Spending review: taglio dei buoni pasto per i dipendenti pubblici
Il ticket dovrebbe passare da 7 a 5,29 euro. In questo modo le aziende e i lavoratori eviterebbero di pagarci le imposte. Ma il risparmio per lo Stato sarebbe solo di dieci milioni. Il settore genera un indotto di 3,4 miliardi di euro. Ma è giusto colpire ancora una volta i dipendenti statali, come se fossero la principale causa del degrado dei conti pubblici?
Statali ancora sotto tiro del governo. Non sono stati sufficienti i tagli imposti negli ultimi tre anni dal governo Berlusconi, l’allungamento dell’età pensionistica, il blocco degli aumenti stipendiali, del turn-over. Ora è la volta dei buoni pasto, che il governo, nell’ambito della revisione della spesa pubblica, vorrebbe tagliare per i dipendenti statali che li percepiscono. Il prossimo passo potrebbe riguardare le tredicesime di dicembre (cui già Monti fece un pensierino nel 2011) e, come in Grecia, perfino i livelli salariali e stipendiali. I buoni pasto sono, in pratica, un’integrazione del reddito che il dipendente statale percepisce sotto forma di succedaneo della moneta. Essi sono rilasciati da società autorizzate o direttamente dallo Stato, come ticket, spendibili negli esercizi commerciali di generi alimentari. Per molti dipendenti, in questo periodo di crisi, i buoni pasto sono un piccolo aiuto all’economia domestica, spesso utilizzati al supermercato per pagare il conto del carrello della spesa.
Secondo le cifre fornite da Fabio Savelli, del «Corriere della sera», e relative ad una stima prevista per il 2013, i buoni pasto parteciperebbero alla creazione del prodotto interno lordo per circa 306 milioni di euro, assicurando un gettito fiscale di 438 milioni. Il governo vorrebbe diminuire il valore di ogni ticket a 5,29 euro. Attualmente esso varia da sette a otto euro (che non copre per niente il costo di un pasto decente al self-service ma soltanto quello di un panino e una bibita). Ma perché 5,29 euro? Perché al livello di quella soglia, i ticket non producono alcun prelievo fiscale, né per le società emittenti (dal lato della contribuzione sociale), né per i dipendenti (sotto forma di fringe-benefit).
Insomma, un risparmio fiscale risibile per i lavoratori ma anche per le aziende, se posto in confronto con la perdita unitaria del valore del ticket. La decisione ha già sollevato un vespaio di polemiche, per ora limitate alle associazioni delle imprese emittenti e quelle che rappresentano gli esercizi commerciali (i sindacati dei lavoratori sembrano dormire). La riduzione a 5,29 euro del buono pasto significa tornare al valore che esso aveva quindici anni fa e quindi ad un ulteriore impoverimento della capacità di spesa dei lavoratori statali. Perché, ancora una volta, è questo il vero problema.
Oltre a quello che deriva da un minimo di equità sociale (i dipendenti statali sono praticamente i più colpiti dai ripetuti provvedimenti del governo, come se fossero l’unica o la principale causa del degrado dei conti pubblici), l’attuale Esecutivo sta mettendo in cantiere un altro provvedimento recessivo, che contribuirà, ancora di più, a deprimere in consumi e quindi la domanda aggregata interna, già di per sé assai debole.
Proprio oggi sono stati diffusi i dati Istat, secondo cui è in atto un vero e proprio crollo delle vendite al consumo, diminuite addirittura del 6,8% ad aprile (il settore alimentare è calato del 6,1%). Dati che dovrebbero far riflettere (se ancora ne è capace) l'attuale governo. Un recente studio dell’Università Bocconi di Milano (la medesima presieduta dal professor Monti) ha evidenziato come i buoni pasto siano stati l’unico strumento a non aver mai beneficiato di alcun adeguamento all’inflazione negli ultimi anni. Secondo questo studio, un loro aumento ad otto euro (con relativa soglia di esenzione fiscale innalzata a quella cifra) genererebbe un aumento del potere di acquisto di 2,3 milioni di lavoratori pari al 3,24%. Si deve considerare che l’intero settore è in grado di generare un indotto di 3,4 miliardi di euro. Secondo i dati forniti da Franco Tumino dell’ANSEB, l’associazione di categoria delle imprese di ticket, il risparmio per lo Stato con i buoni pasto a 5,29 euro sarebbe soltanto di dieci milioni di euro. Un risparmio che non c’è.