martedì 17 dicembre 2019 - Enrico Campofreda

Vola l’India antislamica

Sale, giorno dopo giorno e si è giunti al quinto, la protesta contro la legge che impedisce a cittadini stranieri islamici di ottenere la cittadinanza indiana. Ieri ci sono stati sei morti nella provincia federale di Assam e cento arresti presso le università degli Stati di Delhi e Uttar Pradesh. 

Il Parlamento di New Delhi dallo scorso 12 dicembre, emendando una legge in vigore dal 1955 e introducendo una nuova norma presentata dal partito di maggioranza (Bharatiya Janata Party), conferisce la cittadinanza alle minoranze religiose (hindu, sikh, buddiste, jain, parsi, cristiane) provenienti dagli attigui Paesi del Pakistan, Afghanistan e Bangladesh, ma non ai musulmani. In realtà un primo emendamento alla legge di metà Novecento si era avuto nel 2016 e non poneva limiti alla cittadinanza su base religiosa. Faceva riferimento a sei anni di residenza ufficiale in India, contro i dodici richiesti negli anni Cinquanta. Poi, di recente, la chiusura ai musulmani. Ieri gli universitari del gruppo Jamia Millia Islamia e quelli dell’Aligarh Muslim University che contestavano la discriminatoria scelta governativa sono stati duramente bastonati, con loro hanno subìto violenze anche colleghi impegnati nei corsi e chi studiava in biblioteca. Un’incursione che le autorità accademiche hanno stigmatizzato, mentre il ministero dell’Interno sosteneva servisse alla sicurezza. Ne è nato il caos: i giovani si sono scontrati con le forze dell’ordine, ricevendo nell’area a sud di Delhi anche il sostegno d’una parte della popolazione. L’India conta una cospicua minoranza islamica, circa 200 milioni di fedeli, di cui un quarto d’osservanza sciita, concentrati in alcuni Stati federati (Jammu e Kashmir, Uttar Pradesh, Bengala occidentale ne raccolgono una copiosa parte).

Sono soprattutto costoro a dar vita alle proteste, accusando governo, partito di maggioranza e lo stesso premier Modi di polarizzare la situazione socio-politica facendo montare l’ideologia razzista e anti islamica della maggioranza hindu. Già negli ultimi mesi l’antico raggruppamento ultranazionalista ispirato a un fondamentalismo religioso, Rashtriya Swayamsevak Sangh, rinfocolava l’odio anti islamico senza che Istituzioni e polizia prendessero alcun provvedimento. Anzi. Secondo diversi osservatori una costante della linea del Bjp durante il secondo mandato per Modi è scavare un solco profondo verso la comunità musulmana, discriminandola e perseguitandola. La legge in questione segue tale tendenza. Modi anziché smorzare i toni, non perde occasione pubblica per additare il Partito del Congresso e chiunque s’oppone alla maggioranza di fomentare violenza. Da quest’estate, poi, si susseguono iniziative anti immigrazione sostenute dal ministro dell’Interno Shah, braccio destro del primo ministro. Note le sue catalogazioni dei bangladeshi coi nomignoli di ‘infiltrati’ e ‘termiti’ da estirpare per le sempiterne “ragioni di sicurezza”. Per non parlare dell’ostacolo posto da più di un anno all’arrivo di rifugiati Rohingya, già colpiti da sopraffazione etnica in Myanmar. Insomma, la leadership governativa fa di tutto per accentuare l’opposizione ai musulmani interni ed esterni. La vessazione introdotta dalla nuova norma è in aperto conflitto con l’articolo 14 della Costituzione indiana che garantisce il diritto di eguaglianza. Eppure il coro dei costituzionalisti indiani e internazionali, che parlano apertamente di violazione e ostilità, non trova udienza né nel governo né nel Parlamento. Così il conflitto interno è destinato ad allargarsi, un’eventualità che piace al fanatismo hindu.

Enrico Campofreda

 

 




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