martedì 20 maggio 2014 - Riccardo Noury - Amnesty International

Ucraina, i rom attaccati dal fronte pro-Kiev e dai filo-russi

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“Prima o poi lo sapevamo che sarebbe successo. Ogni volta che i gagé si fanno la guerra, sono sempre i rom a subirne le conseguenze, poiché ricevono colpi da entrambe le parti”.

Sono le parole, amare, di Juan de Dios Ramírez-Heredia, vicepresidente dell’Unione internazionale romanì, che aprono un nuovo e sconosciuto fronte di preoccupazione nella situazione ucraina.

Il Centro europeo per i diritti dei rom, l’Ong Chiricli e la Fondazione per il rinascimento internazionale hanno diffuso un appello a tutte le parti ucraine chiedendo di garantire il rispetto dei diritti della minoranza rom e la loro incolumità nell’attuale fase di tensione politica nel paese.

A fine aprile, la città di Slaviansk è stata sede di una serie di attacchi contro i rom. Il 29, una ventina di uomini ha fatto irruzione in sette case picchiando i presenti, compresi i bambini, portando via denaro e altri oggetti di valore. Un rom che aveva provato a resistere è stato preso a colpi d’arma da fuoco ed è rimasto gravemente ferito.

A Cherkassy, sempre il 29 aprile, l’abitazione di una famiglia rom è stata data alle fiamme dopo che si era rifiutata di abbandonarla.

Due mesi prima, il 27 febbraio, sconosciuti hanno preso a botte un rom a Pereyaslav-Khmelnitsky, nella regione della capitale Kiev. Il motivo? Questi aveva detto che i rom sono apolitici e non prendono parte alla contesa tra filo-occidentali e filo-russi. Sempre in quel periodo, e ancora nella regione di Kiev, a Korsten, sono stati aggrediti 15 rom.

Il ricordo va al passato, al periodo delle guerre dell’ex Jugoslavia. All’inizio degli anni Novanta, i rom erano un milione; negli anni successivi, fuggirono in 300.000 (40.000 di essi arrivarono in Italia). In Kosovo, prima del 1999, vivevano 150.000 rom, ora nel rimangono 40.000. Ovunque, nelle repubbliche sorte dalla ex Jugoslavia, i rom rimasti sono accusati di collaborazionismo coi serbi.

“Mi viene il terrore quando penso alle conseguenze di un possibile conflitto tra due comunità, quando la bandiera viene usata come scudo protettivo della propria cultura e come spada per attaccare quella altrui”, dice Ramírez-Heredia.




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