Storie di premier e candidati “fuorilegge”
Mettere fuorilegge un avversario ingombrante sembra una pratica galoppante nella realtà politica di parecchi Paesi. Sta nuovamente accadendo al tanto discusso ex premier pakistano Khan, i cui detrattori più che sul fronte avverso della Lega Musulmana-N, attualmente al governo, aleggiano fra la casta militare che vigila sui partiti e influenza l’azione della magistratura.
Sorte simile in India per Rahul Gandhi, escluso dal Parlamento, ora appena riammesso ma sempre sul filo del rasoio per poter partecipare alle elezioni del prossimo anno. E poi Erdoğan, recente vincitore delle presidenziali turche contro il leader repubblicano Kılıçdaroğlu, visto che l’emergente sindaco di Istanbul İmamoğlu, sempre in quota al Chp, era stato fermato dai giudici per aver pronunciato frasi che mettevano “in pericolo la sicurezza dello Stato”. Chi ha messo in pericolo quella sicurezza – secondo il Partito Democratico americano – è Donald Trump, i cui adepti assaltarono Capitol Hill nel gennaio 2021, non accettando il risultato elettorale che aveva sconfitto l’esponente repubblicano. Ogni caso è a sé, soprattutto la vicenda di Trump è oggettivamente la più inquietante sebbene gli assalitori del Campidoglio apparissero più comparse d’una commedia di fantapolitica che reali golpisti. Invece lì dove un golpe è stato tentato, in Turchia nel 2016, gli strascichi della stretta repressiva oltre alla durezza dell’epurazione contro i presunti complottatori (i seguaci di Fethullah Gülen) s’è riversata su altre componenti ed è rivolta al libero pensiero e alla critica dell’apparato del partito di regime: l’Akp di Erdoğan. Agisce come una piovra che stritola chi s’oppone all’induizzazione della società un’altra formazione di regime, il Bharatiya Janata Party mossa dal guru Narendra Modi che punterà al terzo mandato alle prossime politiche indiane del maggio 2024. La cui elefantìaca macchina elettorale, che conta circa un miliardo di potenziali elettori, ha iniziato a muoversi. E visto che il numero di chi s’affaccia alle urne per la prima volta è in esponenziale crescita, il partito di maggioranza pensa a orientare il voto dei più giovani reclutando a suo vantaggio influencer con milioni di seguaci sulle piattaforme social.
Egualmente non demorde nel tentativo di ostacolare un candidato (Gandhi) che, sebbene porti un cognome appesantito da storie di clan familiari che per decenni recenti hanno oscurato l’origine quasi mistica del Mahatma, viene considerato una speranza dell’India democratica, multietnica e multireligiosa. L’India contraria alle imposizioni del fanatismo dell’hindutva, un radicalismo razzista sdoganato e ormai cavalcato dal partito di governo. Proprio ieri Rahul è stato riammesso alla Camera indiana, poiché la Corte Suprema ha sospeso la condanna per diffamazione del premier Modi. Aleggia però una riserva del Tribunale che potrebbe rimetterlo fuorigioco al momento opportuno: le settimane precedenti le politiche di maggio. Attualmente chi resta fuori da una possibile corsa parlamentare è l’ex campione di cricket ed ex premier pakistano Khan, che ha vissuto un anno pericoloso assai. A seguito della protesta, partecipatissima, lanciata nella primavera dello scorso anno contro quello che definiva un complotto contro la sua persona e il Tehereek-e Insaf Party di cui è capo, un complotto a suo dire internazionale manovrato dalla Casa Bianca, riceve una serie di avvertimenti da avversari diventati sempre più numerosi. Ad agosto 2022 gli viene vietato di partecipare alla marcia e a registrare arringhe politiche, a ottobre la Commissione elettorale lo accusa di pratiche corruttive, espellendolo dal Parlamento. Lui subito dopo rilancia un’ennesima manifestazione, a novembre durante un comizio viene ferito a una gamba. Eppure non demorde e ordina lo scioglimento delle Assemblee rappresentative controllate dal suo partito nelle popolose province del Punjab e del Khyber Pakhtunkhwa.
Nel marzo scorso un raid poliziesco gli circonda la villa di Lahore: vogliono arrestarlo, ma devono fermarsi. Appresa la notizia dell’operazione i militanti del Pti attaccano la polizia, ne seguono scontri con morti e feriti. L’arresto è solo rimandato. Nel maggio scorso, mentre Khan si reca in Tribunale per difendersi dall’accusa di avere ricevuto regali durante il suo mandato da premier senza denunciarli, viene prelevato da agenti speciali dell’Intelligence e condotto in carcere. Successivamente liberato viene in questi giorni privato della possibilità di partecipare alle elezioni fissate per il prossimo novembre. L’accusa è la medesima: corruzione. Lo scontro della carta bollata e dei tribunali è real politik e travalica quello delle urne e pure delle piazze.
Enrico Campofreda