sabato 21 novembre 2009 - Doriana Goracci

Ehsan Fattahian impiccato

Avevano suonato i tamburi d’Iran e i canti del Kurdistan anche in Italia. Morte e carcere non hanno confini e colori. Alla libertà e alla giustizia si offrono muri e cappi.

 

Ehsan Fattahian aveva 28 anni. Nato a Kermanshah, colpevole anche di appartenere a una minoranza curda che vive nel Kurdistan iraniano. Fu arrestato per apostasia due anni fa e condannato a dieci anni di carcere, ma poi la Corte Suprema ha commutato la pena e lo ha condannato a morte. E’ stata anticipata anche la corda intorno al collo, di almeno 24 ore. Non sto parlando del Civil gioco di ruolo dell’Impiccato, esiste: “E’ il classico gioco dell’impiccato che si faceva alle elementari. Riuscirai a scoprire la parola prima che l’impiccato venga ucciso? La sua sorte dipende solo da te!”

Avevano suonato i tamburi d’Iran, i canti del Kurdistan anche in Italia. Morte e carcere non hanno confini e colori. Alla libertà e alla giustizia si offrono muri e cappi.

Potete raccontare quello che vi pare sull’Iran, sugli Usa, i Servizi Segreti ed Israele, potete raccontare quello che vi pare su Allah e Cristo, musulmani e cattolici, Budda e Zoroastro, su tutti i profeti del mondo , la pace e la guerra, il nucleare e la giustizia, la resistenza e la sicurezza, il petrolio e il capitale, la borghesia e il proletariato, gli intellettuali e i contadini, l’ Occidente e il Medio Oriente.

Ma io, e non sono sola, piango questa morte, l’amico che non conoscevo, un figlio non mio, il ragazzo che nell’ultima lettera dalla prigione di Sanandaj ha scritto: «Non voglio parlare della morte; vorrei porre domande sulle ragioni dietro essa. Oggi, quando la punizione è la risposta per coloro che cercano libertà e giustizia, come può uno temere la propria sorte? Quelli di “noi” che sono stati condannati a morte da “loro” sono colpevoli solamente di cercare una strada per un mondo più giusto e migliore. E “loro”, sono consapevoli dei propri gesti?».

La vera prigione di Ken Saro-Wiwa

Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
E’ questo
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.



2 réactions


  • (---.---.---.134) 21 novembre 2009 18:09

    Persone come Ehsan Fattahian non muoiono.

    Il tempo li farà rivivere negli articoli giornalistici, nei libri, sulle intestazioni delle vie e sui nomi delle piazze dei loro paesi.

    Oggi facciamo vivere Ehsan in Italia parlandone e scrivendone.

    Tutti quelli che sanno qualcosa di lui ne parlino e ne scrivano fino a quando non si potrà parlare di Ehsan Fattahian anche in Iran ed in Kurdistan.


    Benny


    • Doriana Goracci Doriana Goracci (---.---.---.122) 22 novembre 2009 09:54

      Riporto quanto ho appena inviato a commento per un altra morte, quella di un minorenne marocchino, che si è suicidato...impiccato da solo in un carcere minorile italiano dove si muore anche così, fuori e dentro.

      "Non mi reputo uno scrittore né un poeta, credo di avere qualcosa da comunicare, senza alcuna presunzione di insegnare nulla a nessuno, o salvare alcuno dal proprio destino. Raccontarci la nostra storia personale può significare la nascita di una amicizia, di un sentimento gratuito, allora anche la mia storia, la mia gran brutta storia può diventare motivo di riflessione per tentare di intravedere il pericolo dei rischi estremi, in quel mito della trasgressione che spesso diviene devianza…e poi risalire dal baratro diventa difficile. Sono una persona che disegna con le parole ciò che sente, non sono visivo, ma uditivo nel mio percepire le cose, i fatti, le persone. Ho imparato a scrivere leggendomi e credo sia importante leggere ciò che la mente e il cuore tracciano, perché sono orme e impronte digitali che sovente inducono ad ascoltare note nascoste ben al di sotto del primo strato.
       Vincenzo Andraous"


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