mercoledì 13 novembre 2013 - Antonio Moscato

Viva Menelik!

Una giovane deputata del M5S, Emanuela Corda, ha gelato ieri il Parlamento con un discorso ingenuo e al tempo stesso scandaloso sulla strage di Nassirya, che ha suscitato unanimi proteste dei diversi gruppi parlamentari.

L’indignazione si è scatenata in primo luogo sulla frase che ricordava che anche “il giovane marocchino che si suicidò per portare a compimento quella strage” sarebbe stato anche lui “vittima oltre che carnefice”. Secondo la Corda, sia perché indottrinato e fanatizzato, sia perché forse “spinto dalla fame e dalla speranza che quel suo sacrificio sarebbe servito per far vivere meglio i suoi familiari, che spesso vengono risarciti per il sacrificio del loro caro”. Un’analisi un po’ grossolana e rozzamente “materialistica” di un fenomeno che ha origini lontane, da Sansone al nostro Pietro Micca.

Ma quello che ha fatto esplodere le maggiori proteste (subito dopo la fine del discorso, che aveva inizialmente lasciato senza parole i tanti ipocriti celebratori dei “nostri eroi”) è stata un’altra frase, questa volta del tutto condivisibile:

“E se i nostri militari furono vittime, non furono solo vittime dell’ideologia terroristica, ma anche della politica occidentale: la politica dei nostri Governi, che spedirono e continuano a spedire i nostri ragazzi sui fronti di guerra, raccontando loro che è eroico occupare i territori di altri popoli col pretesto che si sta portando la pace, quando invece si fomentano talvolta le ideologie terroristiche, e tutti i drammi che ne conseguono”.

Ancora una volta il M5S si riallaccia – forse non del tutto consapevolmente - a una tradizione democratica del movimento operaio, che al momento delle criminali imprese africane, che costarono più vittime che tutte le guerre del Risorgimento, era a volte sceso in piazza al grido di Viva Menelik… L’opposizione alle guerre coloniali al momento della prima catastrofe, quella di Dogali, ottenne anche l’appoggio di Giosuè Carducci, che si rifiutò di celebrare quei caduti, “vittime di una spedizione inconsulta …[andati in Africa a fare] ciò che i Croati avevano fatto nel Risorgimento in Italia”. Perfino il volubile Gabriele D’Annunzio, che pure aveva compilato a richiesta un’ode su quei morti, mise poi sulle labbra di Andrea Sperelli, protagonista del suo romanzo «Il piacere», la frase che liquidava quei 400 morti come “quattrocento bruti morti brutalmente”.

È vero che quei “vati” si erano presto riallineati con la destra, ed è vero che al momento della “rivincita” italiana del 1935 perfino Benedetto Croce aveva donato la sua medaglietta d’oro di senatore del regno per manifestare il suo consenso a quella ignobile guerra. È vero che il glorioso PCI, a cui fanno riferimento per ignoranza diversi frammenti della residua sinistra, tentò nel secondo Dopoguerra di ottenere il mantenimento del dominio italiano sulle colonie conquistate in epoca prefascista (cioè almeno la Tripolitania, l’Eritrea e la Somalia). Lo stesso Palmiro Togliatti in un discorso del 22 marzo 1948, tenuto a Ragusa, disse che: “Il governo inglese, se proprio vuol dimostrarsi nostro amico, perché invece di cominciare da Trieste, non comincia col dichiarare di essere d’accordo che rimangano all’Italia le sue vecchie colonie?”. Il discorso di Ragusa fu pubblicato il 26 marzo 1948 sull’Unità ed è reperibile nell’Archivio storico di quel giornale consultabile gratuitamente on-line.

Tornando alla presa di posizione della “cittadina” Emanuela Corda, che come ho detto mi sembra un po’ ingenua nella interpretazione dei moventi del “giovane marocchino”, mi auguro che si guardino bene dal criticarla tutti coloro che nel PRC furono d’accordo sull’espulsione di Franco Turigliatto, colpevole di aver espresso responsabilmente il suo dissenso dalla indegna operazione imperialista in Afghanistan.

E tacciano tutti quelli che non osano criticare i fanatici discorsi militaristi del presidente Napolitano, con l’esaltazione continua dei “nostri eroi”: dai marines sparatori in India ai poveri impreparati carabinieri e soldati mandati in un paese di cui non conoscevano nulla, e diventati facili bersagli (rinvio su questo ad alcuni scritti a caldo riprodotti poi sul sito col titolo Dopo Nassiriya ). Tra i risultati di questo clima, c’è anche l’impegno unanime a non fare chiarezza sulla incredibile mancanza di misure protettive in quell’avamposto ribattezzato incredibilmente “Animal House”, diventato una trappola mortale. E c’è il disorientamento dei familiari dei caduti, chiamati a partecipare alla campagna di esaltazione retorica di quell’episodio, che non solo non capiscono chi sono stati veramente i maggiori responsabili di quelle morti inutili, ma continuano a chiedere: perché non danno ai nostri cari la medaglia d’oro alla memoria che hanno meritato?

Evidentemente non capiscono che, come i morti di Dogali o di Adua o di Sciara Sciat, i loro cari sono stati vittime innocenti di una politica cinica e di comandi incompetenti.

 

Foto: Wikimedia



2 réactions


  • (---.---.---.200) 13 novembre 2013 12:45

    Ed in questo bel articolo bisogna proprio citare un’opinione azzardata in un discorso sensato e costruttivo? Non ne capisco il senso logico, o forse lo capisco ..... ma preferei di no!


    • (---.---.---.58) 13 novembre 2013 20:04

      Non si tratta affatto di un’opinione azzardata, tantomeno di "Un’analisi un po’ grossolana e rozzamente “materialistica” di un fenomeno che ha origini lontane"
      E’ risaputo che questi cosiddetti "kamikase" vengono indottrinati e fanatizzati, convincendoli con il sistema del doppio binario.
      Sul piano strettamente personale, con la promessa che per il loro sacrificio saranno ampiamente ricompensati nell’aldilà, dove li attendono le delizie riservate ai martiri per la fede.
      Ma siccome questo non sarebbe sufficiente, vengono scelti per le loro scarse o misere condizioni economiche e convinti con il pagamento alle loro famiglie di un congruo indennizzo, a risarcimento della perdita del loro caro, di cui sono spesso l’unico sostegno.
      In quale altro modo altrimenti potrebbero convincere costoro a perdere la vita? Ed in quel modo! Si è mai saputo di un ricco, o anche solo di un benestante, che si sia fatto convincere a tanto? 
      Cosa poi abbiano in comune questi poveracci con Pietro Micca o Sansone, è noto solo all’articolista. Altre epoche, altre culture, altre motivazioni, altre religioni, altre modalità, altro tutto insomma.
      Peccato per questa caduta di stile, perchè per il resto l’articolo è interessante e le tesi condivisibili.


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