lunedì 20 ottobre 2008 - Laura Tussi

Antifascismo e identità europea

La prospettiva italiana e l’evoluzione nel resto d’Europa

Recensione al libro Antifascismo e identità europea, Carocci editore, a cura di Alberto De Bernardi e Paolo Ferrari. Presentazione presso la CASA DELLA CULTURA maggio 2004. Relatori: Alberto De Bernardi, Paolo Ferrari, Pier Paolo Poggio, Elisa Signori, Ferruccio De Bortoli.

Iniziativa organizzata in collaborazione con l’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) e FONDAZIONE MEMORIA DELLA DEPORTAZIONE



L’antifascismo si presenta come una questione storica aperta.

Mentre il fascismo costruisce il suo regime, i partiti e i gruppi antifascisti messi fuori della legalità dalle leggi del ’26 sono costretti all’esilio o alla clandestinità. Per molto tempo, l’antifascismo è costituito da gruppi ristretti, da piccole minoranze che sfidano la repressione poliziesca, se lavorano all’interno, e tutte le difficoltà dell’esilio, se operano all’estero.

I movimenti liberale e cattolico, salvo piccoli gruppi, confidano nella caduta del fascismo e, nell’attesa, sviluppano un’attività prevalentemente culturale in difesa di certi principi ideali e di preparazione di gruppi dirigenti. Sono antifascisti uomini appartenenti alla tradizione liberale come Benedetto Croce, Luigi Albertini (direttore del quotidiano "Corriere della Sera" dal 1900 al 1925), Giovanni Giolitti, Francesco Saverio Nitti. Essi in un primo momento avevano guardato con simpatia al fascismo ma poi ne avevano condannato l’autoritarismo. Un posto di riguardo ha il filosofo Benedetto Croce. La sua opposizione è soprattutto di carattere morale e intellettuale ed è forse per questo che viene tollerata dal regime.

Accanto ai liberali operano le forze di ispirazione democratica. Essi sostengono che solo la collaborazione tra la classe operaia e la borghesia può sconfiggere il fascismo. Principali esponenti sono Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, un illustre professore universitario di storia che, pur di non giurare fedeltà al partito fascista si dimette dall’insegnamento. In una lettera al rettore dell’università di Roma scrive: "la dittatura fascista ha soppresso ormai completamente le condizioni di libertà necessarie per guidare l’insegnamento della Storia come io lo intendo perché non è più uno strumento di libera educazione civile ma si riduce a servile adulazione del partito dominante o a una pura e semplice esercitazione erudita estranea alla coscienza civile del maestro e dell’alunno. Sono costretto perciò a dividermi dai miei alunni e dai miei colleghi con dolore profondo ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso. Ritornerò a servire il mio paese nell’insegnamento quando avremo riacquistato un governo civile". Gobetti e Amendola pagarono con la vita la loro opposizione al fascismo.

Antifascisti furono anche alcuni esponenti del disciolto Partito Popolare che Mussolini aveva dichiarato illegale come illegali erano tutti gli altri partiti, ad eccezione di quello fascista. Il fondatore, don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, un altro rappresentante del partito, furono costretti all’esilio. Proprio De Gasperi che sarà protagonista nella guerra di liberazione e diventerà il più importante statista italiano del secondo dopoguerra.

Un ruolo di primo piano nella lotta antifascista viene svolto, infine, da esponenti del Partito socialista come Filippo Turati, Sandro Pertini e Pietro Nenni; e del Partito comunista come Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti. In particolare Gramsci viene fatto arrestare da Mussolini nel 1926. Resterà in carcere fino al 1937, l’anno della sua morte. In questi lunghi anni scrive i "Quaderni del carcere", l’opera più importante dell’antifascismo italiano. "Il peggiore guaio della mia vita attuale - annota Gramsci - è la noia. Queste giornate sempre uguali, queste ore e questi minuti che si succedono con la monotonia di uno stillicidio hanno finito per corrodermi i nervi. Almeno i primi tre mesi dopo l’arresto furono movimentati: sballottato da un estremo all’altro della penisola, sia pure con molte sofferenze fisiche, non avevo tempo di annoiarmi. Sempre nuovi spettacoli da osservare, nuovi posti da vedere: davvero mi pareva di vivere in una novella fantastica. Ma ormai è più di un anno che sono fermo a Milano. In carcere posso leggere ma non posso studiare perché non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, solo fogli contati per la corrispondenza, che è la mia sola distrazione. Il mio incarceramento è un episodio di lotta politica che si continuerà a combattere in Italia chissà per quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso così come durante la guerra si poteva cadere prigionieri del nemico, sapendo che questo poteva venire e che poteva avvenire anche di peggio".

I due partiti socialisti (poi unificati), il partito comunista, quello repubblicano e altri gruppi democratici si organizzano all’estero e svolgono un lavoro clandestino in Italia. Il 3 gennaio 1925 l’idea che la lotta antifascista debba essere combattuta al di fuori della legalità – decisa dalla dittatura – viene lanciata da Non mollare, primo giornale clandestino che nasce a Firenze per iniziativa di Salvemini, Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e altri.

Nel 1926 Filippo Turati fugge avventurosamente all’estero aiutato da Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini. Nel novembre dello stesso anno viene arrestato a Roma Antonio Gramsci insieme a gran parte del gruppo parlamentare comunista. La guida del partito verrà poi presa in esilio da Palmiro Togliatti. Il partito comunista passa alla clandestinità completa ed è l’unico gruppo antifascista che continua a svolgere un’attività organizzata in Italia.

In Francia si ricostituisce la Cgdl per iniziativa di Bruno Buozzi e anche a Milano ne opera per qualche tempo una clandestina. Nel ’27, a Parigi, i due partiti socialisti, il partito repubblicano, la Confederazione del lavoro e la Lega italiana dei diritti dell’uomo costituiscono la Concentrazione d’azione antifascista. Nel 1930, a Parigi Carlo Rosselli, fuggito dal confine di Lipari insieme a Emilio Lussu, fonda Giustizia e Libertà che cercava di unire gli ideali democratici con quelli socialisti.

Una notevole ripresa dell’attività antifascista in Italia, che lascia semi fecondi per l’avvenire, si manifesta dal ’30 al ’32. Si deve principalmente al Pci e a Giustizia e Libertà. La repressione è durissima da parte della polizia e dell’Ovra, la polizia segreta il cui nome non è una sigla ed è deciso personalmente da Mussolini. In questo periodo bisogna segnalare alcuni casi individuali particolarmente tragici: l’anarchico sardo Michele Schirru partito dall’America per attentare alla vita di Mussolini (proposito che non attua e probabilmente decide di non attuare più), arrestato con una pistola viene poi fucilato per avere progettato di uccidere il capo del governo.

Un altro anarchico, Angelo Sbardellotto, viene arrestato con un passaporto falso, una pistola e un’ordigno e confessa di avere avuto l’intenzione di uccidere Mussolini. Viene condannato a morte e fucilato lo stesso giorno di Domenico Bovone, genovese emigrato in Francia che organizza alcuni attentati dinamitardi senza vittime. Viene arrestato dopo che lo scoppio di materiale esplosivo uccide sua madre e lo ferisce. E c’è anche il caso di Lauro De Bosis che decide di fare un’azione dimostrativa contro il fascismo nell’ottobre del ‘31: compra un aereo a Marsiglia, sorvola Roma dove lancia migliaia di manifestini. Fa rotta verso la Corsica, ma non ci arriva mai.

Nel ’34, comunisti e socialisti firmano un patto di unità d’azione e con Rodolfo Morandi anche il partito socialista forma a Milano un centro di attività interno. Svanite le speranze che la guerra d’Etiopia e le sanzioni internazionali contro l’Italia provochino una crisi del regime, gli antifascisti italiani si impegnano dalla fine del ’36 nella guerra contro Franco, Mussolini e Hitler, alleati nel rovesciare la legittima repubblica spagnola.

Il 27 aprile 1937 muore Gramsci, che non regge alla durezza del carcere fascista, e il 10 giugno dello stesso anno vengono assassinati i fratelli Rosselli. In Italia si assiste dall’estate del ’36 a una certa ripresa dell’attività antifascista, in misura notevole spontanea, per effetto della guerra di Spagna. Due anni più tardi la costituzione dell’Asse Roma-Berlino e la politica antisemita scuotono la coscienza di molti, soprattutto giovani. Inoltre, il continuo aumento dei prezzi diffonde malcontento tra gli operai e la piccola borghesia. Questa ripresa antifascista all’interno del Paese non mette certo in pericolo l’esistenza del regime, ma ha notevole importanza. Molti giovani infatti intensificano la loro attività, fanno nuove reclute (molti hanno militato anche in organizzazioni fasciste), e insieme ai più anziani reduci dall’esilio, dalle galere e dal confino, costituiranno i gruppi dirigenti della Resistenza.
Il collegamento tra le dimensioni di democrazia e antifascismo risulta vivo nella memoria pubblica e condivisa d’Italia e di tutta Europa, e per la consapevolezza della crisi del modello antifascista, in questo libro, si valutano e si sottopongono al vaglio storiografico ed all’analisi critica i suoi modelli storici e gli usi politici nel secondo dopoguerra, in quanto è proprio necessario ragionare in prospettiva continentale.
Nell’Europa Orientale l’antifascismo, disancorato dalla libertà democratica, venne utilizzato contro l’Occidente anticomunista e contro minoranze democratiche. Il ruolo dell’antifascismo negli Stati di “democrazia popolare” va inquadrato nel contesto politico degli anni ’30 e deve tener conto del regime di occupazione nazista in Europa e del ruolo dell’URSS e dell’Armata Rossa nella vittoria della guerra antinazista e nella liberazione dell’Europa centro-orientale.

L’antifascismo definito componente fondamentale dell’ideologia comunista, assunse le sembianze di una dimensione anticapitalistica ed antiborghese.
La crisi della tradizione antifascista rimanda complessivamente a processi reconditi e nascosti che investono il modello di unità nazionale e il sistema di legittimazione del sistema politico, in un contesto sociale postfordista e collocato in un nuovoo dopoguerra.

La storiografia maggiormente collegata al paradigma antifascista ha posto in evidenza il tema chiave del dibattito civile, affrontando la profonda revisione di prospettive storiche, storiografiche e culturali.

L’Italia può definirsi il luogo natale dell’antifascismo da cui si è sprigionata la dinamica propulsiva di un progetto politico, antagonistico allo Stato democratico e liberale, in quanto l’Italia è stata laboratorio della rivoluzione nazionalista, opposta inoltre all’egualitarismo universalistico comunista, in cui si sono ampliamente dispiegate le conseguenze assolutiste delle ideologie contrapposte all’antifascismo.



1 réactions


  • riccardo lala (---.---.---.38) 22 novembre 2009 18:09

    Mi sembra che dell’ "evoluzione nel resto d’ Europa" se ne parli pochissimo.

    Per essere completi, bisognerebbeinnanzitutto, ricordare grandi antifascisti (anche se di orientamenti culturali non omologabili a quelli italiani) che motivarono la loro posizione antifascista con la loro opzione per l’ unità dell’ Europa, come Coudenhove-Kalergi e von Moltke.

    Inoltre, bisognerebbe ricordare che il leader antifascista piemontese Duccio Galimberti, poco prima di essere ucciso, scrisse addirittura la prima bozza della Costituzione Europea.

    Infine, il problema del rapporto fra Russia e antifascismo è tutto da scrivere. Alle commemorazioni per i 20 anni dalla caduta del Muro, il Presidente Medvedev ha affermato che i crimini di Stalin non possono cancellare i sacrifici del popolo russo, grazie ai quali abbiamo l’ attuale Europa pacifica.

    Se si riduce tutto alla lotta fra fascismi, comunismo e liberaldemocrazia occidentale, dove va a finire l’"identità europea"?


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