lunedì 28 novembre 2011 - YouTrend

Speciale Debito Pubblico Italiano: dalla crisi dello SME alla crisi dell’Euro

La scorsa settimana abbiamo visto come il debito pubblico è cresciuto dal 1970 al 1992, toccando in quest’ultimo anno, sotto i governi Amato e Ciampi, il 110% del PIL. Da allora ad oggi, il debito è rimasto a livelli stabili, restando tra il 105% e il 121% del PIL. Perché allora proprio adesso i mercati hanno perso fiducia nella nostra capacità di ripagarlo?

La Lega Nord, e più velatamente il Presidente del Consiglio uscente, attribuiscono parte della colpa alla moneta unica. Oggi, nella seconda parte dello Speciale Debito Pubblico di Youtrend, esaminiamo il ruolo della fine del sistema monetario europeo (SME) nel 1992 e dell’introduzione dell’Euro nel 1999, nell’attuale crisi di del debito.

Un po’ di storia

La necessità di facilitare il commercio intra-europeo e il desiderio di valute dal valore stabile era dietro la decisione di legare il valore delle varie monete europee tra di loro, ma in pratica a quella con il peso economico maggiore, cioè il Marco tedesco. Tuttavia i tassi di interesse imposti dalla Banca Centrale Tedesca, in particolare dopo la riunificazione con l’Est, divennero presto recessivi per il Regno Unito e per l’Italia. Ben sapendo che i governi dei rispettivi paesi non avrebbero retto a lungo alle conseguenze politiche del loro legame con il Marco, le principali banche d’investimenti iniziarono a vendere allo scoperto Lire e Sterline. Nel settembre del ’92, sotto questa pressione, i due paesi uscirono dal “serpentone” SME, svalutando le loro valute rispetto al Marco e arricchendo notevolmente George Soros, principale scommettitore contro la Sterlina. In Italia, la Lira venne svalutata dal governo Amato del 7%, dando contemporaneamente sia un colpo di reni alla competitività dell’export che abbattendo in termini reali il debito pubblico.

Avete meno di 30 anni? Eppure vi suona familiare questa narrativa di una politica monetaria tedesca imposta al resto d’Europa e un attacco speculativo in seguito a una recessione? Un motivo c’è. È sostanzialmente quello che succede oggi con l’Euro.

Spieghiamo meglio. In seguito alla crisi del 1992, era chiaro che finché le valute europee fossero state legate al Marco in maniera reversibile, lo SME non sarebbe stato preso sul serio e le monete dei singoli paesi sarebbero rimaste vulnerabili ai mercati. L’Euro invece cementava il patto. Come lo SME, l’Euro aveva il vantaggio di sottoporre i paesi partecipanti ad una politica monetaria unica e in teoria indipendente, quella della Banca Centrale Europea – anche se di fatto tendente a favorire l’export tedesco e non a caso basata a Francoforte. Ma, diversamente dallo SME, non era considerato reversibile.

I benefici sembravano gli stessi dello SME ma più certi. Inoltre, la moneta unica faceva sì che i singoli paesi non potessero più usare la svalutazione per ridare forza all’export e per tenere a freno i propri debiti. D’un tratto i vari paesi si ritrovarono a dover aumentare la produttività per incentivare l’export e diminuire la spesa per diminuire il debito: scelte politicamente più difficili, su cui in seguito torneremo.

Un’eventuale default di un singolo paese divenne d’un tratto impensabile, perché gli altri paesi – leggasi Germania – sarebbero corsi in suo aiuto pur di mantenere intatto l’Euro e dunque una politica monetaria tutta a proprio vantaggio.

Naturalmente, l’inverosimilità di un default di un membro dell’Euro abbassò di colpo gli interessi sul debito dei vari paesi, equiparandoli di fatto a quelli pagati sulla Germania. Proprio per questo motivo la parola spread non si è mai sentita in Italia fino al 2011 (per i pochi che non lo sapessero, lo spread è semplicemente la differenza tra l’interesse pagato su un bond decennale tedesco, dato come il più sicuro dell’Eurozona, e quello di un altro paese europeo). A causa della moneta unica, le possibilità di un nostro default erano considerate pressoché uguali a quelle di un default tedesco. Lo spread in realtà c’era, ma era praticamente zero.

Cosa successe al nostro debito in questo periodo? I padri dell’Euro erano ben consci che un paese avrebbe potuto approfittare dell’interdipendenza europea, e della garanzia implicita di un salvataggio tedesco in caso di default. La soluzione era il Patto di Stabilità: il trattato a cui aderiscono i paesi dell’Euro che stabilisce una serie di sanzioni applicabili a paesi che eccedessero certi paletti di deficit e di debito prefissati arbitrariamente (nota tecnica: deficit = disavanzo pubblico in un anno, debito = il netto dei disavanzi accumulati).

Inutile dire che solo in pochissime istanze il Patto di Stabilità è stato rispettato. Ma i tassi bassissimi garantiti dall’Euro, dal 1999 ad oggi, hanno permesso ai governi che si sono susseguiti di tenere almeno a livelli stabili il debito.

Parallelamente, l’export è diminuito. Entrando nella moneta unica, si sperava che la competitività italiana sarebbe cresciuta grazie a aumenti in termini di produttività anziché grazie a svalutazioni. Ma cosi non è stato. La produttività è rimasta piatta negli ultimi dieci anni, causa importante della stagnazione del nostro PIL. Con una moneta forte, il nostro export si è affossato.

La crisi

Torniamo alla domanda con cui abbiamo aperto: fino agli ultimi mesi non ci è mai stata una svendita di BTP (bond/titoli di stato decennali) tale da spingere gli interessi al punto di essere insostenbili (il 7% e dunque il 5% di spread attuali). Anzi, i BTP rendevano circa quanto i Bund tedeschi. Perché adesso?

Perché, con l’aprirsi della crisi mondiale del 2008 (e da qui nascono le prime espansioni dello spread) d’un tratto non è più scontato che l’Euro sia indivisibile. Perché non vi è più una disponibilità da parte della Germania a garantire i nostri debiti, e quelli degli altri PIIGS. E dunque il rischio di un nostro default è reale e verosimile. Basandosi sul rendimento dei CDS (uno strumento finanziario usato per proteggersi da un default) e su i principali indicatori macroeconomici, un default italiano nei prossimi tre anni è dato da Markit al 35% di probabilità.

E finché l’Italia resterà nell’Euro, non potrà sdebitarsi come sempre ha fatto, ossia svalutando al punto da avere banconote con un taglio da terzo mondo. L’Euro si sta rivelando una ripetizione dello SME perché la crisi e l’indisponenza tedesca l’hanno svelato come non-vincolante. I mercati se ne stanno rendendo conto e puntano sul default, perché l’Euro gli impedisce di scommettere, come nel 1992, sul suo antidoto, la svalutazione.

Il problema di fondo rimane lo stesso del 1992. La Banca Centrale che regola la nostra politica monetaria non permette una svalutazione. All’epoca perché la Banca Centrale competente era quella tedesca, e doveva mantenere tassi elevati per finanziare la riunificazione tedesca. Oggi perché la nostra Banca Centrale, la BCE, per legge è interdetta dallo stampare Euro allo scopo di comprare debito dei singoli paesi membri. Ma si sa, più che la legge Europea è la volontà tedesca ad avere una politica monetaria che favorisce il proprio export ad essere determinante sulla volontà di Francoforte.

La settimana prossima vedremo come potrebbe evolvere la situazione. Si può rimanere nell’Euro se si dà ai mercati un segnale forte sulla diminuzione del debito. Si può agire sul debito stesso come si può agire sul suo denominatore: il PIL. Proprio in quest’ultimo senso vedremo come potrebbero essere cruciali le politiche mirate alla crescita della produttività. Inoltre, i due fattori interagiscono. Nell’ultima puntata vedremo come potrebbe finire la crisi attuale e le dolorose scelte politiche che ogni soluzione comporterebbe.



4 réactions


  • Damiano Mazzotti Damiano Mazzotti (---.---.---.215) 28 novembre 2011 14:44

    Smettela di accusare l’Euro... Quando c’era la lira non c’è la Cina a fare concorrenza... E nemmeno l’India, Brasile, Sudafrica, e Corea del Sud ai livelli di oggi...

    Nella vera scienza i fatti correlati non implicano casualità: la nascita dell’euro è coincisa con la forte crescita dei paesi in via di sviluppo.

    Forse solo la Grecia potrebbe trarre vantaggio dall’uscita dell’Euro... Forse la Germania. L’unica cosa da fare è stampare Euro e farli arrivare alle imprese e alla gente normale...

    In Italia non hanno controllato i prezzi e se si ritornerà alla lira verremo fottuti di nuovo...


    • (---.---.---.206) 29 novembre 2011 00:35

      Vero è che non c’erano nè Cina, nè India e nè Brasile però da parte dell’Italia c’era il libero commercio e la libera concorrenza e il PIL poteva crescere grazie alle esportazioni di merci che erano garantite da una politica finanziaria e doganale che ne impediva l’inflazione. Oggi è tutto appiattito anche perchè ogni nazione che fa parte della zona euro ha ciascuna delle proprie leggi penali e fiscali che penalizzano i paesi più deboli. Forse l’euro sarebbe stato valido se i paesi della comunità avessero prima scelto una politica comune di governo e poi o contemporaneamente scegliere il passaggio all’euro.
      Per come siamo combinati adesso in Europa la Germania è come se fosse la Cina. 


  • Damiano Mazzotti Damiano Mazzotti (---.---.---.243) 29 novembre 2011 10:16

    Oggi è uscito un mio articolo sull’euro dove spiego altre cose. Sono d’accordo che l’Iva andrebbe uniformata in quasi tutti i paesi per evitare dannosissime truffe di società esistenti solo sulla carta. Ma l’Italia di 20 anni fa investiva di più in ricerca e sviluppo di oggi e i Brics non esistevano (Brasile, Russia). E il petrolio costava molto meno, e oggi senza l’Euro il petrolio costerebbe molto di più.


  • (---.---.---.232) 29 novembre 2011 18:07

    Mi lascia perplessa lo scarso dibattito sul tema della sovranità monetaria, la cui mancanza insieme con la finanziarizzazione dell’economia incide sugli attuali assetti. Diviene ormai indispensabile per uscire dall’asservimento alla moneta-debito una riforma concepita sulla finalità di restituire allo Stato la funzione monetaria ed ai cittadini la proprietà della moneta, dando inizio ad un sistema di democrazia integrale, in cui i popoli non abbiano solo la sovranità politica, ma anche quella monetaria. Insomma, lo Stato, invece di crearsi il suo denaro a costo zero e senza interessi (come farebbe uno Stato Sovrano), lo acquista con titoli di Stato (indebitandosi) da banche private con cospicui interessi, per cui l’attuale debito pubblico è matematicamente impagabile. Infatti, per azzerare tale debito pubblico italiano bisognerebbe creare altri 1.900 miliardi di euro, che nella situazione attuale di assenza di sovranità monetaria, con la cessione della potestà di emissione delle banconote ad un sistema bancario privato, vorrebbe dire creare ulteriori titoli di Stato (di indebitamento) per 1.900 miliardi, portando così il debito pubblico a 3.800 miliardi! Ed è per questo che il debito pubblico prima o poi non può che essere ricusato, ovvero annullato: è impagabile (nella situazione di mancanza di sovranità monetaria). Lo Stato ritiri al sistema bancario la delega ad emettere le banconote, stampando lui stesso le banconote -come già fa per le monete metalliche- (http://www.agoravox.it/Sovranita-monetaria-per-de.html , http://www.agoravox.it/Il-Sgreto-del-Debito-Pubblico.html , http://www.fuoricentroscampia.it/politica.php?id=1622 ,http://www.petizionepubblica.it/?pi=MM1951). Claudia Del Vento


Lasciare un commento