Spending Review: blocco tredicesime e taglio degli stipendi statali
Sempre più insistenti le voci sui tagli draconiani agli stipendi del pubblico impiego che il governo avrebbe preventivato, secondo le quali sarebbero colpiti tutti i comparti (amministrazione centrale, periferica, scuola, università, sanità, trasporti). Blocco delle tredicesime per tre anni e tagli a stipendi e salari fra il 2,5 e il 5%.
Stanno utilizzando la dizione forbita di «Spending review», ma la politica è sempre la stessa: tagli forsennati e unidirezionali. In teoria lo «Spending review» dovrebbe essere esattamente il contrario dei tagli lineari, quelli che piacevano tanto al ministro Tremonti, perché dovrebbe significare l’eliminazione delle spese improduttive e degli sprechi e lasciare intatti i settori considerati produttivi e strategici. Ma qui il governo sembra che si stia apprestando a martoriate semplicemente salari e stipendi del pubblico impiego, senza alcun criterio razionale. Alla base c'è la convinzione che esso sia l’unico parassita che ha causato il disastro dei conti pubblici.
Ancora nessuno lo sa con certezza, ma fra le misure contenute nel decreto che il governo si appresta ad approvare in Consiglio dei ministri lunedì prossimo, oltre ad un abbassamento del valore dei buoni pasto da 7 a 5,29 euro, ci sarebbe anche o la posticipazione delle tredicesime di dicembre o addirittura il loro taglio, in ragione progressiva rispetto al reddito percepito dal dipendente statale. L’ipotesi più radicale che sta circolando in questi giorni, prevede il blocco delle tredicesime mensilità per tre anni e un taglio degli stipendi compreso fra il 2,5 e il 5%. Secondo le stime della Ragioneria generale, su 167 miliardi che lo Stato spende per il pagamento delle retribuzioni dei propri dipendenti, si potrebbe avere un risparmio del 10%, quindi di oltre sedici miliardi.
Si tratta di un «Piano B», che verrebbe preso in considerazione se le dismissioni immobiliari e i licenziamenti che si prospettano per gli over sessantenni e le riduzioni delle piante organiche non dovessero dare quei risparmi preventivati, in grado anche di scongiurare l’aumento autunnale dell’IVA. Secondo le indicazioni presenti nel progetto, la riduzione della pianta organica di molte amministrazioni potrebbe comportare un numero di esuberi pari a 300 mila unità. In base alla “legge Brunetta” queste persone sarebbero messe in mobilità con l’80% dello stipendio, per poi essere licenziate dopo due anni se l’amministrazione pubblica non ha trovato per loro una sistemazione alternativa.
Insomma, il governo Monti sta pensando, con una modestissima fantasia, alle stesse misure imposte ai greci dalla comunità internazionale, anche se tutti si sgolano per convincerci che la nostra situazione è migliore, rispetto a quella dei nostri vicini. In Grecia, le misure draconiane sugli stipendi pubblici hanno aumentato a dismisura la povertà del Paese e stanno colpendo negativamentele finanze pubbliche, che invece di beneficiare del “risparmio” preventivato, hanno sofferto di un calo sensibile del gettito fiscale. Infatti, misure di questo tipo servono unicamente a deprimere ancora di più i consumi e quindi la domanda interna. Conseguentemente, il “risparmio” immediato che lo Stato ricava da esse rischia di essere vanificato dall’avvitamento dell’economia che deprime il gettito tributario, acuendo la «crisi fiscale dello Stato».
Tutto ciò a fronte del radicato e scellerato rifiuto di introdurre una imposta patrimoniale straordinaria e però consolidata per un certo periodo di anni, progressiva rispetto a ciò che si possiede, in grado di prelevare soldi dalle grandi ricchezze, soprattutto di quelle depositate all’estero. Nello stesso tempo, si dovrebbe avere il coraggio di avviare misure serie per la tracciabilità dei pagamenti, in grado di recuperare almeno ottanta miliardi di gettito che viene evaso, sui centocinquanta annuali stimati.