martedì 5 maggio 2009 -
Fiat: la crisi come opportunità in senso ampio

Dell’attuale produzione di automobili della Fiat, solamente un terzo circa viene prodotto in stabilimenti localizzati in Italia.
Se a questo aggiungiamo il matrimonio con Chrysler, ancor prima dell’ipotesi di un ulteriore secondo accordo con General Motors per Opel, appare difficile continuare a pensare alla Casa automobilistica torinese come qualcosa di strettamente italiano.
Albert J. Dunlap, famoso dépeceur di imprese, cioè uno che le imprese le fa a pezzi per guadagnarci sopra nel rivenderle, ha asserito «L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori e neanche al luogo il cui è situata».
Dunlap, naturalmente, non pensava all’«appartenenza» con l’accezione di «proprietà», bensì soprattutto con l’accezione di «processo di gestione», e cioè voleva significare che, a suo avviso, i dipendenti, i fornitori e gli esponenti di una località non hanno e non devono avere voce alcuna nelle decisioni che gli investitori possono prendere.
A questi ultimi spetta il vero potere di decidere, così come di respingere, di non tenere in alcun conto e di non accettare qualsiasi commento o richiesta gli altri possano avanzare sul modo in cui gestiscono l’impresa.
Con questo messaggio Dunlap non faceva una dichiarazione di intenti, ma, a suo parere, una incontrovertibile constatazione dei fatti.
Se il management FIAT, nel suo considerare l’attuale crisi economico-finanziaria come una opportunità si fosse fermata a Dunlap, la avrebbe interpretata in senso ristretto e limitato e, con ogni probabilità, non sarebbe riuscito a raccogliere alcun risultato.
Lo vediamo, invece, fare carta straccia di questo avviso e dialogare con governi e sindacati, americani e tedeschi e, siamo sicuri che accadrà, italiani, per far convergere una pluralità di volontà sull’unico obiettivo pensato e proposto.
Questo significa che non vi è solamente un modo ristretto per vedere la crisi come una opportunità, ve ne è anche uno ampio, che pone al centro del mondo del lavoro l’uomo e non viceversa.
Se l’ultimo quarto del secolo passato passerà alla storia come la Grande Guerra per l’avulsione dell’economia dalla localizzazione in nome della globalizzazione, questa Grande Guerra non è ancora finita con la sconfitta dell’uomo, sottomesso al guadagno.
Se l’ultimo quarto del secolo passato passerà alla storia come la Grande Guerra per l’avulsione dell’economia dalla localizzazione in nome della globalizzazione, questa Grande Guerra non è ancora finita con la sconfitta dell’uomo, sottomesso al guadagno.
Ed i centri decisionali, insieme alle motivazioni che determinano le decisioni, gli uni e le altre non sono schizofrenicamente avulsi da legami territoriali e da riferimenti all’uomo : l’economia continueranno a farla, come è sinora accaduto, i prezzi del marcato ortofrutticolo cittadino.
In questo Fiat è prima davanti a tutti, nell’averlo per prima capito.