lunedì 10 giugno 2019 - marina bontempelli

Venezia, maggio alla Fenice con Aida

Una ripresa del 1978 resa storica dal debutto operistico di Giuseppe Sinopoli

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Se pensiamo che a partire dall’11 agosto 1923 andarono in scena persino nello Stadio della piccola isola del Lido di Venezia cinque recite di Aida (dirette addirittura da Tullio Serafin) che la locandina definiva “grandiosa messa in scena” sottolineando i 1000 esecutori 1000 impegnati, possiamo avere un’idea di quanto fosse importante e consolidato il concetto di associare le grandi masse e il lato spettacolare alle produzioni di questo capolavoro verdiano.

La ripresa odierna di Bepi Morassi della produzione del 1978 con la regia di Mauro Bolognini, ci ha offerto invece una visione di Aida che, abolito il lato spettacolare, si rivelò sin da quell’epoca una grande novità che mirava a privilegiare il lato più intimo e le sfumature del sentimento senza tuttavia togliere forza alle scene trionfali e alle sontuose marce presenti nella partitura.

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Di grande impatto le attualissime scene di Mario Ceroli, scultore, con le sue grandi sagome umane intagliate nel legno grezzo e ripetute in modo seriale (che costituirono un segno distintivo di gran parte della sua produzione sin dagli anni Sessanta) e la divisione dello spazio scenico su due livelli che stanno, nei vari atti (e dunque non solo nel terzo come prescritto da Verdi) a descrivere l’alto, immerso nella calda la luce dei colori della terra d’Egitto riservato ai potenti, ai vincitori e il buio dei sotterranei riservato ai vinti della vita e ai prigionieri delle battaglie.

D’alta fattura i costumi di Aldo Buti e suggestive le luci di Fabio Barettin, Giovanni di Cicco firma le efficaci coreografie.

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Ma poiché la musica è pur sempre quello che conta soprattutto, passiamo all’aspetto musicale: Riccardo Frizza ha diretto con bacchetta sicura curando il dialogo tra buca e palcoscenico e tenendo presenti i passi più lirici così come quelli più eroici dell’opera e il cast vocale si è rivelato all’altezza della bella produzione.

Roberta Mantegna, soprano nel ruolo eponimo, debutta con successo e si rivela dotata di vocalità e carattere. Trionfo di pubblico per Francesco Meli, un Radames dalla vocalità squillante e sicura, quale esempio autorevole del cosiddetto “cantare sul fiato”, valorizzata da una finezza interpretativa che ha incantato. Roberto Frontali ha offerto un’interpretazione espressiva di Amonasro, mentre Irene Roberts, pur dotata di capacità vocali, è un’Amneris un po’ deboluccia, soprattutto all’interno di una compagine così convincente ed efficace.

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Completano autorevolmente il cast Mattia Denti, il Re; Riccardo Zanellato, Ramfis; Rosanna Lo Greco, Gran sacerdotessa; Antonello Ceron, il messaggero.

Impeccabile il Coro della Fenice preparato da Claudio Marino Moretti. 

Lunghi applausi convinti per tutti.

Marina Bontempelli

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