venerdì 17 agosto 2018 - La bottega del Barbieri

Vi avviso: è di nuovo venerdì 17

Come altre volte …ero partito per fare un breve articolo e poi… mi ha preso la mano.

E’ probabile che gli studiosi dell’assenteismo registrino una – piccola? – impennata sull’oggi. E’ un venerdì in effetti però non di “ponte” cioè di bel tempo. E allora… Ah certamente, è venerdì 17.

Tutto si spiega. Non esistono statistiche sull’iii – incidenza iella Istat – ma è sicuro (con l’evidenza di conoscenze dirette) che un certo numero di persone in Italia si chiuda in casa quando il 17 cada di venerdì.

Proviamo a immaginare di vivere in una società dove non una minoranza ma quasi tutte/i rispettano le “norme” della superstizione. Sarebbe un duro vivere.

Ogni Paese avrebbe le sue regole: in Camerun il giallo porta iella (o jella) e chi poggia una borsa in terra si tira addosso la miseria; in molti parrti del mondo si trasloca di notte… per allontanare l’invidia; in Marocco pericoloso è il cane scuro, non il gatto nero (che in Francia o Inghilterra porta fortuna); in Perù sfortunato è il “viernes 7” non il 17; e così via. Passar le frontiere sarebbe un problema senza una sorta di vocabolario delle ielle (o jelle). Magari noi del blog potremmo scrivere un best seller del tipo «fortune e guai dei Paesi tuoi» (la rima è sbilenca ma rende il senso).

Restando in Italia quante e quali sarebbero le “sfighe” valide per tutte/i? Specchi rotti, sale (oppure olio) rovesciato, gatto nero, ascoltare civette o gufi, non passare sotto la scala aperta, mai aprire ombrelli in casa, niene cappello o grucce sui letti e tantomeno pettinarsi a letto (“il barbiere del morto”). Regalare fazzoletti porta il pianto e donare spille facilita i dolori… E naturalmente il «v-17» (eppure il 17 secondo molti veneziani porta bene).

Troppo semplice se “le leggi” della sfiga fossero poche e chiare. Invece ci sono ielle in agguato solamente in certe zone. Qualche esempio. Con i soldi vinti non si rigioca o arriva una sciagura. Vedere i bottoni in terra porta sfortuna. Mai mettere in tavola il pane alla rovescia: è quello “del boia” cioè un’offesa al pane, al fornaio e forse pure a dio. “Ovviamente” non si brinda con i bicchieri di plastica. Sventura certa anche se si va in 13 a tavola. Disdicevole incrociare le mani ma pure le posate (per via della crocifissione?) anche solo per dare i resti o tagliare qualcosa in tavola. E’ sconsigliatissimo – nel Nord – fermarsi sotto l’albero di noci. Incrociando le suore nel cattolicissimo Veneto tuttora si sussurra «sfighi tua» o i peggiori scongiuri.

In molte parti d’Italia una regola ferrea impone questo rito: all’acquisto della nuova auto mettere le forbici aperte sotto un tappetino e lasciarle lì per sempre. Per molti umbri è sconsigliabile fare qualsiasi cosa in tre: muore “il più piccolo”; sembra il riproporsi della regola sul fumare in trincea (lì però una spiegazione razionale c’era: dopo i primi due che accendevano con lo stesso fiammifero il cecchino nemico aveva preso la mira). Regalare il portafoglio con soldi dentro è meglio (ma va?). Non versare il vino con la mano sinistra. Assolutamente vietato mangiare la testa dell’oca (si può diventare pazzi). Il neonato non va baciato sul collo (perde il sonno). Far cadere le forbici porta male ma si rimedia – mi dicono – mettendoci subito il piede sopra. Il primo dell’anno, l’uomo eviti di farsi fare gli auguri da una donna.

Come ho già raccontato in blog qui nella “moderna” Emilia-Romagna dove mi capita di vivere esiste il terrore dello «zompagalletto» cioè dei bottoni della camicia attaccati male che portano sventura a chi li vede, specialmente alle donne. Di venerdì 17? Macchè, per tutto l’anno. Quasi un tormento per chi come me si veste sbadatamente e così…. semina, senza volerlo, il terrore fra signore e fanciulle.

Qualche antidoto per fortuna esiste. Contro il passaggio del gatto nero aiuta gettare monetine, meglio se di rame: è «il pedaggio della strega». Un tempo in Toscana e forse altrove la noce triangolare portava bene; ricordo mia madre che la conservava gelosamente vicino ad aghi e fili. Contro lo specchio rotto ecco un sicuro rimedio caccia-guai: farci sopra la pipì. Sale versato? Si può rimediare gettandosene un pizzico alle spalle e dicendo frasi appropriate, tipo «Questo sale ti scongiura e va via la jettatura» (in napoletano è anche rima perfetta) come pure «paglia ogni speranza squaglia, fieno ogni speranza viene» che si dice vedendo la malefica paglia. E ancora… Incontrare un albino porta fortuna e/o soldi (mentre in altre parti del mondo gli albini sono “un pericolo pubblico”). La gobba? Dipende: quella maschile porta fortuna, quella di donna no; ma qui più che dalle parti della superstizione siamo sull’autostrada della misoginia. Toccar la giacca dei marinai allontana le disgrazie; anche accarezzare il cuoio aiuta. E’ meglio non pestare le righe che dividono le piastrelle (qui siamo dalle parti delle ossessioni, a Roma conoscevo un serissimo ricercatore che, in cerca di fortuna, camminava saltellando). Sminuzzare i gusci, quando si mangiano le uova, è di giovamento contro il demonio e le streghe. Quando si inizia a bere vino è consigliabile versare il primo bicchiere in terra e quest’antico uso resta quasi universale: «che ne goda Pachamama» dicono nei Paesi andini.

In genere al Sud d’Italia si insisteva (oggi meno) nel proteggersi con ferri di cavallo, corni, aglio, prezzemolo nelle mutande – ma anche mutande a rovescio – oppure scapolari con finti ritagli delle vesti di santi. Mi raccontano che in alcune aree grecaniche il primo dell’anno, per ovviare alla cattiva sorte, si attendeva la visita di una persona «che portasse bene»: finchè questa non attraversava la soglia nessun altro veniva fatto entrare in casa (immaginate quelle/i che dovevano aspettare fuori magari per ore).

“Robe da ignoranti meridionali” azzarderebbe forse qualche leghista. Macchè, nell’operosa Brianza è anche peggio. Un amico mi racconta quelli che un antropologo definirebbe riti apotropaici popolari: mettere un po’ di sale sotto la tovaglia quando il prete dice messa e darlo alle vacche ammalate il primo; il secondo è usare i tizzoni del fuoco (del camino) arsi nel giorno Natale esponendoli alle intemperie per placare tempeste e temporali; ma i brianzoli usano (usavano?) anche mettere una fetta di pane sull’herpes e poi darla da mangiare al cane che così… si portava via il male

Molte altre notizie – che riassumo ma ognuna meriterebbe un racconto, magari nello stile del pirandelliano «La patente» che qualcuno ricorderà anche su schermo, interpretato da Totò – mi arrivano da, in ordine alfabetico, Gianluca, Mauro Antonio e Santa. Una superstizione diffusa è girare per casa con un piatto fondo riempito d’acqua mugugnando preghiere o altre formule: una specie di fattura contro il malocchio, “valida” per ogni malattia, eventi sfortunati, tradimenti, ecc. La verifica del successo si scopre facendo cadere alcune gocce d’olio (poche, l’olio è prezioso) sull’acqua: se rimangono compatte “la protezione” avrà successo; se si allargano “le potenze delle tenebre” mantengono inalterata la presa e bisognerà… inventarsene un’altra.

Forse complementare a questi riti è una espressione usatissima nel quotidiano «arrassu sia» che equivale al corrente «vade retro Satana»: può anche essere tradotto come «lontano da me, da noi». Veniva adoperata a ogni notizia di disgrazia, di evento sanguinoso, di scandalo sessuale o di gravi liti fra persone, specialmente se amici o parenti. Era completata dall’ancora più frequente, anzi onnipresente, «focu focu», una espressione di riprovazione, angoscia, disapprovazione.
Un’altra voce: «mia madre (piacentina con papà siciliano) diceva che quando in casa non si trova qualcosa bisogna legare con uno spago o un nastro la gamba di una sedia per ingraziarsi non so quale santo».

Il mio amico Fabio ha gioiosamente studiato gli antichi riti, soprattutto romani, del 24 giugno cioè di quella che oggi è la festa di San Giovanni ma in precedenza era «la notte delle streghe». Come spesso accade il rito cristiano si è mescolato a quelli precedenti. La festa del 24 giugno a Roma cominciava la notte della vigilia. Visto che le streghe andavano in giro a catturare “le anime” si partiva dai quartieri di Roma per andare a pregare in San Giovanni in Laterano ma – ancora più importante – mangiare le lumache nelle osterie. Le corna delle lumache rappresentavano discordie e preoccupazioni; mangiarle significava distruggere le avversità. Così si mangiava e beveva, con un minimo di preghiere al santo, ma soprattutto si faceva chiasso con trombe, campane, tamburelli e petardi per impaurire le streghe. La festa si concludeva all’alba quando il papa andava a San Giovanni per celebrare la messa, dopo la quale dalla loggia della basilica venivano gettate monete d’oro e d’argento, scatenando un comprensibile delirio.

Ecco quel che ha trovato un’amica pugliese di Gianluca.

«Le mie “vecchiette” mi dicono: mai mettere i letti frontali alle porte perché indica la posizione che di solito ha il defunto. Mai andare a letto senza aver sparecchiato perché costringi gli angeli a pregare tutta la notte. E mai i fiori sul letto perché li metti… nella bara. Assolutamente mai provare la fede (nuziale) di qualcun altro prima di sposarsi: se no “nu te sposi”. Non spazzzare con la scopa i piedi di una nubile che se no “nu se sposa”».

Qui trovate – http://www.salento.info/253-tra-tra... – la storia del folletto dispettoso Uru (da cui nasce il nome Urupia, che è una bella comune salentina – ne ho raccontato qualcosa in “bottega”) ma stiamo scivolando in altri territori e rimando la visita a migliore occasione.

Sentite che bella questa testimonianza-ricordo di Pietro da Palermo.

«Contro il venerdì 17 non esiste antidoto migliore (che io sappia ) del ferro di cavallo, del corno di colore rosso, del gobbo. Varia secondo la persona e il tipo di malocchio. Quando ero bambino mi ricordo che contro le “fatture” si sputava a terra per tre volte. Le nonne mettevano l’aglio dietro la porta che serviva non solo contro i vampiri ma anche contro la disgrazia. Era una sfortuna pazzesca quando cadeva la bottiglia dell’olio non solo perchè si perdeva il prezioso liquido ma anche perché era segno di prossima sventura. Al contrario se cadeva una bottiglia di vino era segno di buon augurio. Il pane sul tavolo mai sottosopra perché era quello del boia; pare infatti che quando passava il panettiere per le strsde lo dava sottosopra all’uomo che eseguiva le condanne a morto. Ricordo che quando veniva il 13 dicembre, Santa Lucia, a Palermo si faceva la “cuccia” (altro non è che il grano intero non macinato): si preparava così per ricordare la carestia che avvolse la città di Palermo; quando arrivarono le navi cariche di grano e i palermitani vinti dai morsi della fame per non perdere ancora tempo lo cucinarono senza macinarlo. A noi bambini tramandavano questa storia dicendoci che per il 13 dicembre non bisognava mangiare pane altrimenti santa Lucia ci avrebbe tolto la vista. Ovviamente … se sei nato di venerdì 13 sei immune da tutto questo».

Altre storie raccolte da Santa.

Di martedì e di venerdi non si potevano indossare abiti nuovi (portava male). Il sabato non si tagliavano vestiti (non esistevano ancora le confezioni) altrimenti si moriva presto. «La notte di san Giovanni le ragazze nubili mettevano sotto il cuscino tre fave: una sbucciata interamente, una integra e l’altra appena sbucciata. Al mattino si infilava la mano sotto il cuscino: se si tirava fuori la sbucciata si era destinate a un matrimonio povero; se integra uno ricco; se quella a metà era un matrimonio così così». E ancora. «Il giorno dell’Ascensione si estirpava un arbusto (di cui non so il nome) che veniva appeso in casa: se fioriva (piccoli fiori fucsia/rossi; la pianta era tipo pinte grasse ma a dire di mia madre non se ne vedono più) portava fortuna e benessere, altrimenti mestizia e povertà».

Tornando al 17 di partenza, io posso testimoniare che quando 30 anni fa abitavo a Roma in un ufficio postale aperto al pubblico (per l’esattezza a piazza Bologna) dallo sportello 16 si passava al 18.

Molte di queste superstizioni e/o ossessioni generano – e sono generate da – difficoltà del vivere che così si evita da affrontare. I riti complicano la vita ma spesso hanno anche un’altra ricaduta negativa; per allontanare il malessere (o il malocchio) si ricorre a guaritori e guaritrici, maghi, fattucchiere: cioè si cade nelle mani di imbroglioni. Obiezione: alcuni di questi personaggi sono psicologi “dai piedi scalzi” oppure persone “sapienti” di erbe. Verissimo, accolgo l’obiezione: un tempo persone simili avevano un ruolo sociale importante ma oggi sono l’eccezione che conferma la regola di un panorama tristemente dominato da chi nulla conosce e si approfitta di “mali” altrui. Ovviamente fra questi che si fanno pagare per allontanare la sfortuna e il demonio ci sono anche molti esponenti delle Chiese ma qui il discorso si allarga ulteriormente e per ora lo stoppiamo.

Tornando al «v-17», anche quest’anno, il Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale; www.cicap.org ) ha lanciato la «Giornata anti-superstizione». Si parte dall’idea che «essere superstiziosi… porta male», come spiega Massimo Polidoro, che fra l’altro è stato docente di Psicologia dell’insolito nell’università di Milano-Bicocca. «Credere che oggetti, persone o frasi abbiano il potere di procurare disastri è una profezia che si auto avvera. Chi si lascia condizionare dalla superstizione, ritenendosi sfortunato altera inconsapevolmente il suo comportamento e finisce per provocare gli eventi sfortunati che tanto lo spaventano». Posso confermare: mio padre ogni venerdì 17 si chiudeva in casa… ma era talmente agitato che riusciva lo stesso a farsi male; anche questa l’ho già raccontata in blog un altro v-17, analizzando appunto il subdolo meccanismo delle profezie che si auto-avverano.

Da 6 anni, il Cicap organizza ogni venerdì 17 questa salutare e divertente “Giornata anti-superstizione”. In alcune città – fra cui Roma, Genova, Como e Padova – i gruppi locali del Cicap mettono su eventi di vario tipo: incontri, conferenze, dibattiti e dimostrazioni pratiche. «Per accedere ai nostri appuntamenti» spiega Marta Annunziata «è necessario compiere un vero e proprio “percorso a ostacoli per superstiziosi”. Si passa sotto una scala aperta, si rompe uno specchio, si versa a terra del sale, si fa in mille pezzi una lettera con la classica catena di sant’Antonio, si apre un ombrello al chiuso e così via. In alcuni casi chi partecipa deve eseguire un totale di 13 gesti e azioni ritenuti pericolosi… per ricevere un diploma di anti-superstiziosi».

Una novità di quest’anno è il gatto nero virtuale, spiega Marta Annunziata. «Tutti i soci e simpatizzanti del Cicap sono invitati a rilanciare una iniziativa che abbiamo chiamato: “Fai attraversare il tuo profilo da un gatto nero”. Per partecipare è sufficiente inserire un gatto nero nel proprio avatar di Facebook (qualche foto adatta sarà resa disponibile in anticipo dal Cicap Piemonte). I più “temerari” inoltre sono invitati a postare foto o filmati in cui sfidino qualche superstizione, con il tag #sfidalajella».

Il comunicato del Cicap sottolinea che «si può sorridere» ma tuttora certi rituali condizionano negativamente la vita delle persone.

Occorre ricordare che dagli ultimi rilevamenti di Eurobarometro (il servizio di sondaggi e analisi della Commissione europea, dedicato alla scienza e alla ricerca) emerge un dato che la dice lunga su abitudini e credenze dell’italiano medio: nel nostro Paese 58 persone su 100 ammettono di essere attratte da “idee irrazionali e superstizioni”, di fronte al 40 per 100 della media europea. Siamo il Paese più superstizioso d’Europa? Non proprio – risponde il Cicap – ma ci piazziamo saldamente al terzo posto, dietro la Lettonia (60%) e Repubblica Ceca (59%).

«Ecco perché» osserva Polidoro «da oltre 25 anni il Cicap è impegnato a combattere l’irrazionalità, la superstizione e il pregiudizio con le armi della scienza e della ragione. Normalmente lo facciamo attraverso libri, articoli, interventi radiotelevisivi, esperimenti, indagini, conferenze, convegni, corsi e workshop ma, qualche volta, anche con esperienze insolite e divertenti come la giornata Anti-superstizione».

Completamente d’accordo (voglio il diploma) tranne su un punto: io sotto una scala aperta passo malvolentieri perchè … penso si possa chiudere o rovesciarsi. Sono superstizioso? No, fifone.

(*) A proposito di questo post: avevo cominciato a scrivere l’ennesimo articolo sul «v-17» – in passato ne avevo fatto un paio che ricordo assai divertenti con Riccardo Mancini ma non li ritrovo più, mannaggia – e poi il giochino mi ha preso la mano anche perchè come vedete basta chiedere a 5-6 fra amici e amiche per essere sommersi di storie, altro che “rete”. Sorridere e cliccare su “relazioni umane” ? Lo recupero nel “meglio” della bottega perchè appunto, capita di nuovo che oggi sia un altro venerdì 17. [db]



1 réactions


  • Marina Serafini Marina Serafini (---.---.---.170) 18 agosto 2018 23:24

    .. Allora un bel sorriso da una lettrice nata il giorno 13! Complimenti per l’articolo, vi ho riscontrato alcuni "insegnamenti" subiti durante l’infanzia e incontrati, durante gli anni dell’università, in alcuni testi di antropologia. Buffa, la superstizione, contagiosa, interessante e davvero molto curiosa! Un saluto.


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