giovedì 28 gennaio 2021 - Riccardo Noury - Amnesty International

Torture, diniego di cure mediche e pandemia: nelle prigioni egiziane è l’inferno

In occasione del decimo anniversario dell’inizio della rivolta del 2011 in Egitto, Amnesty International ha pubblicato un rapporto che dipinge un quadro fosco della crisi dei diritti umani in atto nelle prigioni del paese, stipate fino al doppio della capienza dal governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi

Il personale e la direzione delle carceri – si legge nel rapporto – ostentano un totale disinteresse per la vita e il benessere dei detenuti e ignorano in larga misura le loro esigenze sanitarie. Lasciano alle famiglie dei prigionieri l’onere di fornire loro medicinali, cibo e denaro per comprare beni di prima necessità, come ad esempio il sapone, e infliggono loro ulteriori sofferenze negando le cure mediche adeguate o il tempestivo trasferimento negli ospedali.

Le autorità si spingono anche oltre, negando intenzionalmente assistenza sanitaria, cibo adeguato e visite familiari alle persone detenute per aver esercitato i propri diritti umani e ai detenuti politici.

Il rapporto racconta le storie di 67 prigionieri, detenuti in tre prigioni femminili e 13 prigioni maschili in sette province. Dieci di loro sono morti in carcere e due poco dopo il rilascio, nel 2019 e nel 2020.

Gli ex detenuti hanno raccontato di essere stati rinchiusi in celle non ventilate, sovraffollate e in pessime condizioni igieniche. Inoltre, gli agenti penitenziari hanno negato loro biancheria e indumenti adeguati, cibo sufficiente, articoli per l’igiene personale, compresi gli assorbenti igienici, e l’accesso all’aria fresca e all’esercizio fisico. A molti sono state crudelmente negate le visite delle famiglie.

Le rappresaglie comprendono l’essere tenuti in isolamento prolungato e a tempo indeterminato in condizioni disumane per più di 22-23 ore al giorno, non ricevere visite dei familiari per periodi fino a quattro anni e l’essere privati di pacchi di cibo o di altri prodotti essenziali inviati dai parenti.

Le ricerche di Amnesty International hanno rivelato che le direzioni delle carceri non forniscono ai detenuti un’assistenza sanitaria adeguata, sia per negligenza che per scelta. Le infermerie sono generalmente poco pulite e mancano di attrezzature e di professionisti sanitari qualificati; i medici somministrano solo antidolorifici a prescindere dai sintomi e addirittura aggrediscono verbalmente i detenuti, accusandoli di “terrorismo” e “delinquenza morale”. Due ex detenute hanno dichiarato di aver subito molestie e abusi sessuali.

Gli ex detenuti hanno anche lamentato l’assenza di procedure chiare per chiedere assistenza medica in caso di emergenza e di essere stati completamente alla mercé degli agenti e degli altri funzionari del carcere, che spesso hanno ignorato le loro richieste.

A fronte dell’inesistenza di servizi di salute mentale all’interno delle carceri, l’accesso all’assistenza esterna è stato reso disponibile solo per pochi detenuti che avevano tentato il suicidio.

Le autorità carcerarie spesso rifiutano di trasferire i detenuti politici che necessitano di cure mediche urgenti verso ospedali specializzati fuori dal carcere e non mettono a disposizione i farmaci, anche quando i loro costi potrebbero essere sostenuti dalle famiglie.

Oltre alle 12 persone morte descritte nel rapporto, Amnesty International è a conoscenza di altri 37 decessi verificatisi nel 2020, per i quali l’organizzazione non ha ottenuto il consenso delle famiglie per paura di rappresaglie.

I gruppi egiziani per i diritti umani stimano che dal 2013 centinaia di persone siano morte in carcere, a causa delle terribili condizioni detentive e al diniego di cure mediche. Le autorità rifiutano di rivelare i dati o di condurre indagini efficaci, approfondite, imparziali e indipendenti su questi decessi.

Le autorità egiziane si rifiutano di rivelare il numero dei detenuti presenti nei centri penitenziari del paese. Si stima che sia di 114.000, oltre il doppio della capienza massima carceraria di 55.000 persone indicata dal presidente al-Sisi nel dicembre 2020.

Il numero dei prigionieri è aumentato dopo la deposizione dell’ex presidente Mohamed Morsi nel luglio 2013, dando luogo a un grave sovraffollamento. Nelle 16 carceri esaminate da Amnesty International, centinaia di detenuti sono ammassati in celle sovraffollate, con una superficie media stimata di 1,1 metri quadrati per detenuto, molto inferiore al minimo di 3,4 metri quadrati raccomandato dagli esperti.

C’è poi la questione della pandemia da Covid-19. Le autorità continuano a ignorare gli appelli a ridurre la popolazione carceraria. Nel 2020, a seguito di grazie presidenziali e rilasci condizionali, sono uscite dalle prigioni 4000 persone in meno rispetto al 2019.

Le direzioni delle carceri non sono riuscite a distribuire regolarmente prodotti igienizzanti, a tracciare e controllare i nuovi arrivati, né a testare e isolare i casi sospetti. Problemi di lunga data, come la mancanza di acqua pulita, la scarsa ventilazione e il sovraffollamento, hanno reso impossibile l’attuazione di misure igieniche preventive e di distanziamento fisico.

I detenuti con sintomi da Covid-19 non sono stati sottoposti a test sistematici. In alcune carceri i sospetti positivi sono stati posti in quarantena in celle piccole e buie, utilizzate per la detenzione in isolamento, senza accesso a cure adeguate. In altre prigioni sono stati lasciati nelle loro celle, mettendo in pericolo la salute degli altri detenuti.




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