giovedì 8 dicembre 2011 - David Incamicia

Testimoni di giustizia, non lasciamoli soli

"Salve, sono un testimone di giustizia che vive a [...]. Non voglio annoiarvi con un lungo romanzo perché per spiegare la mia storia ci vorrebbero pagine e pagine. Vi dico solo che oggi non ho potuto far mangiare moglie e figlie. L'unica speranza che mi resta è togliermi la vita".

Sono le parole drammatiche scritte in una mail dal testimone di giustizia Luigi Coppola, che come le tante altre persone che hanno spezzato le catene dell'omertà è costretto a vivere senza garanzie costituzionali e nel più assoluto abbandono da parte delle istituzioni.

I testimoni di giustizia sono ben altra cosa dai "collaboratori di giustizia". A differenza di questi ultimi, non hanno mai fatto parte delle organizzazioni malavitose ma hanno semplicemente esercitato il proprio diritto-dovere di testimoniare contro le loro attività criminali, perdendo per questo casa, lavoro e la libertà di condurre una normale e civile esistenza.

La gran parte dei 70 testimoni di giustizia italiani ha più volte manifestato il proprio disagio, in modo singolo o collettivo, chiedendo il rispetto degli accordi a suo tempo presi da parte dello Stato. C'è addirittura chi si è spinto fino a forme estreme di digiuno finendo in ospedale, come la calabrese MC, in quella terra in cui le donne che si ribellano vengono massacrate senza pietà. Sorte toccata a Maria Concetta Cacciola e Tita Buccafusca, entrambe "suicidate" nell'acido muriatico nel corso del 2011 e solo gli ultimi esempi di una mattanza infinita.

Senza dimenticare lo scempio fatto del corpo della povera Lea Garofalo, che per aver rotto i rapporti con la propria famiglia e aver denunciato molte persone è stata legata e imbavagliata, torturata e uccisa brutalmente con un colpo di pistola alla nuca per poi essere sciolta anche lei nell'acido. Le sue ultime parole di disperazione, indirizzate al Capo dello Stato e con le quali si definiva "giovane madre allo stremo delle forze", sono state rese pubbliche solo dopo il suo assassinio: "Oggi e dopo tutti i precedenti mi chiedo ancora come ho potuto anche solo pensare che in Italia esista realmente qualcosa di simile alla giustizia". Davvero difficile darle torto.

E ancora, Angela Costantino, una ragazzina scomparsa nel nulla quando era incinta, perché il figlio che portava in grembo non era del marito boss e per questo doveva pagare con la vita. Fu strangolata e seppellita in un terreno mentre la sua auto finiva in mare, in modo da simulare un suicidio.

Tutte queste vittime sono sempre state chiamate "collaboratori di giustizia", con una espressione utilizzata impropriamente che chi invece svolge l'importante ruolo di "testimone di giustizia" considera inaccettabile, avvertendola come un macigno che toglie dignità e serenità alla propria vita e a quella dei propri familiari.

La loro situazione è stata più volte oggetto di discussioni parlamentari, che però non hanno mai prodotto misure davvero adeguate di tutela e di garanzia. Anche di recente, il governo Berlusconi, che si è distinto invece per aver sistematicamente smontato i programmi di protezione, ha respinto proposte tese ad agevolare l'inserimento lavorativo dei testimoni di giustizia.

Chi continua a battersi per tali soggetti privi di cittadinanza giuridica è la società civile. Un cartello composto da Movimenti Civici, Movimento RadicalSocialista, Movimento Agende Rosse e Associazione Democrazia e Legalità ha promosso una PETIZIONE che verrà presto consegnata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il tentativo è proprio quello di chiedere al Parlamento di recuperare ed approvare quell'emendamento bocciato dal precedente governo, per garantire sicurezza e riconoscere piena legittimità sociale ai testimoni di giustizia assumendoli nella Pubblica Amministrazione.

Grazie alla divulgazione sul web, la petizione ha ottenuto una media di cento firme al giorno producendo un moltiplicarsi di link e pubblicazioni tra siti e blog in tutta Italia. Le adesioni, che continuano a pervenire ai promotori da ogni regione, vengono adesso raccolte anche su moduli cartacei. Si tratta di un'iniziativa che sta contribuendo a rivelare lo scenario inquietante delle condizioni in cui versano i tanti testimoni di giustizia dimenticati dallo Stato ma che ora, confortati dalla mobilitazione della Rete, stanno decidendosi finalmente a rendere pubbliche le proprie storie.

Il primo a rompere gli indugi è stato appunto l'imprenditore campano Luigi Coppola, che osò sfidare la camorra e che per questo ha ripetutamente e inutilmente chiesto al Ministero degli Interni, sostenuto con forza dall'Associazione Nazionale Famigliari Vittime di Mafia, di essere protetto. Come lui i coniugi Antonino e Francesca Candela, che hanno raccontato invece in una lunghissima e dettagliata lettera la propria tragica esperienza.

Si tratta di persone vere, con storie di disagio e di sofferenza da raccontare e con famiglie fisicamente ed emotivamente coinvolte nella loro disperata battaglia per la sopravvivenza contro le mafie e l'indifferenza. Non hanno spazio nei programmi televisivi né sulle prime pagine dei giornali, ma non rinunciano alla speranza di una vita più degna che affidano al passaparola fra i cittadini e al tam tam di internet, nella speranza di diventare finalmente visibili e di far giungere il proprio grido di dolore all'attenzione di media e istituzioni. Perché non si può smettere improvvisamente di esistere, solo per aver compiuto il proprio dovere di cittadini rispettosi della legalità. Non è giusto e non è morale.

I primi firmatari della petizione a loro dedicata sono il consigliere regionale lombardo di IDV, sottoposto a scorta, Giulio Cavalli e le deputate calabresi Doris Lo Moro del PD ed Angela Napoli di FLI. E poi, il deputato PD componente della Commissione Antimafia Franco Laratta, assieme al suo collega di partito senatore Giuseppe Lumia e alla europarlamentare IDV Sonia Alfano.

Ma accanto ai politici, non mancano personalità di primo piano dell'associazionismo da sempre impegnate nella lotta alla criminalità organizzata come Salvatore Borsellino, Elio Veltri, il Presidente di Libera don Luigi Ciotti e la responsabile dell'Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage di via dei Georgofili Giovanna Maggiani Chelli.

Le firme raccolte saranno portate al Quirinale il prossimo gennaio, e si spera che il Presidente Napolitano, pure in quell'occasione, saprà confermare la sua straordinaria e rara sensibilità civile.

Fino ad allora, si potrà continuare a sottoscrivere la petizione cliccando sul seguente link:

LAVORO E SICUREZZA AI TESTIMONI DI GIUSTIZIA



2 réactions


  • (---.---.---.210) 8 dicembre 2011 16:53

    sono luigi coppola ,il testimone di giustizia. e vi dico che la situazione ,e ancora piu grave .non possonemmeno conprare medicinaliper mia figlia ammalata ,e dobbiamo anche sloggiare dallhotel poche dopo 16 mesi che ho senpre pagato circa 3000euro al mese .adesso non posso piu pemettermelo e lo stato che a fatto ’’non e stato in grado di trovarmi un a casa e di rdarmiquella dignita che avevo prima di denunciare ,,,,,,,,,,,,luigi coppola 3396657609


  • (---.---.---.194) 8 maggio 2012 11:23

    Testimoni di giustizia; il fallimento dello Stato.

    Nel 1971 c’era in Florida un certo James Cusak, agente FBI, che per acquisire informazioni dai cittadini contro la
    criminalità, nel più completo anonimato, stabilì le seguenti norme estremamente precise .

    La polizia non chiedeva le generalità dell’informatore , ma era la polizia che attribuiva al collaboratore un nome in codice con il quale richiamare per altri dettagli, altre segnalazioni o per ritirare la ricompensa.

    1° Garanzia assoluta dell’anonimato per quanti avessero segnalato fatti delittuosi;

    2° Gli informatori non potevano essere citati in giudizio come testimoni;

    3° Non si potevano eseguire arresti né spiccare ordini di cattura soltanto sulla base di una denuncia di cui la polizia avrebbe dovuto servirsi unicamente per l’individuazione del responsabile del reato;

    4°Le prove la polizia se le sarebbe dovute procurare da sola;

    5° Le ricompense sarebbero state pagate solo a condanna avvenuta o se non ritirato sarebbe stato devoluto ad istituti.

    Le TV e le stazioni radio sia pubbliche e private, una volta accertato che le libertà civili risultavano garantite,. hanno dato ampia pubblicità

    La cosa più importante è che questa iniziativa offre veramente ai cittadini l’opportunità di aiutare la polizia senza esporli al rischio di rimanere coinvolti o di essere bollati come spie.

    Il cittadino è stanco di considerarsi complice di assassini, corruttori, ladri, mafiosi, spacciatori di droga, stupratori,. Deve finire il ragionamento “perché mi devo intromettere; meglio evitare seccature e tribunali che correre brutti rischi di minacce, ricatti o di venire ucciso io o la mia famiglia? Ed è proprio sull’omertà che fanno leva i delinquenti..

    Inviata al Ministro della Giustizia >Paola Severino il 6/4/2012

    Inviata a Luigi Vitali, commissione giustizia il 6/4/2012


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