venerdì 28 agosto 2020 - Osservatorio Globalizzazione

Walter Bonatti, l’ultimo gigante dell’avventura

Proseguono i ritratti dell’Osservatorio Globalizzazione, che oggi presenta Walter Bonatti, figura centrale per la storia dell’alpinismo e grande narratore del mondo nei suoi reportage giornalistici d’esplorazione per “Epoca”.

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Figure del calibro di Walter Bonatti, il grande alpinista ed esploratore, sono oggi più che mai mancanti in un’Italia ove le grandi narrazioni sembrano essere terminate e in cui uomini trasversali come lo scalatore nato a Bergamo servirebbero come il pane nel mondo della cultura, della narrazione, del giornalismo. La vita di Bonatti, densa di avvenimenti, caratterizzata da imprese, tragedie, polemiche e avventure, non solo potrebbe essere una fonte inesauribile di ispirazione per romanzieri e autori cinematografici ma è stata al tempo stesso ampiamente documentata dal suo stesso protagonista.

Alle sue imprese alpinistiche, vissute principalmente come sfide umane, ricerche dei limiti personali e, soprattutto, avventure al tempo stesso atletiche, umane e morali. Bonatti, personaggio romantico, quasi byroniano, ha affiancato i viaggi in terre remote con cui mostrava agli italiani le immagini dell’entroterra australiano, della Terra del Fuoco e di altri luoghi ancora selvaggi senza ergersi a protagonista a scapito di una Natura narrata e al tempo stesso rispettata come assoluta padrona del contesto in cui Bonatti si muoveva.

Il “Re delle Alpi”, introverso e riservato nella quotidianità come l’hanno raccontato conoscenti e amici come Reinhold Messner,  sfruttando la naturale passione per la scrittura ha avuto modo di produrre una quantità ampissima e degna di nota, sia sul profilo tecnico che sul piano contenutistico, di testi capaci di ricostruire la sua carriera e soprattutto il suo personalissimo approccio: agli inimitabili reportage dei suoi viaggi in terre selvagge e inesplorate per Epocasi è affiancata una grande quantità di libri, cronache e descrizioni che rappresentano una preziosissima testimonianza sugli anni eroici dell’alpinismo italiano, e hanno tenuto vivo il ricordo di un’epoca a cui Bonatti ha sempre guardato con orgoglio e nostalgia. Tuttavia, è chiaro che Bonatti non basta a Bonatti. I resoconti autobiografici di Bonatti non sono stati scritti per autocelebrazione: tramandare un suo mito o istituire una personale agiografia non era nelle sue corde. La scrittura offre al taciturno Bonatti lo spazio per dare la possibilità ai suoi ricordi di fluire nella maniera ottimale, permettendo a un uomo per sua natura solitario e schivo di incontrarsi con i milioni di ammiratori che aveva saputo conquistarsi in Italia e nel mondo. E che a quasi un decennio dalla sua scomparsa non accennano a diminuire di numero.

La dicotomia tra solitudine e fama ha accompagnato tutta la carriera alpinistica di Bonatti, e non è affatto cessata dopo il suo passaggio al mondo delle esplorazioni, e rappresenta un tratto saliente della parabola umana del “Re delle Alpi”. Bonatti divenne lo sfidante solitario di vette e piloni dopo aver riportato, come scritto in “Le mie montagne”, un “fardello di esperienze personali negative” dalla partecipazione alla spedizione italiana che, nel 1954, conquistò per la prima volta la vetta del K2, portando a compimento un’impresa, la cui memoria è stata tuttavia ampiamente compromessa dalla parzialità delle ricostruzioni successive ammantate di ufficialità che minimizzarono il cruciale ruolo giocato da Bonatti al suo interno. Nulla doveva, in un’Italia che viveva una fase molto delicata (piena Guerra Fredda, prima transizione politica dell’età repubblicana dopo la fine dell’era degasperiana, risoluzione della questione di Trieste), turbare o negare la narrazione ufficiale di una spedizione unita e compatta volta ad affermare l’orgoglio nazionale violando la seconda vetta più alta del mondo.

Compagnoni e Lacedelli, i conquistatori del K2, per anni negarono l’apporto determinante e i rischi personali corsi da Bonatti nella notte tra il 30 e il 31 luglio 1954. Il giovane Bonatti, allora 24enne, fu costretto ad affrontare una tremenda odissea in compagnia del portatore pakistano Amir Mahdi, sopravvivendo a un bivacco all’aperto a 8.100 metri di quota sotto le sferzate del vento e con temperature precipitate sino a -50° dopo aver portato ai compagni le bombole d’ossigeno rivelatesi determinanti per consentire loro di concludere la scalata del K2. Dopo aver assaporato la delusione e il risentimento a seguito della pubblicazione, da parte del capo spedizione Ardito Desio, di un resoconto ufficiale estremamente parziale e rivelatosi, dopo oltre quarant’anni di schermaglie legali e dibattiti, ricco di falsità e inesattezze, Bonatti dette una svolta alla sua carriera: oggigiorno, infatti, le sue più grandi imprese di cui rimane memoria furono compiute in solitaria o, al massimo, con l’appoggio di compagni estremamente fidati, di fatto tra i pochi amici veramente inseparabili di Bonatti, come il tenace brianzolo Andrea Oggioni, morto tragicamente sul Monte Bianco il 16 luglio 1961.

Da alpinista romantico fedele ai metodi tradizionali della disciplina, Bonatti amava forgiare a mano i suoi stessi chiodi da scalata, optava sempre per un equipaggiamento di ascesa leggero, studiava con attenzione e circospezione i terreni di scalata, temendo e rispettando le montagne che andavano affrontate. Anno dopo anno Bonatti si dedicò ad azioni senza precedenti come la scalata della parete sud-ovest del Dru (17-22 agosto 1955), la “prima” in solitaria sulla Brenva (13 settembre 1959) e, soprattutto, l’impresa unica nel suo genere, uno dei più grandi capolavori della storia dell’alpinismo, compiuta da Bonatti sul Cervino tra il 18 e il 22 febbraio 1965, nel corso della quale il “Re delle Alpi” stabilì un duplice primato.

In quel contesto, infatti, Bonatti fu il primo a scalare in solitaria una delle montagne più insidiose e complesse delle Alpi e il primo uomo a violare il Cervino in inverno; inoltre, la sua spettacolare ascesa fu compiuta attraverso una via mai affrontata in precedenza, tutt’oggi chiamata in suo onore “Via Bonatti”. La scalata coronò un cammino sportivo, esplorativo e umano di prestigio assoluto, risultò cruciale a Bonatti per il superamento di insidiose sfide interiori e la vittoria sui fantasmi del passato. L’immagine della vittoria di Bonatti sul Cervino è entrata negli annali dell’alpinismo. Un uomo solitario, in giubilo di fronte all’immensità degli spazi che gli si aprono di fronte, contempla la straordinaria luminescenza di una grande croce metallica. Isolato, altero e separato dal mondo dai 4.478 metri del Cervino, Walter Bonatti è stato immortalato nel momento che avrebbe desiderato come massimamente intimo e che, al contrario, ha finito per rappresentare uno dei simboli principali della sua vita.

Come ogni parabola umana, Bonatti pensò che anche la sua carriera da alpinista avrebbe dovuto concludersi: la vittoria sul gigante Cervino rappresentò il momento perfetto per svoltare, per affrontare nuove sfide ed espandere, a 35 anni, i propri orizzonti professionali e personali. Fu sul finire degli Anni Sessanta, infatti, che iniziarono i reportage dalle terre lontane, i viaggi di Bonatti da un capo all’altro della Terra per conto di Epoca.

Questa testata, presidio fondamentale del panorama culturale italiano del secondo dopoguerra, ha avuto nella sua redazione un futuro presidente del Consiglio (Giovanni Spadolini), dei grandi nomi del giornalismo italiano (Aldo Borrelli, Cesare Zavattini, Alberto Cavallari), un poeta di primo piano come Aldo Palazzeschi; ha, unica in Italia, ospitato in anteprima la pubblicazione del racconto Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway; ha prodotto reportage fotografici unici nel suo genere con Giorgio Lotti; in ogni caso, a più di due decenni dalla sua ultima uscita la memoria della sua parabola nel mondo giornalistico italiano è affidato principalmente alla profonda suggestione tuttora espressa dai lavori realizzati per la testata da un solo personaggio, Walter Bonatti.

Dal Venezuela al Congo, dall’Alaska alla Nuova Guinea, le esplorazioni di Bonatti coprirono buona parte del pianeta e consentirono al “Re delle Alpi” di appagare la propria sete di conoscenza e nutrire la fantasia e la curiosità dei lettori della rivista su cui pubblicava i propri diari di viaggio, nei quali Bonatti lasciava sempre ampio spazio alla descrizione di paesaggi incontaminati, luoghi remoti e animali esotici, intendendo la natura, e nient’altro al di fuori di essa, come esclusiva protagonista dei suoi resoconti, lasciando trasparire lo stupore e la meraviglia provati dinnanzi ad alcune delle meraviglie nascoste della Terra. Bonatti si immerge completamente nei luoghi toccati, senza alcun pregiudizio culturale né fastidiosi “fardelli dell’uomo bianco” nel rapporto alle culture incontrate: con una meraviglia quasi fanciullesca Bonatti compie il suo “giro del mondo” tra il 1965 e il 1970. Da uomo temprato dalle avversità, prova un legame umano diretto con gli antichi abitanti di Rapa Nui, l’Isola di Pasqua: “Per un nucleo di uomini tenaci, venuti dal mare, quest’isola aveva forse rappresentato la Terra promessa […] Padroni e, al tempo stesso, prigionieri dell’Oceano questi antichi polinesiani l’avevano trovata al di là dell’orizzonte”. In questo viaggio umano e atletico, ilsogno verticale dell’alpinismo si unisce all’ampiezza di orizzonti dell’esploratore: nei giorni in cui il “giro del mondo” entra agli onori delle cronache dei lettori di Epoca Bonatti sfida il monte Aconcagua, in Cile, che con i suoi 6957 metri torreggia nella cordigliera delle Ande. Il tutto dopo aver raggiunto a piedi Capo Horn attraverso la Terra del Fuoco.

Il carattere di Bonatti lo portò, è doveroso riportarlo, anche ad alcune spigolature legate al suo personale tasto dolente, il ricordo della spedizione del 1954. Le accuse scambiate reciprocamente con Achille Compagnoni e Bruno Lacedelli si protraggono per decenni, tanto che alla morte del primo, avvenuta nel 2009 all’età di 94 anni. Compagnoni disse sempre che la vetta fu raggiunta senza ossigeno, ma era una versione palesemente falsa che solo nel 2004 il Club Alpino italiano ha corretto sostenendo la tesi di Bonatti. Bonatti, che per l’occasione riuscì a riconciliarsi con il Cai di Bergamo, non si è mai riappacificato con Compagnoni, tanto che ha commentato la notizia della sua morte, avvenuta ad Aosta il 13 maggio 2009, con un eloquente “non ho una parola da dire”. Lo scrittore e alpinista Mauro Corona ebbe a riguardo parole molto dure: “Lo spinsi alla conciliazione, ma mi rispose “mai”. È assurdo essere giganti della montagna ma non conoscere la parola perdono”.

Cinque anni prima, Bonatti aveva restituito l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana consegnatagli dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi perché, recatosi alla cerimonia di premiazione il 21 dicembre 2004, scoprì in quell’occasione di essere stato premiato unitamente ad Achille Compagnoni. Offeso per il fatto di essere stato accomunato a Compagnoni, del quale aveva una pessima opinione a seguito dei fatti del K2, Walter Bonatti, con lettera al Segretario Generale della Presidenza della Repubblica del 25 dicembre 2004, rifiutò l’onorificenza. Non aveva invece rifiutato, nel 2000, la Legione d’Onore francese tributatagli dal presidente Jacques Chirac per il ruolo giocato, nel 1961, nel salvataggio di una cordata di esploratori transalpini coinvolta nella funesta tragedia del Pilone centrale del Freney, sul versante italiano del Monte Bianco, e come riconoscimento al suo ruolo di “gigante dell’avventura”.

Definizione che a anni di distanza dalla morte, avvenuta il 13 settembre 2011 per un fulminante cancro al pancreas, appare la più calzante per Walter Bonatti. Le straordinarie doti atletiche di Bonatti e la sua notoria resistenza portarono l’alpinismo italiano a nuovi traguardi, inaugurando la strada maestra sui quali si incamminarono in seguito Reinhold Messner e gli altri portabandiera della scuola tricolore, il cui maggiore esponente contemporaneo è Simone Moro, divenuto nel 2016 l’autore della prima scalata invernale al temibile Nanga Parbat, al termine di un’impresa non priva di paragoni con diverse ascese sensazionali di Bonatti. Al contempo, la sua figura sfumava nel romanticismo, portando gli italiani a riscoprire la passione per l’avventura, l’esotico, il misterioso. Il solitario, tenace esploratore, chiuso in sé stesso ma aperto al mondo, fu una figura ponte tra modernità e tradizione: la passione per i viaggi proprio degli Humboldt, degli Amundsen, degli Shackleton, il tradizionalismo in campo alpinistico e un carattere riservato facevano da contraltare a un affetto nazionalpopolare nei suoi confronti, nella classica dialettica “popolo contro élite”, che negli ultimi anni di vita di Bonatti, una volta rotto il muro di silenzio e omertà sul caso K2, ha finito per essere sposato anche dalle autorità istituzionali.

A nove anni dalla sua scomparsa Bonatti è quanto mai attuale: in un mondo frenetico, volatile e vacuo, leggere i suoi ricordi aiuta a spaziare con la mente e con la fantasia, a espandere i propri orizzonti, sprona ad essere curiosi, straordinariamente curiosi. Ricordare la sua persona ci è sembrato doveroso, il minimo che si potesse fare per omaggiare un grande alpinista, un grande italiano, un grande uomo: Walter Bonatti, il “Re delle Alpi” che volle fare a meno di tutti gli allori. Leggendo i cui ricordi si coglie un forte invito a una conoscenza senza barriere e superficialità. Come le montagne da cui Bonatti partì per il giro del mondo in cui si scoprì cronista.

  1. Edgar Morin: il filosofo della complessità.
  2. Sultan Galiev: il protagonista dimenticato della Rivoluzione Russa.
  3. Giacomo Brodolini, il padre dello Statuto dei Lavoratori.
  4. Pankraz Vorster, l’ultimo Principe-Abate.
  5. Jakob Moleschott: medico, filosofo e politico.
  6. Derek Freeman: un antropologo tra natura e cultura.
  7. Leslie Groves: da West Point al Progetto Manhattan.
  8. Walter Bonatti, l’ultimo gigante dell’avventura.

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