Un debito produttivo e disinteressato
Tra ciliegie e carciofi, l'uomo che sta riscrivendo le categorie analitiche della macroeconomia ci spiega perché il nostro debito è in realtà il motore del nostro incompreso successo
Chi mi segue sa che sono da molti anni affascinato dalle doti analitiche del dottor Marco Fortis, inesausto cantore del genio italico che si esprime in un’industria e in un export che il mondo ci invidia. Con ragione, debbo dire. Tuttavia, vi confesso che i miei studi di economia faticano a tener dietro alle argomentazioni di Fortis, che sono una virtuosa selezione di punti di forza a tale livello di perforazione analitica che spesso, fissando estaticamente l’albero, mi si incrociano gli occhi e perdo di vista la foresta.
Una gara appassionante
Ricorderete, mesi addietro, la grande notizia dell’export italiano al quarto posto nel mondo, dopo aver messo la freccia e sverniciato le fiancate di Giappone e Corea del Sud. Quella rivelazione ebbe un tale successo da entrare di forza nella hit parade delle card social dei partiti di governo e persino nei discorsi del presidente della Repubblica, che a Cernobbio tirò le orecchie alle agenzie di rating per la loro manifesta incapacità a dare al nostro paese il voto che ci spetta.
Siamo quarti, vediamo il podio! Il caveat era che quel quarto posto era riferito alle sole merci e conquistato a valori nominali, dopo aver convertito in euro l’export di Sud Corea e Giappone, le cui monete proprio nell’ultimo anno si sono affossate. Ma sono dettagli speciosi che non possono alterare i risultati eclatanti del nostro export manifatturiero. Un vero peccato che le esportazioni siano composte anche da servizi. Se bastassero le merci, ora saremmo a sorseggiare ottimo vino italiano su un triclinio.
A parte le speciosità sulla translation valutaria, ieri Fortis è tornato a commentare da par suo lo scenario macroeconomico, e in particolare a offrire la sua analisi sugli ultimi dati di non crescita italiana e a combattere tutti i disfattisti che tanto amano l’odiosa e fallace espressione “fanalino di coda” che tende ad associarsi al nostro incompreso paese, in economia.
L’industria manifatturiera italiana è effettivamente in flessione, concede Fortis, a causa della debolezza tedesca e di quella del commercio internazionale, che si riverbera sulla stasi del nostro export. Ma questo non significa affatto che l’Italia soffra di una perdita di competitività, sia chiaro. E qui concordo: sia perché un trimestre non significa nulla ma soprattutto perché, ribadiamolo,
[…] il nostro Paese sta vivendo quest’anno un emozionante testa a testa con il Giappone e la Corea del Sud per la conquista, a fine 2024, del quarto posto nell’export mondiale. Qualcosa di assolutamente impensabile anche solo fino a una decina di anni fa.
Io sono emozionatissimo, in effetti. Ma come va questa gara con gli orientali? Ecco il prezioso aggiornamento:
Infatti, nei primi sette mesi del 2024 l’Italia era diventata quarta nelle esportazioni mondiali di merci (cosa mai accaduta prima), davanti a Giappone e Corea. In seguito, nei primi otto mesi, complici le nostre tradizionali minori esportazioni nel mese di agosto, il Giappone e la Corea ci hanno di nuovo superato, ma di pochissimo. Infatti, nel periodo gennaio-agosto 2024 il nostro export è stato di 412 miliardi di euro contro i 414 miliardi della Corea e i 421 miliardi del Giappone. La volata per il quarto posto tra l’Italia, il Giappone e la Corea, staccati tra di loro di una manciata di miliardi di export, sarà dunque aperta fino all’ultimo mese dell’anno.
Vroom, sorpasso e controsorpasso! Potremmo chiederci se per caso i movimenti valutari c’entrino qualcosa, ma sarebbe futile. E comunque, occhio alla stagionalità perché, come noto, ad agosto gli italiani riposano. Qui mi sovviene che nei dati macro esiste una cosa chiamata destagionalizzazione e che appunto consente agli eredi di Roma di godersi le meritate feriae Augusti; ma forse Fortis usa dati nominali, ad esempio doganali, e quindi argomenta in questi termini.
Il nostro export non è mai andato così bene, rimarca Fortis, malgrado gli alti costi energetici. E qui mi viene da pensare che stavolta l’attenzione dell’arguto analista sia focalizzata proprio sui dati macro. Che sono espressi in termini reali, cioè al netto delle dinamiche di prezzo. Ma soprattutto, dove le esportazioni sono al netto delle importazioni. E deve quest’ultime, da tempo, sono ridotte dai contro-shock energetici, salvo parentesi come quella dell’invasione russa dell’Ucraina.
Perché, vedete, per avere una posizione internazionale sull’estero positiva, cioè accumulare avanzi commerciali, serve esportare a prezzi sostenuti ma anche importare a prezzi “freddi”.
Debito pubblico operoso
Tornando alla crescita zero, questo significa che, finita la droga del Superbonus, siamo tornati il famigerato “fanalino di coda”? Giammai. Perché gli altri paesi hanno fatto più debito di noi. Perché,
[…] l’Italia rimane nel G7 il Paese che tra il quarto trimestre 2019 e il terzo trimestre 2024 ha fatto registrare l’aumento del PIL più forte (+5,5%), assieme al Canada, dietro gli Stati Uniti. Questi ultimi, peraltro, non sarebbero certamente davanti a tutti per crescita se non avessero aumentato il loro debito pubblico in soli cinque anni, tra il secondo trimestre 2019 e il secondo trimestre 2024, di quasi 13.000 miliardi di dollari, cioè di una somma che è pari a poco meno del 90% dell’intero Pil annuale della UE.
In effetti, osservando il deficit primario americano e rapportandolo col nostro, la postura fiscale maggiormente espansiva è innegabilmente la loro:
E questa considerazione aiuta Fortis a elaborare una delle sue strabilianti intuizioni, fatte per l’appunto di carotaggi in profondità dei dati:
Dunque, non è certo la produttività del lavoro o del capitale ciò che sta contrassegnando di più la crescita economica delle economie avanzate di questi anni, bensì l’aumento e la “produttività” dei debiti pubblici.
Bingo, è (ri)nata la nozione di “produttività dei debiti pubblici”! In altri termini, quello che gli americani chiamano bang for the buck, cioè (ancora una volta) il magico moltiplicatore. Che da noi in Italia è sempre torreggiante. Ma attenzione: se questa fosse la notizia, non sarebbe tale. Fortis scava, seziona, trivella e alla fine trova il petrolio del nostro eccezionalismo incompreso. Una nuova grandezza da mirare, ammirare e monitorare, semplicemente rivoluzionaria:
Si confrontino i Pil del periodo terzo trimestre 2023-secondo trimestre 2024 con quelli dell’analogo periodo pre-pandemico terzo trimestre 2018-secondo trimestre 2019 (sulla base dei dati trimestrali grezzi). Basti pensare, che in tale quinquennio, escludendo l’aumento del debito dovuto a interessi, per ogni miliardo di debito pubblico in più l’Italia ha generato 2,4 miliardi di PIL nominale in più, la Germania 1,9 miliardi (con, però, una inflazione assai più alta e quindi con una crescita reale praticamente piatta), la Spagna 1,3 miliardi e la Francia soltanto 800 milioni. Gli Stati Uniti hanno fatto anche peggio della Francia con un aumento di PIL per ogni miliardo di debito aggiuntivo di soli 600 milioni di dollari. La produttività del nostro debito incrementale è stata dunque tre volte superiore a quella della Francia e quattro volte superiore a quella degli Stati Uniti.
Capite? Escludendo l’aumento del debito dovuto a interessi, il nostro Pil nominale è quello cresciuto più di tutti. La “produttività del nostro debito incrementale” è tre volte superiore a quella della Francia e quattro volte a quella di quegli sbruffoni di americani! Senza la parte degli interessi su tale debito, che sono un inutile orpello che ostacola la visione dei nostri primati. Che non sono mammiferi placentari con arti prensili, mi raccomando.
Disinteressati e contenti
Ecco, ma vi chiederete: perché escludere gli interessi sul debito dal debito? Io, ve lo giuro, non lo so. E me ne vergogno molto. Sto per contattare la mia università e restituire la laurea, tale è il senso di inadeguatezza che mi dilania. Ho sempre pensato che gli interessi sul debito fossero a loro volta debito e invece no: non lo sono. Al netto di parte del debito, il nostro debito ha fatto schizzare il Pil nominale. E tutto malgrado la nostra maggiore inflazione, che fa crescere meno il Pil reale.
Eh?? Ma se parliamo di Pil nominale, gonfiato da inflazione, per quale motivo dobbiamo tirare in ballo anche quello reale? Fortis è inarrivabilis, quella è la verità. Il Garrincha della data analysis, quello che riusciva a instupidire anche il pallone, quando partiva in dribbling.
Quindi, rallegratevi: senza la parte di debito dovuto a interessi, il nostro paese sarebbe sul Monte Olimpo a guardare dall’alto i comuni mortali. Come per i vari scorpori di deficit: scorporando il deficit dal deficit, saremmo almeno a pareggio di bilancio. Ma niente, il mondo non ci capisce. La nostra ennesima arma segreta è un debito pubblico produttivo e disinteressato. Nel senso che, calcolato al netto degli interessi che genera, è un formidabile propulsore del nostro genio.
Ora attendiamo che queste nuove grandezze economiche, un pot-pourri tra nominale e reale, tra dati destagionalizzati e grezzi, si facciano largo nel dibattito pubblico. Sono le mirabili ciliegie di Fortis, scelte con scienza e amor patrio. Oppure sono carciofi, sfogliati sino a giungere al cuore della verità: al netto di tutto, restiamo inarrivabili, e il mondo non capisce il nostro genio. Punto. Anzi, punto e virgola. E due punti.