Venezia, Anna Bolena al Teatro la Fenice

Anna Bolena di Gaetano Donizetti non appariva sul palcoscenico lagunare da ben 168 anni.
Tragedia lirica in due atti, su libretto di Felice Romani, l’opera venne composta di getto, in soli trenta giorni, per Giuditta Pasta e il tenore Giovanni Battista Rubini, due autentiche star del melodramma di inizio Ottocento e il Teatro Carcano di Milano ne vide il debutto il 26 dicembre 1830. Ne risultò un successo che fece decollare la celebrità di Gaetano Donizetti, ma in seguito questo titolo uscì gradualmente dal repertorio fino a quando, nel 1957 al Teatro alla Scala, Maria Callas diretta da Gianandrea Gavazzeni, con la regia di Luchino Visconti, ne consacrò una vera e propria renaissance grazie a una memorabile interpretazione. Questo nuovo allestimento della Fondazione Teatro La Fenice nasce dalla sinergia del direttore Renato Balsadonna e di Pier Luigi Pizzi che della messinscena cura regia, scene e costumi.
Seguendo un’opzione raccomandata da Fortunato Ortombina, ex sovrintendente e direttore artistico del teatro, lo spettacolo è andato in scena nell’edizione critica di Paolo Fabbri, e vale a dire nella sua stesura integrale, che tuttavia ha sollevato qualche perplessità. Pizzi aveva infatti apprezzato i tagli strategici che da esperto uomo di teatro quale era, effettuò Gavazzeni nella celebre edizione della Scala del 1957, e anche parte del pubblico ha un po’ sofferto le quattro ore: forse, per una partitura impegnativa quale Anna Bolena, la durata dello spettacolo è un problema da tenere presente in questi tempi nei quali il pubblico è più orientato ad una certa frettolosità e meno all’approfondimento. La regia di Pizzi è misurata, e affascinano i meravigliosi tableau che costruisce con gusto e sapienza. Il maestro concentra il suo lavoro soprattutto nello scavo della complessa psicologia dei personaggi, tutti negativi, e decide di lasciare la scena alle voci.
Per sua espressa dichiarazione Anna Bolena è un’opera “di cantanti” dove ciò che succede è un’occasione per dar spazio al bel canto e dunque la scena è sobria e aristocratica; ed è anche polivalente nel senso che nel corso dell’opera rappresenterà, mantenendo sempre le sue caratteristiche opprimenti e minacciose, prima un salone del Castello di Windsor, poi la camera da letto di Bolena e infine il carcere. Anche i costumi sono cupi ed evocano il periodo senza definirlo con esattezza. Le luci vaghe e basse di Oscar Frosio hanno contribuito a rendere ancora più gravi le scelte di Pizzi. Sul podio il maestro Renato Balsadonna, onorato di riproporre l’opera per la prima volta in tempi moderni alla Fenice, ha saputo cogliere gli aspetti più raffinati della partitura e guidare con energia e gesto pulito l’ottima Orchestra del Teatro la Fenice e i cantanti. Lidia Fridman è stata la vera star della serata e il successo se l’è meritato tutto. Soprano dal colore mezzosopranile, perfettamente a proprio agio negli acuti così come nel registro grave, ha dato voce e corpo ad Anna Bolena con compostezza e magnetismo.
Un Enrico VIII di spessore vocale ed interpretativo è stato Alex Esposito che ha espresso forza diabolica ad ogni nota e soggiogato crudelmente chiunque gli venisse a tiro. Carmela Remigio ha saputo donare il giusto carattere ed esprimere il tormento esistenziale di Giovanna con voce di soprano lirico, curando attentamente la dizione. Ruolo en travesti per Manuela Custer nei panni di Smeton, risolto con vocalità convincente e partecipe. Il tenore Enea Scala, nel ruolo di Percy, ha saputo usare i propri mezzi vocali in modo consapevole e generoso. A completare il cast il baritono William Corrò interprete di Rochefort e il tenore Luigi Morassi, Hervey. Il Coro del Teatro La Fenice, istruito dal maestro Alfonso Caiani, si è distinto per compattezza di emissione e mezze voci di gran classe. Lunghi applausi per tutti, in particolare per Lidia Fridman vera regina della serata.