martedì 12 febbraio 2019 - marina bontempelli

Venezia, Teatro La Fenice – Werther

Mentre proseguono le repliche di una Traviata di grande successo, il ricco cartellone di Campo S.Fantin, a Venezia, ci informa che possiamo assistere anche a una produzione bolognese del Werther di Jules Massenet.

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Un allestimento realizzato nel 2016 per il capolavoro di Jules Massenet e firmato dalla regista Rosetta Cucchi che descrive così la sua lettura del drame lyrique: « Ho immaginato che il motore della disperazione del protagonista fosse proprio questo tassello mancante: un’esistenza costruita giorno per giorno da piccoli gesti, da piccoli momenti passati insieme. È per questo che ho disegnato una casa – simbolo per antonomasia della condivisione degli affetti – che si allontana sempre di più, appunto come un sogno familiare che via via si fa più distante, fino a scomparire. Quindi ho pensato a un sentimento non solo romantico, irraggiungibile, eccessivo, ma anche concreto, tangibile, che rimane un sogno perché a ciascuno dei due protagonisti è mancato il coraggio di rischiare». E infatti Werther è l’uomo che guarda, travolto dalla sua disperazione di solitudine, ma accomodato in poltrona o guardingo dietro i tigli, che contempla con rimpianto la vita della famiglia della sua amata.

La regia è semplice, ma facilmente intelligibile e raggiunge lo scopo col pubblico, le scene di Tiziano Santi sono elementari: interno di una abitazione borghese, esterno scabro, due solitari tronchi che evocano il luogo dove verrà sepolto Werther. I costumi di Claudia Pernigotti e le luci di Daniele Naldi sono basici.

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Di grande valore in questa produzione è il cast vocale. Il tenore Piero Pretti, nel ruolo eponimo, reduce da un’indisposizione che gli ha fatto saltare le prime tre recite, possiede lo squillo e la lacrima nella voce, la levigatezza del suono nonché la presenza giusti per conquistare. Nell’aria Pourquoi me réveiller è emozionante ritrovare nella sua attenzione alla “parola scenica” e nel rigore formale uno stile interpretativo di spessore. Il mezzosoprano Sonia Ganassi dà voce e corpo all’amata Charlotte che intrepreta con voce morbida e omogeneità di timbro, pur riconoscendo in lei più l’immagine della massaia che la freschezza della giovane. Armando Gabba, di casa nel teatro del Selva, interpreta Le Bailli con gusto e precisione, ma si sente poco, forse perché nel primo atto le voci restano imprigionate nel piccolo spazio della casetta a due piani. Pauline Rouillard, nel ruolo di Sophie, la sorella di Charlotte, è vocalmente vezzosa e offre una prova scenica e vocale vivace e briosa. Simon Schnorr dona un’interpretazione di Albert piuttosto debole, disomogenea e, ahimè, con fastidiose stonature. Completano il cast Christian Collia nel ruolo di Schmidt e William Corrò in quello di Johann. Apprezzato il Kolbe Children’s Choir, preparato dal maestro Alessandro Toffolo.

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Sul podio Guillaume Tourniaire, che dirige con gesto ampio e senza bacchetta, come dirigeva un tempo il coro del Teatro La Fenice. Offre una lettura interiore e ricca di lirica pateticità riconoscendo che «Massenet ha saputo commuoverci, con raffinatezza, emozione e pudore, pur cantando l’impossibile amore, il rimorso del tradimento, la gelosia, la delusione e il suicidio».

Il pubblico, parco di applausi nel corso della recita, ha invece tributato un caloroso successo alla fine, con numerose chiamate alla ribalta.

Marina Bontempelli




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