Venezia - Turandot in scena al Teatro la Fenice
Nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini, un nuovo cast per la ripresa dell’allestimento del 2019
La Stagione Lirica del Teatro lagunare dedica la programmazione di settembre alla musica del Novecento: si inizia con l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, Turandot, che si alterna più tardi nelle recite con La fabbrica illuminata di Luigi Nono ed Erwartung di Arnold Schönberg, rispettivamente nel centenario e nel 150° anniversario della nascita.
Puccini ed i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni lavorarono instancabilmente all’opera per quattro anni, ma la morte interruppe il lavoro del Lucchese mentre stava componendo l’atto terzo e aveva ultimato tutta la scena della morte di Liù, così l’opera andò in scena il 25 aprile 1926, diretta da Arturo Toscanini, con il finale steso dal compositore Franco Alfano.
Il libretto si basa sulla fiaba teatrale omonima Turandotte del veneziano Carlo Gozzi. Adami e Simoni crearono una storia poetica di ardita fantasia e ricca di simboli, che ambientarono «A Pekino - al tempo delle favole» e proprio da questa didascalia degli autori prende spunto la regia di Cecilia Ligorio, «Turandot è la storia del viaggio iniziatico di Calaf, principe senza regno e senza sorriso – spiega la regista – caduto all’interno del misterioso mondo della crudele principessa».
Il lavoro registico approfondisce in chiave simbolica e psicanalitica le suggestioni offerte dalla fiaba di Gozzi in un percorso interiore che intreccia i destini dei protagonisti che evolveranno spiritualmente solo in seguito al sacrificio di Liù.
Ligorio assegna alle tre maschere, i dignitari Ping, Pong e Pang, un ruolo anche in questo caso dal valore interiore anche se i loro commenti smaliziati avrebbero solo il compito di alleggerire la tensione. La regista sceglie invece di farli dialogare col loro avatar bambino attribuendo anche a loro una lettura psicologica.
La scena di Alessia Colosso inquadra la fiaba in una cornice di lacca blu, gli elementi scenici sono pochi ed essenziali (una passerella sospesa attraversata al suo apparire in scena da Turandot, pochi praticabili) ma validi nella resa del dramma lirico che si svolge in una notte nella quale Colosso immagina la luna come una scimitarra che decapita i pretendenti dell’enigmatica, misteriosa Turandot. Il light design di Fabio Barettin contribuisce con efficacia a rendere l’atmosfera notturna e ipnotica che porterà allo spegnersi delle stelle con la morte di Liù per lasciar apparire il sole della consapevolezza conseguente al trapasso psicologico dell’altera principessa, ma anche di Calaf. Simone Valsecchi veste i personaggi a seconda del ruolo: il popolo indossa costumi contemporanei, il Mandarino addirittura un trench, Borsalino e una cartella in pelle: la sua presenza suggerisce l’uomo che guarda dal XX secolo il “tempo delle favole”. Costumi sontuosi e di gusto orientale per i protagonisti.
A guidare l’Orchestra del Teatro, Francesco Ivan Ciampa, esperto studioso pucciniano, concerta l’opera mettendo in evidenza il dramma attraverso un’energica direzione che favorisce le sonorità tonitruanti e la potenza delle percussioni, pur senza trascurare le trasparenze orchestrali dei passaggi più intimi.
Raffinata protagonista Saioa Hernàndez che dona alla sua Turandot un’interpretazione molto convincente di dittatrice capricciosa e senza cuore. La sua potente voce, folgora di acuti svettanti di grande efficacia drammatica. Un vero peccato che le venga affiancato un Calaf, il tenore Roberto Aronica, che non convince dal punto di vista vocale (suoni fissi, respirazione non adeguata con conseguente povera gamma dinamica) e di conseguenza nemmeno da quello interpretativo. Selene Zanetti ricopre il ruolo di Liù e, a parte un minimo, ma percettibile, scivolone nella chiusa della seconda aria, ha saputo usare i propri mezzi con interiorizzata espressività. Michele Pertusi interpreta Timur con voce sicura, fraseggio e gesto scenico contenuti ed eleganti. Simone Alberghini, Valentino Buzza e Paolo Antognetti interpretano rispettivamente Ping, Pang e Pong creando un ottimo affiatamento sia vocale che scenico.
Credibili e all’altezza del loro ruolo Marcello Nardis e Armando Gabba, rispettivamente l’imperatore Altoum e il mandarino. Il Coro del teatro istruito da Alfonso Caiani e i Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D’Alessio hanno confermato la consueta professionalità.
Caloroso successo sottolineato dagli applausi convinti del pubblico.