guerra che se ha per contendenti Hamas e l’Idf va a colpire soggetti inermi, prima i frequentatori del rave party e i kibbutzim israeliani, e da due mesi l’intero popolo della Striscia. La falsità dell’intervento d’Israele per liberare i concittadini rapiti è dimostrata dalla totale incapacità di compiere quest’operazione e dalla primaria volontà di portare morte e squallore su quel territorio. Fino al punto di assassinare, accanto a migliaia di gazesi, alcuni ostaggi stessi, l’ultimo Sahar Baruch, stritolato sotto le macerie d’una moschea bombardata. Cecità assoluta d’un delinquente che continua a guidare un Paese spaccato, ma impotente e bloccato nella volontà di liberarsene, mentre l’unica via per affrancare gli ostaggi israeliani in cambio di prigionieri palestinesi resta la trattativa. Che è quanto è accaduto giorni addietro e che solo i sanguinari non vogliono ripetere. Coi suoi abusi il governo d’Israele riporta la storia giuridica internazionale indietro di secoli, vanificando non solo qualsiasi diritto per presunti detenuti, ma lo stesso habeas corpus.
Enrico Campofreda