lunedì 2 novembre 2009 - Damiano Mazzotti

Attualità e aspetti profetici del pensiero conservatore

Nel libro “Junger e Schmitt. Dialogo sulla modernità” dello studioso Luigi Iannone, si fa una limpida sintesi della filosofia di due grandi pensatori tedeschi (www.armando.it, 2009).

Junger rifiutò l’iscrizione al partito nazionalsocialista di Hitler ed un seggio in parlamento nel 1927 con una motivazione molto aristocratica, ma molto reale per l’epoca: riteneva che scrivere un singolo verso fosse “molto più meritevole che rappresentare sessantamila imbecilli in parlamento”. Ernst Junger considerava la storia e i suoi fatti, come “un magazzino stracolmo in cui ciascuno può prendere ciò che vuole”. Quindi Junger pensava alla natura umana seguendo la massima heideggeriana: “La grandezza dell’uomo si misura in base a quel che cerca e all’insistenza con cui egli resiste alla ricerca” (p. 52).

“Junger ci invita a non prenderlo per una guida spirituale ma per una mappa, per disincagliarci da approdi ideologici monolitici” (Luigi Iannone, p. 49). Questa è la sintesi del suo pensiero filosofico: “Penso che l’uomo sia un tutto, e quando qualcuno mi dice “sono di destra” o “sono di sinistra”, ho l’impressione che si presenti con un uomo a metà! È una questione priva di interesse. Io lavoro sia con la mano destra che con la mano sinistra, con entrambi gli emisferi cerebrali, e mi sembra necessario che tutto ciò si armonizzi. Mi si è chiesto più volte che cosa penso della democrazia… Ma è solo una parola: ci sono cento democrazie! Mi domando piuttosto, nell’uno e nell’altro caso, quale sia l’uomo che la governa e come lo faccia” (Rivista Trasgressioni, 1988, p. 99).

Emerge quindi tra gli scritti di Junger la figura del ribelle: “un uomo concreto che agisce nel caso concreto. Per sapere cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito”(Trattato del ribelle, Adelphi, 1990). E così anche lui, da soldato impegnato nella lotta patriottica, si trovò a vestire l’identità del soldato disgustato: “Mi assale lo schifo delle uniformi, delle spalline, delle decorazioni, del vino, delle armi, di cui un tempo tanto amai lo splendore. La vecchia cavalleria che dette nobiltà alla potenza nelle guerre napoleoniche, e perfino nella prima guerra mondiale, è finita per sempre. Le guerre sono dirette dai tecnici. L’uomo considera i suoi simili come pidocchi, come schifosi insetti” (Due volte la cometa, 1995). Così “La guerra non esprime una parte della vita, ma la vita in tutta la sua violenza, così la vita è a sua volta per intero di natura bellica” (Foglie e pietre, 1997).

Così Junger critica duramente i deliri mentali e comportamentali delle masse: “E’ uno spettacolo grandioso e terribile vedere i movimenti delle masse sempre più omologate, su cui lo spirito del mondo getta la sua rete. Ciascuno di questi movimenti non fa che rendere la presa più stretta e più implacabile, e qui agiscono forme di costrizione che sono più forti della tortura: così forti che l’uomo le saluta con giubilo. Dietro a ogni via d’uscita contrassegnata dai simboli della felicità sono appostati il dolore e la morte” (La mobilitazione totale). Infatti, “pur di ottenere agevolazioni tecniche, l’uomo è infatti disposto a limitare il proprio potere di decisione. Conquisterà così ogni sorta di vantaggi che sarà costretto a pagare con una perdita di libertà sempre maggiore” (Il Trattato del Ribelle).

Inoltre una lezione importante di Junger riguarda la creazione della Costituzione Europea: “Due principi supremi dovranno essere sanciti nella costituzione, qualunque struttura essa abbia: i principi dell’unità e della varietà. Il nuovo impero deve essere unico nelle sue articolazioni, ma nel rispetto delle loro specificità” (La Pace).

Comunque l’attualità dei vecchi pensieri filosofici e anche di molti fatti storici dipende dalla profonda stabilità dei processi psicologici umani: “perché tutte le cose del mondo in ogni tempo hanno il proprio riscontro con gli antichi tempi. Il che nasce perché, essendo quelle operate dagli uomini, che hanno ed ebbono sempre le medesime passioni, conviene di necessità che le sortischino il medesimo effetto” (Machiavelli, Opere, a cura di Ezio Raimondi, Mursia, 1966).

Per quanto riguarda la figura di Carl Schmitt c’è da dire che, nonostante il suo comportamento non irreprensibile nell’assecondare il nazionalsocialismo, merita di essere studiato poiché “la sua opera è frutto di un’immensa cultura e abbonda di analisi illuminanti”. Inoltre è stato studiato anche da molti avversari e si è occupato di problemi ancora molto attuali (Philippe Reynaud). Infatti nessun genere di pacifismo moralista può eliminare tre fattori sociologici della guerra: 1) la dicotomia amico-nemico; 2) l’esistenza di gruppi sociali organizzati; 3) gruppi organizzati intorno a valori condivisi (Julien Freund, 1986).

Comunque la tesi centrali del pensiero di Schmitt è questa: la sovranità appartiene a chi ha l’autorità di decidere lo “stato d’eccezione”. “Ancora oggi il caso di guerra è il “caso critico”. Si può dire che qui, come anche in altri casi, proprio il caso di eccezione ha un’importanza particolarmente decisiva, in grado di rilevare il nocciole delle cose. Infatti solo nella lotta reale si manifesta la conseguenza estrema del raggruppamento politico di amico e nemico… in un globo terrestre definitivamente pacificato… vi potrebbero forse essere contrapposizioni e contrasti molto interessanti, concorrenze e intrighi di tutti i tipi, ma sicuramente non vi sarebbe nessuna contrapposizione sulla base della quale si possa richiedere a degli uomini il sacrificio della propria vita e si possano autorizzare uomini a versare il sangue e ad uccidere altri uomini” (Le categorie del politico). In sostanza il “Sovrano non è colui che delega e nemmeno chi viene delegato, sovrano è chi decide chi sta dentro e chi sta fuori dal sistema democratico” (Truman Burbank, www.comedonchisciotte.org).

Infine a sua parziale discolpa cito alcune sue affermazioni del 1932: “chiunque contribuisce a dare il 31 luglio la maggioranza ai nazionalsocialisti si comporta come un folle… dà infatti a questo movimento politico e ideologico ancora immaturo la possibilità di modificare la costituzione, di fondare una chiesa di Stato, di sciogliere i sindacati ecc. Si finirebbe per offrire completamente la Germania a questo gruppo… e tutto ciò sarebbe estremamente pericoloso” (Il Mulino, 1983). Bisogna però aggiungere, a testimonianza dell’estrema labilità di molte menti umane di pregio, che si iscrisse al partito nazionalsocialista il primo maggio 1933.

“Per Schmitt il liberalismo si fonda sul privato, cioè sull’individuo, ed il voto è la sua sintesi”. Ma il liberalismo entra facilmente in crisi una volta che la partitocrazia ha preso il controllo e “il monopolio delle azioni di ogni deputato e la disciplina di partito ha obbligato i singoli al rispetto di posizioni anche non accettate” (Iannone, p. 103). Così facendo si arriva al parlamentismo degenerato con le sue tecniche politiche, le burocrazie, le caste di potere che si affrontano “calcolando i rispettivi interessi e le possibilità di raggiungere il potere”. “La legalità e la legittimità si convertono allora in strumenti tecnici, di quelli di cui ciascuno si serve a seconda di quanto risulti vantaggioso sul momento, gettandoli da parte quando gli si rivolgano contro” (Schmitt). È questa la dittatura della maggioranza.

E forse sarà la tecnica a soccorrere l’attuale bisogno di libertà umana: “Intellettualismo e razionalismo non sono rivoluzionari in sé; lo è bensì il pensiero esclusivamente tecnico, del tutto estraneo ad ogni tradizione sociale. La macchina è priva di tradizione. Che sia la tecnica il vero principio rivoluzionario, e che a suo paragone tutte le rivoluzioni fondate su principi giusnaturalistici non siano che giochi arcaizzanti, è una delle feconde intuizioni sociologiche di Karl Marx” (Schmitt, Cattolicesimo romano e forma politica). E “Colui il quale riuscirà ad imprigionare la tecnica scatenata, a domarla e immetterla in un ordinamento concreto, avrà dato una risposta all’appello del presente più di colui che cerchi con i mezzi di una tecnica scatenata di atterrare sulla luna o su marte” (Schnitt, Terra e Mare, 1986).




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