Sostenibilità, libertà e emancipazione economica in Sardegna. Intervista all’avvocato Paolo Aureli
Pace Terra e Dignità è una lista elettorale di stampo pacifista e ambientalista lanciata da Michele Santoro e Raniero La Valle in occasione delle ultime elezioni europee.
Il risultato è andato sotto le aspettative e la barriera del 4%, a eccezione – sul territorio italiano – della Sardegna. Qua PTD ha sfiorato lo sbarramento del 4% e in alcuni territori, a cominciare dal Sulcis, ha raggiunto punte del 5,3%. Tra i principali sostenitori della lista nell’Isola Paolo Aureli, avvocato laziale da tempo in Sardegna e – come dice di sé – “zonafranchista”.
A partire dal suo impegno per PTD in Sardegna, in questa intervista Paolo Aureli affronta alcune delle principali problematiche legate al tema della pace e della sostenibilità ambientale nell’Isola, con uno sguardo orientato verso un futuro sardo sostenibile e libero dalle servitù.
Conversazione con Paolo Aureli, 53 anni, avvocato del foro di Cagliari stabilitosi dal 2003 in Sardegna, nel Sulcis Iglesiente, dove svolge la Professione forense. Ha incontrato Pace Terra e Dignità e, quindi, Michele Santoro per puro caso. Serviva un avvocato autenticatore per le firme che si stavano raccogliendo per la partecipazione della Lista alle elezioni Europee 2024 e venne contattato da Ennio Cabiddu, già tre volte Sindaco di Samassi, la sua cittadina, e pacifista di rilievo internazionale.
Lei come è venuto a contatto con Pace Terra e Dignità?
Ci ritrovammo un primo pomeriggio a raccogliere ed autenticare firme sotto il Bastione a Cagliari, ne raccogliemmo circa 250 in poche ore.
Ebbi l’occasione di ascoltare da Ennio quali fossero i principi ispiratori e quale il progetto di Pace Terra Dignità e mi entusiasmai subito per le tematiche proposte, tra le quali spiccava e spicca la ricerca della Pace non come vana declamazione, ma come serio sforzo diplomatico teso ad un patto ponderato per evitare o, perlomeno, allontanare nel tempo un probabile conflitto.
Soprattutto negli ultimi tempi non pare che, secondo questa definizione, i governanti stiano perseguendo la pace a dovere. Ci si ritrova?
Non mi pare che, secondo questa definizione, i nostri governanti stiano perseguendo la pace a dovere. Giusto?
Infatti. Guardiamo all’Ucraina. Sembrano appiattiti sulle posizioni tese a tenere aperto un conflitto (oserei dire un tritacarne sine die) con la goffa e mal celata speranza di poter vincere la guerra entrando in territorio russo, ben sapendo che i russi hanno una mano nel gas a l’altra sulle testate tattiche nucleari, questa è la verità che potrebbe scoppiare in mano all’occidente che nel frattempo si impoverisce, indebitandosi (come ha fatto l’Italia senza, vorrei ricordarlo, vincoli di bilancio) per procurarsi quante più armi possibile.
Anche dal punto di vista ambientale, le tematiche non mancano.
Nel frattempo, però, abbiamo evidenti problemi di assenza infrastrutturale, anche gravi, in tante regioni d’Italia. Vero?
Bisognerebbe investire contro il rischio idrogeologico, sulla sanità, sulla scuola e su tanto altro che sarebbe troppo lungo elencare; mi vengono pure in mente le difficili condizioni dei carcerati e della Polizia Penitenziaria su cui ricadono, come scuri, le inadeguatezze dello Stato.
La mia Regione, la Sardegna, è stata da sempre territorialmente sfruttata e mai infrastrutturata, hanno iniziato dalla notte dei tempi con le attività estrattive, hanno continuato con la grande industrializzazione petrolchimica, col ciclo produttivo dell’alluminio.
Tra le principali contro argomentazioni in merito alle pratiche spesso definite coloniali nell’Isola, c’è il fatto che basi militari, esercitazioni e così via “portano lavoro”. Qual è il costo?
Non metti in dubbio che in questi anni siano state pagate profumatamente tante buste paga nel territorio, vero, ma a quale prezzo?
Tante parti del meraviglioso territorio sardo sono adesso inutilizzabili per sempre, non ci sono i soldi per le bonifiche.
La Sardegna è scandalosamente gravata, se non erro, dalla presenza di ben cinque poligoni militari, con tutto ciò che questo ha portato con sé negli anni: grande inquinamento e intere fette di territori con all’interno, naturalmente, anche testimonianze archeologiche che resteranno per sempre sepolte su suolo pericolosissimo e che di “terrestre” ha ormai ben poco.
In Sardegna poi, per non farci mancare niente, anche una fabbrica di armamenti, la RWM del colosso tedesco RHEIMETHAL, per la gioia della scuola di addestramento piloti di caccia bombardieri della Leonardo a Decimomannu. E’ così?
In merito, la Zona Franca è un istituto previsto nello Statuto Speciale della Sardegna. Se ne parla da quando è stato introdotto nell’ordinamento italiano da un decreto legislativo del 1998 e c’è chi lo ritiene una via in grado di dare vero respiro economico e sociale all’isola.
Paolo Aureli, lei ne è un sostenitore, ma perché in Sardegna il dibattito e le intenzioni in merito sono scemate?
Mi piacerebbe per la Sardegna riattivare un discorso di riequilibrio con lo Stato; da tanti anni, per esempio, ci paghiamo la Sanità, ma lo Stato non ha mantenuto le promesse di rendere alla Sardegna ciò che è suo per Statuto. Da tanti anni la Sardegna soffre una discontinuità territoriale che mai nessuno si è messo in testa davvero di risolvere.
Anche i sardi ci hanno messo del proprio, però, abiurando con feroce determinazione all’unica via che potesse dare vero respiro economico all’isola attraverso l’internazionalizzare i mercati
Sul punto occorre registrare che tutta la classe dirigente di destra, di sinistra e di centro non vuole dar corso alle Zone Franche, istituite dal Decreto Legislativo n° 75 del 1998, nei porti principali della Sardegna e nelle aree industriali ad essi collegati o collegabili.
I DPCM di esecuzione, diciamo così, ci sono per Cagliari dal 1998, con 990 Ettari adibiti Zona Franca, e per Portovesme dal 2019. Ma nessuno muove un dito. Temono che la ricchezza prodotta dal basso, quindi dalla rete economica delle imprese che operano in regime di zona franca con l’estero, emancipi i lavoratori, dando loro la possibilità, in un quadro economico rigoglioso, di potersi scegliere il lavoro che essi amano, senza dover chiedere il favore a questo o quel politico di turno. Tanti cadrebbero.
Quello che accade però è anche che le industrie, dopo aver spesso beneficiato di finanziamenti pubblici per aprire, appena i conti non sono per loro vantaggiosi minacciano o direttamente decidono di chiudere. Ultimo esempio in Sardegna la Glencore, che lascia come al solito sul campo le vittime ovvero i lavoratori.
Così le industrie, dopo aver lautamente beneficiato di finanziamenti pubblici per apire, appena i conti che non sono per loro vantaggiosi, minacciano o decidono di chiudere, ultimo esempio la Glencore, lasciando come al solito sul campo le vittime, ovvero i lavoratori. E così via…
Così si spiega il ricatto occupazionale a cui è assoggettata la Sardegna ed il Sulcis Iglesiente in particolare, per cui ogni proposta di investimento che altrove rifiuterebbero qui, invece, trova accoglienza, perché la gente ha fame di lavoro.
Sempre in tema di servitù, in Sardegna da anni infuria la polemica sulla questione dello sfruttamento energetico, diventata negli ultimi mesi sempre più forte.
In Sardegna infuria la polemica sulla questione dello sfruttamento energetico
Personalmente mi sento di appoggiare la protesta che sta montando, ma occorre essere ragionevoli ed avere un obiettivo ben chiaro: in una certa qual misura stabilita, la Sardegna deve accettare di produrre più energia e fino ad arrivare ai limiti prefissati dalla UE, mi sta bene, ma perché si stanno scegliendo gruppi di grandissimi aerogeneratori quando nella Direttiva Europea del 2018, nel preambolo, risulta scritto che si deve favorire l’istallazione di piccole pale che si innestino senza contraccolpi nel paesaggio, rendendo l’intervento più accettabile dalla collettività, padrona di casa.
Le comunità energetiche possono essere una soluzione?
Occorre implementare al massimo le comunità energetiche come metodo per iniziare a socializzare anche la ricchezza oltre che il territorio e il paesaggio
No o non molto, eppure è un bellissimo metodo per iniziare a socializzare anche la ricchezza oltre che il territorio ed il paesaggio.
In Pace Terra e Dignità ho trovato la sintesi di principi per cui vale la pena di lottare in maniera composta, rispettosa e al contempo serenamente determinata, al fianco della gente e senza le briglie dei condizionamenti ideologici.
Un tuo desiderio per una Sardegna più vivibile e ecosostenibile e emancipata
Vorrei tanto che il dipinto della Libertà Sarda, che abbiamo al Castelo di Sanluri, non sia solo una sbiadita icona, ma rappresenti il vessillo della lotta per l’emancipazione economica dell’Isola. Senza emancipazione economica si è e si rimarrà sempre alla mercè di questo o quel padrone di turno.
Laura Tussi
Anche su Italia che cambia
Nella foto: Paolo Aureli è avvocato, ex vice presidente del Movimento Sardegna Zona Franca e, alle ultime elezioni europee, sostenitore della lista Pace Terra e Dignità. In questa intervista propone un riequilibrio tra l’Isola e lo Stato italiano, sostenendo la Zona Franca come opportunità per emancipare la Sardegna.