mercoledì 13 marzo 2019 - Riccardo Noury - Amnesty International

Yemen, quei bambini stuprati in mezzo alla guerra

A parlare è la madre di un bambino di otto annistuprato due volte tra giugno e ottobre del 2018 dal figlio di un imam della città di Ta’iz e da un amico del primo.

“Il figlio dell’imam lo ha chiuso nel gabinetto della moschea, gli ha tappato la mano con la bocca e ha iniziato a spogliarlo. Dopo aver finito, ha chiamato l’amico che ha fatto la stessa cosa a mio figlio”.

La madre ha raccontato quanto da allora sia cambiato il comportamento del figlio, che molto spesso scoppia in lacrime. Prima era uno dei più bravi a scuola, mentre ora non riesce a tenere una penna in mano né a scrivereHa disturbi del sonno e ha crisi di urla e di pianto incontrollabili.

 

Secondo i referti medici esaminati da Amnesty International, da allora il bambino presenta difficoltà motorie, mancanza di concentrazione e ha avuto una commozione cerebrale conseguenza delle ripetute percosse.

A Ta’iz, una città straziata dal conflitto in corso da quattro anni tra le forze huthi e la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita e appoggiata da numerose milizie sul terreno, i minorenni sono vulnerabilissimi allo sfruttamento sessuale. Queste vittime e le loro famiglie sono state lasciate sole e prive di protezione durante e dopo questo incubo.

Una ricerca di Amnesty International ha ricostruito quattro casi di violenza sessuale verificatisi a Ta’iz negli ultimi otto mesi: tre di stupro e uno di tentato stupro. Due referti medici esaminati dall’organizzazione fanno riferimento a lesioni nella zona anale su due delle vittime, a conferma delle loro testimonianze.

I casi potrebbero essere molti di più: a far pensare due volte le famiglie prima di presentare denuncia sono sia il clima d’impunità quanto soprattutto il fatto che le persone sospette sarebbero politicamente fedeli alle istituzioni locali, formate da milizie filo-saudite controllate dal partito Islah. Due delle quattro famiglie che hanno denunciato le violenze sono state costrette ad allontanarsi per evitare la vendetta delle milizie.

Questa è la testimonianza di un 16enne vittima di stupro:

“Lui [il miliziano] ha iniziato a colpirmi col calcio del fucile e con calci e pugni mi ha spinto contro il muro. Allora ha detto che voleva stuprarmi. Io ho iniziato a piangere e a pregarlo di considerarmi come suo figlio. Si è infuriato ancora di più e ha ripreso a picchiarmi. Poi mi ha preso per il collo, mi ha spinto a terra e mi ha stuprato”.

Queste invece sono le parole della madre:

“Quando la sera è tornato a casa, è andato direttamente al gabinetto. Quando ne è uscito, gli ho chiesto cosa fosse successo ma non ha risposto. Si è messo a piangere e io ho iniziato a piangere a mia volta. Siamo rimasti seduti vicini per tre giorni, non riuscivamo a bere né a mangiare né a dormire. Dal punto di vista psicologico era terrorizzato, aveva un aspetto era giallo e spossato. Stava seduto lì guardando nel vuoto…”

La madre ha sporto denuncia al dipartimento per le indagini penali che ha emesso un decreto, esaminato da Amnesty International, per ordinare una visita medica e un referto. Il medico, che lavora in un ospedale controllato da Islah, si è rifiutato, dicendo che non era successo niente. Poi la direzione dell’ospedale ha chiesto soldi per produrre il certificato ma la madre non è stata in grado di pagare.

Come in altre situazioni di conflitto, la dimensione della violenza sessuale in Yemen resta sottostimata. Non esistono dati pubblici recenti su quella contro i minorenni. Secondo il Fondo delle Nazioni Unite sulla popolazione, 60.000 donne sono a rischio di stupro.

Sempre secondo le Nazioni Unite, la violenza sessuale contro i ragazzi e gli uomini adulti è comune ma assai poco denunciata.




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