martedì 12 gennaio 2010 - Grazia Gaspari

Rosarno. Ciò che i missionari non possono accettare. E noi?

Una donna muore per un malore.

La figlia, una bambina di cinque anni, l’ha vegliata per ore. Pensava che dormisse e non voleva svegliarla. Fathia Fikri, 43 anni marocchina, viveva in un appartamentino di Acquanegra sul Chiese, nel Mantovano con la figlia. Lavorava in una cooperativa per le pulizie. Un amico, preoccupato perché non riusciva a contattarla, l’ha trovata sul letto, con la piccola accanto.

Fathia da tempo non si sentiva bene. Non era andata dal medico, ha detto un’amica, per paura di dover stare a casa in malattia e perdere il lavoro. Quanti di noi pur malati continuano ad andare al lavoro per paura di perderlo?

In una città vuota e ripulita dell’ultimo nero, gli abitanti di Rosarno sono scesi in piazza per dire che non sono razzisti e che la colpa è dello Stato e dei media che li hanno criminalizzati.

Andranno loro a lavorare nei campi, dicono. Già, ma chi gli crede?

Abbiamo ancora negli occhi quelle facce impaurite, le stalle dormitorio, le grida e le invettive contro quei poveretti, i pullman carichi di braccia da un euro l’ora, per lavori che nessuno vuol fare. 

Immagini tristi, di sfruttamento, di crudeltà.

Ma non sono razzisti….

“Se i calabresi - scrive Vittorio Feltri - combattessero la ’ndrangheta con la stessa foga con cui si ribellano agli immigrati, risolverebbero i problemi della loro regione. Ma preferiscono i criminali agli africani che sgobbano al posto loro: peccato...". 

Chissà perché?

Il Corriere della sera ricorda l’epoca in cui eravamo noi gli immigrati, spesso clandestini.

“Anche i nostri nonni furono portati in salvo come i neri di Rosarno – scrive Gian Antonio Stella - Le autorità furono costrette a organizzare dei treni speciali per sottrarli nel 1896 al pogrom razzista scatenato dai bravi cittadini di Zurigo. E altri gendarmi e altri treni avevano sottratto i nostri nonni, tre anni prima, ad Aigues Mortes, alla furia assassina dei francesi che accusavano i nostri, a stragrande maggioranza «padani», di rubare loro il lavoro”.

Ma la Lega e il Ministro Maroni non conoscono la storia?

Scrive l’Osservatore Romano: “Nel 2010, siamo ancora all’odio. Ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto".

"Ci sono responsabilità diffuse che non intendiamo più tollerare" - dichiara il Ministro Maroni – “Gli immigrati di Rosarno che le forze di polizia hanno trasferito nei centri di Crotone e Bari, se risulteranno clandestini, verranno espulsi .La legge si applica e non si può fare diversamente".

Bene, cosa intende fare il ministro Maroni nei confronti di coloro che hanno avuto alle dipendenze i neri e non hanno regolarizzato la loro posizione? E dei responsabili che dovevano stroncare gli abusi e non lo hanno fatto?

Anche per questi reati vale il principio enunciato dal ministro? Anche per quegli sfruttatori e per coloro che giravano la testa dall’altra parte per non vedere la legge si applicherà perché non si può fare diversamente?

O è una legge ad unica direzione?

A fianco degli immigrati si sta schierando il popolo di Facebook.

Le firme raccolte sono migliaia ed è in preparazione la prima manifestazione virtuale contro il razzismo.

Sono con i cacciati anche le comunità missionarie dei comboniani, in primis quella di Castel Volturno, poi quella del Rione Sanità di padre Alex Zanottelli, missionario per trent’anni in Africa.

Ecco cosa dicono:

Il ministro degli Interni Maroni ha dichiarato che i disordini di Rosarno sono il frutto di troppa tolleranza nei confronti dei clandestini. Come missionari, questa affermazione ci indigna. Riteniamo, infatti, che la situazione di sfruttamento e di degrado civile e umano dei migranti a Rosarno, sia la prima causa di tale violenza.

È tolleranza sfruttare i migranti clandestini nel loro lavoro stagionale? È tolleranza accettare che i clandestini vivano in condizioni di assoluto degrado igienico ed ambientale ? Qualcuno si è mai preoccupato di allestire alloggi decenti per i lavoratori stagionali? La violenza è di chi li costringe a vivere nei ghetti, di chi li sfrutta nei campi, di chi li tratta come animali.

Uno degli slogan degli immigrati era: "Noi non siamo animali". In questo modo, essi urlano al loro dignità, il loro essere figli di Dio. Ci stanno dicendo che la loro oppressione è un peccato che urla contro il cielo.

Ciò che noi missionari non possiamo accettare è di giocare con la disperazione delle persone disposte a tutto pur di poter guadagnare qualcosa.

I fatti di Rosarno rivelano ciò che da tempo è evidente: non si può risolvere il fenomeno migratorio con la paura e la repressione.



9 réactions


  • Rocco Pellegrini Rocco Pellegrini (---.---.---.3) 12 gennaio 2010 11:02

    ringrazio tutti quelli che hanno fatto o faranno qualcosa a favore di questi poveracci, spinti da un senso di umanità che sta diventando merce rara e preziosa in questo sfortunato paese. Tutti noi italiani abbiamo un qualche parente, forse ormai morto, che ha vissuto queste tragedie negli USA, in Canada, in Svizzera, in Germania o in tantissimi altri posti nel mondo. Eppure dimentichiamo, facciamo finta di non ricordare, ci comportiamo da sepolcri imbiancati. Oggi che abbiamo qualche soldo nelle tasche siamo diventati peggiori di quando eravamo straccioni. Eppure qualcosa mi dice che la gente comincia a provare vergogna...


  • Rocco Pellegrini Rocco Pellegrini (---.---.---.3) 12 gennaio 2010 13:12

    riporto da una lettera di padre Claudio Crimi, missionario comboniano, un intervento molto interessante su ciò che sta dietro i fatti di Rosarno che merita di essere vista.....



    Quanti sono gli immigrati che lavorano nelle campagne italiane?
    Nel nostro Paese tutti gli occupati in agricoltura sono 923 mila. Erano un milione e 120 mila nel 2000. Nello stesso anno, gli immigrati che lavoravano nel settore agricolo si contavano in 102 mila unità. Erano 23 mila dieci anni prima e oggi raggiungono le 172 mila unità. 
    In Calabria erano meno di un migliaio 20 anni fa e sono arrivati a 9 mila. In Puglia da 6 mila sono passati nel ventennio a circa 26 mila. Gli incrementi più consistenti si sono verificati nelle regioni del Centro e del Nord, dove si sono decuplicati. Oggi in Lombardia sono 17 mila, in Veneto 19 mila, nel Trentino 15 mila, in Emilia Romagna 18 mila, in Toscana 10 mila, nel Lazio 6 mila.
    Ma questi sono i risultati di un’indagine dell’INEA (2009) che ha potuto elaborare solo dati ufficiali. Non sono considerati i tanti immigrati irregolari che spesso vengono sfruttati soprattutto nelle regioni del Sud, dove arrivano con la speranza di racimolare un po’ di denaro raccogliendo pomodori, pulendo le vigne dalle erbacce, strappando frutti alla terra, e si ritrovano invece in condizioni da incubo, alla mercè di caporali, intenti a regolare e controllare non solo il lavoro ma la vita dei nuovi schiavi. Questi, infatti, negli ultimi anni spesso sono scomparsi nel nulla o sono morti in circostanze misteriose. I giornali ne hanno parlato nella cronaca nera ma il giorno dopo si è voltato pagina.

    Nel Rapporto di Medici Senza Frontiere (2007) si dice senza mezzi termini che ad avallare siffatta situazione di profonda illegalità e ingiustizia sociale troviamo “un atteggiamento ambiguo o ipocrita del sistema istituzionale italiano nei confronti dell’immigrazione irregolare. Da una parte si registrano misure di contenimento del fenomeno migratorio con politiche dal pugno di ferro tese a combattere la clandestinità a difesa della legalità. Dall’altra le stesse istituzioni nazionali e locali si tappano occhi, orecchie e bocche dinanzi al massiccio sfruttamento di stranieri nelle produzioni agricole del Meridione perché necessari al sostentamento delle economie locali. L’utilizzo di forza lavoro a basso costo, il reclutamento in nero, la negazione di condizioni di vita decenti, il mancato accesso alle cure mediche sono aspetti ben noti e tollerati. I sindaci, le forze di Stato, gli ispettorati del lavoro, le associazioni di categoria e di tutela, i ministeri: tutti sanno e tutti tacciono”. E’ una denuncia che proviene da chi frequenta quei luoghi e cerca in solitudine di bagnare le labbra assetate di quei poveri cristi.


    Nelle pianure meridionali, soprattutto polacchi, romeni, bulgari, e non più soltanto africani, hanno preso il posto dei vecchi contadini. E caporali spesso stranieri, al servizio dei proprietari italiani, si sono sostituiti ai vecchi caporali, dando vita alla più grande rivoluzione antropologica del Mezzogiorno rurale negli ultimi vent’anni.
    I nuovi braccianti non sono più le donne e gli uomini dei paesi dell’interno che, privi di qualsiasi altra prospettiva, partivano d’estate ogni mattina coi pulmini verso le aree costiere, ma sono giovani maschi appena giunti in Italia, disposti a svolgere qualsiasi mansione pur di guadagnare un po’ di soldi per poi cercare un impiego più stabile in altri settori e in altre regioni europee. 
    E i nuovi caporali non sono i semplici intermediari che ci eravamo abituati a vedere nelle pianure meridionali al tempo di raccogliere i prodotti dalle piante, ma sono diventati - col tacito accordo dei proprietari dei terreni – gli asettici gestori di un “campo di lavoro”, dove i diritti minimi e ogni forma di ragionevolezza sono soppressi e i corpi delle persone sono ridotte a”nuda vita” da afferrare, manipolare, violentare, sopprimere.
    Riempiendosi di questi “campi” fuori dalla legge, le campagne meridionali non sono regredite nell’Italia contadina di una volta, come potrebbe apparire ad un osservatore frettoloso, ma sono state catapultate nella postmodernità più cruenta, verso un grado di sfruttamento di quella “nuda vita” quasi totalitario, che gli stessi caporali vissuti ai tempi di Di Vittorio avrebbero faticato a ideare.

    Gli atti di efferata aggressività, compiuti da alcuni anni a questa parte come uno stillicidio continuo da un caporalato siffatto, sono sfociati nella guerriglia che abbiamo visto svolgersi a Rosarno. Un’autentica jacquerie, una ribellione odiosa ma inevitabile quando la schiavitù diventa intollerabile. E come ci ha spiegato Antonio Cisterna, sostituto procuratore Antimafia, “quando la gente si è sentita aggredita, si è rivolta ai mafiosi che sono stati costretti ad intervenire per non perdere la faccia”. Sicché, alcune squadracce di giovani caporali sono stati inviati per incutere terrore.

    Ma la jacquerie potrebbe diffondersi in altre aree del Mezzogiorno perché vicende come quella calabrese sono, in realtà, sedimenti di storia. Si tratta di una violenza irrisolta che ritorna ad esplodere in forme marcatamente diverse dal passato ma che trova linfa in comuni radici. E’ un’onda lunga che riaffiora. E siccome noi tutti – come ammonisce Alessandro Leogrande nel suo libro-inchiesta “Uomini e caporali” (2008) - chi per un verso e chi per un altro, veniamo da quella storia, conviene che insieme dipaniamo questi fili invisibili che portano alle matasse aggrovigliate del passato.
    Nei primi anni Venti e alla fine degli anni Quaranta, gli agricoltori aggredivano di persona o facevano massacrare braccianti e contadini senza terra spinti dal timore di perdere i propri possedimenti. Tornando dal fronte affamati di un pezzo di terra dove ricominciare una vita degna di essere vissuta, i cafoni costituivano agli occhi di tanti proprietari terrieri, o di massari e fittavoli che si ingegnavano a diventarlo, una minaccia ineluttabile per la sicurezza dei loro beni. E le frequenti occupazioni di terre di proprietà privata, spesso condotte in forme spontanee e anarcoidi fuori dal controllo dei partiti di sinistra e dei sindacati, venivano percepite come prepotenze ingiustificate e finivano per alimentare odio e rancore. 
    Si sono così ulteriormente forgiate relazioni sociali che si manifestano solo con la violenza e l’aggressività specie nei periodi in cui le insicurezze si allargano a macchia d’olio.

    Forse non è la miseria il principale retaggio del passato, ma la disumanità delle relazioni e la bestialità della sopraffazione. E’ la violenza quando non riesce ad essere contenuta da comportamenti improntati ai valori della reciprocità e della gratuità, che pure affondano le proprie radici nel mondo rurale. 
    E’ per questo che, nelle fasi più acute dei conflitti sociali del secolo scorso, quando la violenza non ha trovato canali di sbocco nella costruzione di organizzazioni sociali affidabili e di processi politici volti ad incivilire le contese, essa ha lasciato spazio ad involuzioni autoritarie. Quando viceversa, come nel secondo Dopoguerra, la violenza diffusa nelle campagne è stata incanalata dai partiti di massa nelle lotte per la democrazia, essa ha lasciato il campo al rigenerarsi di quei valori di mutuo aiuto e di solidarietà del mondo contadino che hanno potuto permeare le relazioni sociali nei decenni successivi.

    Oggi tutto questo pare essere scomparso di nuovo. E nell’acuirsi dei conflitti sociali di un’Italia multietnica e multiculturale, nelle campagne meridionali non solo sono venute a mancare le lotte ma brillano per la loro assenza i partiti e le organizzazioni sociali. E vanno via i giovani, alcuni perché non trovano opportunità di impiego in dinamiche economiche sganciate dalle risorse territoriali, altri perché rinunciano ad avviare nuovi percorsi. E tutto è lasciato al degrado con l’arrivo di nuovi “cafoni”, nuovi “bravi” e nuovi signori feudali che stabiliscono la posta in gioco in territori ormai privi di comunità.

    Forse solo un processo di ricomposizione dei legami comunitari nelle campagne, che veda protagoniste leve di giovani autoctoni e di giovani stranieri in nuove attività economiche legate ad un’agricoltura che produce contestualmente beni alimentari e servizi alla persona e in grado di ritessere le trame sociali di mutuo aiuto e di gratuità, potrebbe permettere al nostro Mezzogiorno di affrancarsi dagli atavici venti di violenza che soffiano impetuosi nelle sue lande e di produrre un’innovazione che si innesti sulle radici migliori della tradizione. 
    Tale processo non si avvia spontaneamente, ma solo se nascono nuovi movimenti, nuovi partiti e nuove organizzazioni sociali che si assumono il ruolo di promuoverlo.
    E’ per questo che, dopo i fatti di Rosarno, dobbiamo rimettere al centro dell’iniziativa politica e sociale il Mezzogiorno e i giovani, le due priorità che ci ha indicato Giorgio Napolitano la sera di S. Silvestro. Aggiungendo, dopo i tristi eventi calabresi, una terza priorità che il presidente ha tralasciato: l’agricoltura. Su questi tre temi prioritari dobbiamo elaborare obiettivi concreti su cui costruire movimenti che durino, progetti che innestino percorsi reali di sviluppo e di cambiamento.

     

    Alfonso Pascale


  • Renzo Riva Renzo Riva (---.---.---.223) 12 gennaio 2010 13:31

    No so se avete colto l’enormità del comportamento dei regolari, si fa per dire, assunti nelle cooperative calabresi, quelle che avevano anche contemporaneamente 100 donne in maternità contemporaneamente, che si comportano come i "camalli" dei porti italiani che titolari di un posto intascavano lo stipendio e mandavano a lavorare un altro in loro vece.
    Quello che però nessuno ha evidenziato è che i calabresi, dopo 180 giorni di lavoro fatto dagli extracomunitari in nero, percepiscono la CIG agricola per altri sei mesi e così la giostra continua all’infinito.
    Italia con un popolo di coglioni sia sinistri che ambidestri.

    Che poi l’autrice Grazia Gaspari pensi di aver fatto la sua parte nel denunciare col fare mellifluo dei buonisti una situazione che è ancora più tragica a causa delle eterne scimmiette istituzionali, sindacali, datoriali e cooperativistiche dà la misura della decadenza della nostra società.

    Che poi Alfonso Pascale continui nell’evocazione dell’ectoplasma quirinalizio, anche lui mellifluo buonista a caccia del facile consenso evocando spesso gli infortuni sul lavoro invece di comportarsi come costituzione comanda ovvero di rivolgere un messaggio di richiamo istituzionale alle camere su ogni tema lui ritenga il parlamento insieme al governo, totalmente o parzialmente inadempiente, la dice lunga sui "Mandarini della Casta".

    Aggiungo un’ altra considerazione di cui nessuno ha ancora colto la vera natura, e che riporto dal forum dei Radicali Italiani

    http://forum.radicali.it/content/proposta-serissima-2-aliquote

    dove l’avevo postata:

    Licheri scrive:

    Si chiama progressiva perché l’aliquota aumenta con l’aumentare dell’imponibile. Se l’aliquota è unica non è progressiva.

     

    Con due aliquote si sono parati il culo dall’incostituzionalità.

    La vera fregatura per gli italiani è lo spostamento dal reddito a tassazione progessiva al consumo, dove i percettori di minore reddito pagano la stessa IVA dei redditi dei MANDARINI CASTAIOLI; e nessuno coglie l’empietà di questa sbandierata riforma fiscale.

    Ad un popolo di coglioni si può propinare di tutto! Popolo di lemming.

    Mandi,

    Renzo Riva

    [email protected]

    349.3464656


  • (---.---.---.195) 12 gennaio 2010 18:39

    Ottimo articolo Grazia Gaspari, i Comboniani sono tra i pochi rimasti a far poche chiacchiere e molti fatti sia qui che in Africa e altrove.
    Non vedo nulla di mellifluo e buonista, come dice il Sig. Riva.
    La situazione diviene esplosiva in quelle condizioni di degrado del lavoro e di vita.
    Che Maroni il razzista vada lui a raccogliere i mandarini a 20 euro al giorno!
    Roberto Rega


  • (---.---.---.3) 12 gennaio 2010 18:57

    Renzo Riva scrive Una cosa interessante, ovvero che chi lavora nelle cooperative agricole di Rosarno, e immagino in altre, non va a lavorare. Ha la titolarità, ma lui non lavora. Al suo posto lavora o ha finora lavorato il clandestino per un euro l’ora. 

    Il titolare percepisce un salario intero, al clandestino da una miseria e il gioco è fatto!!!! 
    Una situazione gravissima in cui tutti sono conniventi e colpevoli. 
    Aggiunge ancora Riva: "quello che però nessuno ha evidenziato è che i calabresi, dopo 180 giorni di lavoro fatto dagli extracomunitari in nero, percepiscono la CIG agricola per altri sei mesi e così la giostra continua all’infinito" 
    Dov’é l’ispettorato del lavoro? I sindacati che fanno? E il ministro Maroni?
    .Riva polemizza poi con me accusandomi di essere una buonista melensa :))) Che vuol dire? Dovrei essere una cattivista dura e cruda? ma anche in questo caso che significa? 

     

  • (---.---.---.3) 12 gennaio 2010 19:12

    Sempre a proposito del problema e della critica posta da Renzo Riva ho trovato su Fecebook una nota interessante di Filippo Cusumano con relativo dibattito che mi sembra rispondere a ciò che solleva Riva.....il titolo è "Esistono i rosarnesi onesti? (Domanda politicamente scorretta)" 


  • pv21 (---.---.---.83) 12 gennaio 2010 19:52

    Nessuno ha interesse a scoprire un tessuto economico per larga parte "sconosciuto" all’INPS ed al Fisco. Nessuno ha interesse a tagliare la "rete" gettata dalla malavita su attività ad alto tasso di manodopera. Rende di più ricorrere ai LANCI in caduta libera e a quella SAGA dei clandestini voluta da chi vorrebbe negare loro anche il diritto di esistere. (==> http://forum.wineuropa.it


  • (---.---.---.58) 13 gennaio 2010 09:44

    bravi i missionari comboniani..per quel che riguarda le migliaia di cittadini extracomunitari cacciati grazie alla " tolleranza zero" proclamata dal governo col ministro Maroni, non solo bisognerebbe ricordargi la nostra migrazione, ma anche che gli italiani non vogliono più lavorare la terra. Ho intervistato due piccoli imprenditori di rosarno in lacrime per i raccolti di arance e olive per terra, senza più nessuno che le prenda..non solo cacciamo chi lavora per noi..ma andremo presto ad importare i migliori prodotti della nostra agricoltura! non solo, dunque, assenza di solidarietà, ma anche incapacità di pensare ai nostri interessi.


  • Renzo Riva Renzo Riva (---.---.---.223) 13 gennaio 2010 19:03

    Grazia,
    le tue considerazioni mi hanno sorpreso.
    Ti concedo che non conoscevi certi meccanismi perversi di spesa assistenziale.
    Sono anticomunista e socialista (i comunisti li ho conosciuti nella CGIL quando ero sindacalista della Fiom-CGIL nell’Alt(r)o Friuli) sento che potrei dialogare con una persona come te.
    Nel 1987 ammonivo tutti, sia i socialisti che i comunisti, nel partito e nel sindacato, a non uscire dall’elettronucleare.
    Oggi paghiamo caramente ciò con le delocalizzazioni passate, presenti e future e non si vede alba per lo scempio di posti di lavoro.
    L’ultima vicenda ALCOA di oltre mille lavoratori che perderanno il posto di lavoro perché in Italia il sistema offre tariffe elettriche incompatibili con quelle più competitive nel resto d’Europa e del Mondo.

    http://forum.radicali.it/content/renzo-riva-avanti
    http://forum.radicali.it/content/renzo-riva-avanti?page=30

    Entro i due link che rapprentano l’alfa e l’omega della mia azione di responsabile Energia e Ambiente del Nuovo PSI F-VG e responsabile del C.I.R.N. F-VG Comitato Italiano Rilancio Nucleare puo farti un’idea di chi sono e cosa intendo rappresentare.
    Se lo ritieni utile potremo continuare via mail questo dialogo oltre che in rete.

    Mandi,
    Renzo Riva (anni 60)
    [email protected]
    349.3464656


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