venerdì 3 dicembre 2021 - Enrico Campofreda

Turchia, girandola di ministri e lira a picco

Inflazione alle stelle, valore della lira a precipizio è il ritornello che fa fibrillare la politica turca e un po’ lo stesso presidente, tanto efficace nelle questioni internazionali, così claudicante sul fronte finanziario interno. 

Ma questa carenza, che pure fa crescere i malumori popolari e mette a repentaglio il traguardo del centenario (2023), un obiettivo inseguito da Erdoǧan da quando ricopriva l’incarico di primo ministro, non mette di buon umore l’opposizione. Pur se una sconfitta elettorale facesse saltare il banco politico dell’alleanza fra partito della giustizia (Akp) e movimento nazionalista (Mhp) che guida il Paese dal 2017, l’opposizione avrebbe l’ingrato compito di gestire la delicata faccenda economica. Già, l’opposizione. Quale? I repubblicani (Chp) col partito filo kurdo (Hdp) che ha buona parte della dirigenza incarcerata? oppure un connubio dei primi con l’ex “lupa grigia” Aksener che col suo Buon partito (İyi) è accreditata anche del 15% d’un elettorato conservatore strappato alla maggioranza. Tutte restano solo ipotesi, visto che la vera politica non è fatta di proiezioni elettorali. Poi ci sono i raggruppamenti degli islamo-conservatori, ex pupilli di Erdoǧan, allontanati da lui o allontanatisi da lui: il ministro di un’economia che fu Ali Babacan, leader del raggruppamento Deva e il professore prestato agli Esteri Davutoǧlu, il teorico del “nessun problema coi vicini”, l’esatto contrario di quanto il premier e poi presidente ha fatto dal 2012 in poi. Quest’ultimi mettono insieme inezie, percentuali del 3-5%. Soltanto se si riunissero tutti, l’attuale maggioranza avrebbe problemi di maggioranza. 

Resta la realtà che parla d’un nuovo ministro dell’Economia, Nureddin Nebati, 57 anni, master in Scienze sociali all’Università di Istanbul e dottorato di Scienze politiche e Pubblica amministrazione all’Università Kocaeli, un’accademia efficiente che ha come motto: “educare, ricercare, produrre per la Turchia”. Un buon viatico oggi difficile da attuare. Dopo l’intervento della Banca Centrale Turca per sostenere la caduta di circa il 30% del valore della lira contro il dollaro (negli ultimi quattro anni la flessione è stata del 59%), serviva un nuovo volto per il dicastero. Dunque via Lufti Elvan, dentro Nebati. Il ministro uscente - che aveva ricoperto anche la carica di responsabile di Trasporti, Navigazione e Comunicazioni – si era mostrato poco incline ad avallare la linea di bassi tassi d’interesse sostenuta da Erdoǧan. Aveva a sua volta sostituito il chiacchierato affarista e genero del presidente, Berat Albayrak, che s’era fatto le ossa nella Holding Çalık, colosso dell’energia, di minerali, edilizia, tessile e telecomunicazioni. Un addestramento che lo lanciò, anche perché giovane, interno all’Akp e marito di Esra, la terzogenita di casa Erdoǧan. Nella direzione del dicastero energetico Albayrak ha vissuto l’intoppo delle rivelazioni Wikileaks su vendite, attraverso la Turchia, di partite di petrolio gestite dallo Stato Islamico. Vere o false che fossero le notizie, la sua immagine s’offusca, lo salva lo stato di famiglia. La successiva nomina al ministero delle Finanze ha un esordio da incubo: all’annuncio del suo nome la lira perde in un’ora circa 4 punti. Nella carica dura anche tanto, fino al novembre 2020, quando si dimette adducendo motivi di salute.

Gli osservatori finanziari sono più trancianti degli scoop di Wikileaks: sotto la gestione Albayrak la Banca Centrale ha venduto sui mercati buona parte delle proprie riserve in valuta estera, senza riuscire a correggere la tendenza al ribasso. Eppure la grande malata è l’economia nazionale. Al di là del politico che sale ai vertici del dicastero, nei cui panni ormai pochi uomini d’apparato vogliono stare, la motrice turca non tira più. E questo sebbene ci siano ancora in ballo gli avveniristici progetti del secondo canale sul Bosforo e cose simili. La crisi morde non solo per l’inflazione stellare - dal 20 al 30% che oggi alla massaia fa costare un litro d’olio 80 lire, mentre a inizio anno ne bastavano 32 - ma per le stesse teorie presidenziali. A suo dire alte aliquote d’interesse causano l’aumento inflazionistico, invece tassi bassi stimolano la crescita, incrementano l’esportazione e creano lavoro. Però gli investimenti stranieri calano, di recente Wolkswagen ha rinunciato a un impianto previsto a Izmir. Dal 2019 il presidente ha licenziato tre governatori che s’opponevano ai suoi desideri di bassi tassi d’interesse. Egli accusa attacchi alla moneta nazionale frutto di volute turbolenze straniere sui mercati. E se i dati del terzo trimestre dell’anno mostrano una crescita economica (+7%), gli analisti ammoniscono: l’aumento potrebbe risultare fittizio e avere breve durata per l’elevata inflazione e il crollo valutario.

Enrico Campofreda




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