lunedì 13 luglio 2020 - marina bontempelli

Venezia, ancora una rinascita per la Fenice

Ripresa domenica 5 luglio l’attività artistica con un concerto degli ottoni dell’orchestra e degli artisti del Coro del Teatro

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Campo S.Fantin, ritornato piazza della cultura, ci accoglie col consueto brusio, ma anche con un’inaspettata sorpresa: cinque percussionisti eseguono, raccolti intorno al pozzo, l’Inno di Mameli e una loro vivace composizione di genere eclettico, ed è tutta una foto, tutta una ripresa per chi attende di entrare o per chi è solo di passaggio, per portarsi a casa un frammento di questo brillante “Squillo di percussioni”.

Una volta entrati ritroviamo il teatro con la ormai famosa novità che le misure di protezione anti-covid hanno imposto, ma quest’arca, la struttura a sanconi (termine in uso nella carpenteria veneziana) che ribalta le prospettive, è così bella che non fa certo pensare alla prevenzione dalla pandemia, alla necessità del distanziamento, piuttosto slancia la sala grande evocando la solenne venezianità delle navi dell’Arsenale. A pensare questa imponente ed evocativa struttura è Massimo Checchetto, scenografo del Teatro, ma un applauso va anche ai tecnici che si sono trasformati in perfetti maestri d’ascia.

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Il programma del concerto è fortemente simbolico, il primo brano –Fanfare for the Common Man, di Aaron Copland- è dedicato a chi ha combattuto e continua a combattere nella lotta al virus. Questo brano, intensa composizione di ottoni e percussioni che vide la luce nel pieno della seconda guerra mondiale, nel 1942, è dedicato all’uomo comune, il milite ignoto di fronte al quale il musicista si inchina, incarnato oggi dal personale sanitario che questa sera è presente in una delegazione.

Subito si capisce che l’acustica funziona anche nella nuova disposizione di orchestra e pubblico e gli applausi commossi arrivano generosi.

Commozione, oltre all’emozione della musica, che trapela anche dalla voce del sovrintendente nel benvenuto prima del concerto, ma soprattutto quando sollecita un applauso anche per gli uomini impegnati a sostituire gli spartiti e spostare i leggii.

Il programma prosegue nel segno di una simbologia beneaugurante che guarda dentro la nostra storia, come tiene a spiegare il sovrintendente Fortunato Ortombina: musica del Rinascimento come nella Basilica di S.Marco nel ‘500 e vale a dire una cospicua scelta di pagine di Claudio Monteverdi, Giovanni Gabrieli e Johann Sebastian Bach eseguiti in versione originale e negli arrangiamenti per ottoni e percussioni di Fabio Codeluppi.

la Toccata dall’Orfeo di Monteverdi; poi di Gabrieli i Canon Settimi toni e Duodecimi toni, la Sonata Pian e Forte, le Canzon 27 e 28 e La spiritata, oltre all’«Angelus domini»; di Bach il mottetto per coro a cappella «Jesu meine Freude» bwv 227; infine ancora del «divino Claudio», il «Domine ad adiuvandum» dal Vespro della Beata Vergine.

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La formazione, costituita da Piergiuseppe Doldi, Guido Guidarelli, Eleonora Zanella e Fabio Codeluppi alle trombe; Andrea Corsini e Vincenzo Musone ai corni; Giuseppe Mendola, Domenico Zicari, Federico Garato e Claudio Magnanini ai tromboni; Alberto Azzolini alla tuba; Dimitri Fiorin ai timpani; Paolo Bertoldo alle percussioni e Roberto Brandolisio (altro maestro del Coro) al truhenorgel, ha riscosso sentiti e riconoscenti applausi, così come il Coro istruito dal m° Claudio Marino Moretti.

Le misure di prevenzione all’interno del Teatro sono osservate in maniera severa, ma una volta preso posto in sala è possibile levare la mascherina.

Info: www.teatrolafenice.it

Marina Bontempelli




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