mercoledì 20 maggio 2009 - Damiano Mazzotti

Loretta Napoleoni e la morsa della crisi globale

Nel libro “La morsa” di Loretta Napoleoni si analizzano le disastrose vicissitudini economiche e politiche occidentali e orientali degli ultimi anni (www.chiarelettere.it, 2009).

Il nuovo disordine mondiale inizia insieme al crollo dell’Unione Sovietica: “per le banche islamiche si apre una serie di inaspettate opportunità di crescita. La penetrazione commerciale va di pari passo con l’indottrinamento religioso, sbocciano i gruppi armati islamici” (Napoleoni, p. 55) che giungono anche in Bosnia e Kosovo. “La jihad moderna è dunque un miscuglio di ideologia rivoluzionaria fondamentalista, ricerca di identità musulmana e forti aspirazioni socio-economiche”. E si sviluppa la finanza islamica: il primo ministro malese Mohamad Mahathir rifiuta l’intervento del Fondo monetario internazionale… accusa la finanza occidentale di voler indebolire il suo paese… e attira capitali internazionali con la vendita di nuovi prodotti finanziari: i buoni del tesoro islamici (sukuk). “La formula funziona e quello malese diventa il primo caso di salvataggio finanziario islamico e nessuno può negare che sia stato un vero successo” (p. 22).

Naturalmente l’undici settembre 2001 ha avuto la sua influenza sulla crisi economica mondiale e appaiono diversi scenari possibili per spiegare l’inattività americana nel contrastare i terroristi. Di certo si sa che “almeno undici paesi avevano avvertito gli Stati Uniti di un possibile attentato, tra questi l’Algeria e l’Egitto. Nella primavera del 2001 Condoleza Rice avvisa il governo dell’imminenza di un’importante aggressione sferrata per mezzo di alcuni aerei. Nell’estate del 2001 due alti funzionari del Mossad (servizi segreti israeliani) si recano a Washington e mettono in guardia l’FBI e la CIA sul fatto che una cellula terroristica fedele a Bin Laden sta preparando un attacco (p. 38). Probabilmente il governo americano non è stato in grado di accettare la sua debolezza a livello psicologico e ancora oggi fa fatica ad ammettere il suo manifesto declino economico e finanziario. E “a tutt’oggi un sistema globale per lo scambio d’informazioni sul finanziamento del terrorismo non esiste. I veri banchieri di Bin Laden rimangono impuniti” (p. 34).

Ma già nel 2000 è il rallentamento della crescita economica a ridurre i salari. “A intaccare ulteriormente il potere d’acquisto della nazione interviene l’impennata del prezzo del petrolio che dai 18 dollari al barile del 2001 passa ai 40 nel 2004. Secondo uno studio di Merrill Lynch, ogni aumento dell’1 per cento alle pompe corrisponde a una perdita di un miliardo di dollari per l’economia… tradotto in potere d’acquisto circa 100 miliardi di dollari scompaiono dalle tasche degli americani” (p. 68) e finiscono alle grandi famiglie del petrolio. Comunque, con l’aumento del prezzo del petrolio ci hanno guadagnato anche le compagnie petrolifere americane e inglesi legate a Bush, che fino ad allora avevano dei costi di estrazione troppo elevati e quindi non competitivi.

Inoltre la deregulation economica e finanziaria iniziata negli anni Novanta favorisce anche l’economia del terrore e quella criminale. I fondi si possono spostare facilmente da un paese all’altro e possono provenire da attività lecite (donazioni e salari) e illecite (mercati illegali e traffico di stupefacenti). In questo modo si vengono a creare gli Stati Guscio: degli stati informali e violenti dove i miliziani controllano una regione con la forza delle armi e amministrano gli ospedali e i sussidi ai più bisognosi. Così è successo a suo tempo con gli Hezbollah in Libano, con Moqtada al Sadr in Iraq (a Sadr City) e con Bin Laden in Waziristan (una regione tribale pakistana). Ad esempio in Iraq nasce un’economia di guerra dove gli eserciti privati sciiti, le milizie sunnite e i jihadisti di al Qaeda competono per il furto di petrolio importato (raffinato), per i sequestri di iracheni e di stranieri e per il contrabbando di armi (l’Iraq possedeva il più grande arsenale di armi convenzionali al di fuori degli Stati Uniti).

Gli affari con la criminalità organizzata diffondono tutte queste armi in paesi come la Somalia, il Sudan e il Libano. Invece per Washington i costi stanno diventando insostenibili, anche con l’abbattimento del tasso d’interesse e la sfrenata emissione di buoni del tesoro (rifilati a Cina e Giappone e sempre più inflazionati). I finanziamenti delle guerre americane e i guadagni delle multinazionali delle armi rischiano quindi di far affossare definitivamente l’economia civile degli Stati Uniti e il sistema economico mondiale come accadde con la guerra del Vietnam e il rifiuto del Gold Exchange Standard da parte di Nixon (il “Gold” era il sistema di cambi monetari basato sulle riserve auree della Federal Reserve). Di fatto il Patriot Act ha scatenato una fuga dal dollaro da parte degli investitori mediorientali e dei capitali derivanti dal riciclaggio. Anche la ‘ndrangheta che opera a livello mondiale ha preferito l’euro. E Londra e Dubai sono diventate dei paradisi fiscali. Londra (la capitale finanziaria), Las Vegas (la capitale del gioco d’azzardo e del divertimento) e Dubai (la capitale dei giochi d’azzardo finanziari e del riciclaggio) sono quindi i simboli del mondo globalizzato “che ha perso la bussola sociale ed esistenziale e da almeno un decennio viaggia alla deriva in un oceano d’illusioni” (p. 155). Ma il protezionismo economico non è la soluzione di oggi, come non lo è stata nel ’29 (in realtà la crisi durò 43 mesi, fino al 1933): “Se l’America abbandona la difesa del libero commercio, allora anche ciò che rimane del suo economico e politico andrà in frantumi” (p. 162).

Comunque “alla radice della crisi del credito c’è la compravendita del rischio, bancario o finanziario, come se si trattasse di un bene e la (illusoria) produzione di ricchezza legata a questo commercio” (p. 165). La crisi del credito e la recessione hanno distrutto questa ricchezza contabile anche perché gran parte dei bonus milionari degli amministratori truffaldini sono stati pagati in contanti e hanno prosciugato le casse degli istituti privati che ora sono costrette a fare soldi su ogni singolo cittadino, anche grazie ai fondi stanziati dai governi (il parco buoi). E se le azioni di una banca scendono da 70 a 2 dollari significa che gran parte dei soldi depositati sono spariti. Questi furbi dirigenti di banca e operatori di fondi finanziari stanno aspettando zitti zitti la prossima vera crisi che comporterà l’abbassamento generale dei prezzi di azioni, industrie e immobili, per comprarsi tutto quello possono. E Il trasferimento del rischio privato in rischio pubblico operato da molti governi è un’operazione in molti casi inutile e dannosa: è come spendere 500 mila euro per far sopravvivere un moribondo per un mese invece di garantire un futuro ai suoi figli.

La finanza è un gioco a somma zero e molti salvataggi sono come una trasfusione di sangue in un poli-traumatizzato grave con lesioni interne incurabili. Pensiamo poi alle case acquistate senza capitale: “abbandonandole si perdono solo le rate pagate e nulla più. Proviamo a considerare questa perdita come un affitto, non come una sconfitta sociale” (Napoleoni). La teoria liberale di Adam Smith afferma che gli immobili non sono una fonte di ricchezza. “Anche quando si possiedono e si affittano il gettito monetario proviene da un’altra attività, un’attività produttiva. Ecco l’altro errore del modello economico attuale: che il motore della crescita economica occidentale non sia più la produzione ma il consumo” (p. 169). Bisogna accettare il fatto di aver costruito troppe case e a volte anche troppo costose: troppi soldi sono stati immobilizzati in questo tipo di operazioni immobiliari impazzite. Ma il problema fondamentale di questi governi di teatranti è che con le loro azioni pignorano la ricchezza futura delle prossime generazioni. Del resto chi non è nato o non è maggiorenne non conta nulla. E i politici, che sono al servizio dei potenti, non vogliono ammettere che questo sistema non funziona più e va radicalmente cambiato (Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia).

Anche se la realtà è che “le banche hanno usato i nostri depositi, i nostri investimenti previdenziali” e i risparmi di una vita per giocare d’azzardo a Monopoli 2000: un nuovo gioco matematico e finanziario simile alle vendite piramidali. Cioè le banche e le società finanziarie si rivendevano i debiti tra di loro e poi li trasformavano in fantascientifici titoli con una funzione simile a quella dell’asino caca soldi di Bertoldo: cioè ti davano molti interessi nei primi mesi e poi ti davano moltissime perdite a medio e lungo termine. Così potevano essere venduti ad aziende e ai privati. Quindi un intervento di nazionalizzazione alla svedese con il controllo diretto delle banche da parte dei governi dovrebbe essere l’unica terapia accettabile, giusta, utile e sana. “Se l’alta finanza si divertiva a giocare d’azzardo, paghi le conseguenze di questa follia invece di prosciugare i soldi necessari alla ripresa economica” (p. 173). E forse occorrerebbe anche un team di scienziati e di professionisti eclettici, pragmatici e saggi con la capacità di combinare gli elementi di teoria economica liberista, socialista (del nord Europa), neokeynesiana e islamica per impiegare al meglio i giusti investimenti nell’economia reale della produzione. Nascerebbe così la nuova Economia Democratica Globale.

Fatto sta che i criminali sembrano essere gli unici ad aver piena fiducia nel dollaro statunitense: a quanto pare credono di conoscere bene i loro polli.

P. S. Vi ricordo che il grande economista John Maynard Keynes disse: “La difficoltà non sta nel credere a nuove idee ma nel fuggire dalle vecchie”.




Lasciare un commento