venerdì 10 gennaio 2020 - angelo umana

Sorry we missed you, di Ken Loach

Bene, anzi male, malissimo, Ken Loach ci ha rifilato un altro bel pugno nello stomaco: ci avverte, monita su quali pericoli corre la società occidentale sviluppata evoluta veloce produttiva, o in quale tragedia già si trova.

 Eppure ci serviamo dei working poors per farci portare a casa ogni oggetto che possiamo comprare via internet, qualcuno a sue spese provvederà a recapitarcelo a casa in men che non si dica. Già all'inizio del film si svolge l'intervista al circa 40enne Ricky che cerca lavoro, di fronte ha il "datore di lavoro" che in realtà non dà né assicura niente al pretendente, nessuna garanzia o assistenza in caso di malattia, incidenti col furgone da corriere o l'aggressione a scopo di furto che Ricky subirà. Indovinatissimi i personaggi di questa intervista di pseudo "assunzione": la faccia travagliata di Ricky che di lavori ne ha passati tanti, che è disposto a nuovi onerosi impegni pur di assicurare un menage accettabile alla sua famiglia - la moglie Abbie che è una collaboratrice domestica in casa di invalidi o anziani per 13-14 ore al giorno e i due figli, il 17enne ribelle Seb che non vede futuro in questo mondo degli adulti e la 11enne Lisa Jane che resta spesso a casa da sola - e, chissà, domani aver ripagato i suoi debiti e magari comprar casa. Il "datore di lavoro" Maloney è invece un capo azienda cerbero, un re leone nella foresta, con un fisico da quasi Schwarzenegger, fiero del suo essere numero 1 nel mondo del franchising, risoluto e inflessibile nel far pagare ai suoi drivers ogni ritardo smarrimento o furto dei pacchi da consegnare. La libera professione a volte è una truffa, si è “liberi” di non guadagnare nulla ed esposti ad avverse fortune.

Qualcuno paventa guai ancora maggiori, o così li suggerirebbe Loach, per il welfare britannico quando la Brexit sarà cosa fatta, ma l'84enne regista parla della precarietà del lavoro o dell'assistenza sociale da sempre, già dai tempi di Margaret Thatcher e ancor prima, è sempre stato dalla parte degli sfruttati. Ken Loach è definito "attivista e politico britannico", in politica c'è stato di fatto, naturalmente nell'area della sinistra.

Nel film c'è il ritmo forsennato e avvincente di un vortice che porta sempre più in basso la situazione lavorativa del protagonista, fino alla disperazione e naturalmente con i rapporti familiari che subiscono spinte centrifughe, quasi all'orlo della disgregazione. Il titolo stesso è affascinante: il Sorry we missed you è contenuto nel biglietto che i corrieri inglesi lasciano sulla porta di destinari assenti ma sembra il messaggio che questi lavoratori autonomi ricevono quando non sono più utili a chi guadagna su di loro, scusa ti abbiamo perso! E' tutto appropriato e ci sta benissimo la liberatoria lavata di capo telefonica della dolce Abbie al "fottuto" franchiser Maloney. Questa volta Loach o la sceneggiatura addolciscono il finale o creano un filo di speranza: le difficoltà rafforzeranno l'unione tra Ricky, Abbie e i figli: in fondo la famiglia ci e si salva, forse. Ricky dirà del figlio, rivalutandolo mentre guarda i bozzetti dei graffiti a cui Seb ama dedicarsi a scapito dell'apprendimento scolastico, ci sono tante cose sul suo conto che non so.

Un aspetto però preme osservare: le possibili considerazioni degli spettatori che vedranno questo film di avvertimento o "denuncia graffiante". La gente cresciuta, magari pensionata o in carriera, che il suo welfare in qualche modo lo ha raggiunto, forse dirà "che orrore, in che mondo viviamo, e di mio figlio cosa sarà?, dove andremo a finire!" I politici che lo vedranno citeranno spesso il film come spettatori illuminati e forse diranno nei comizi o in tivù "è ora di finirla, adesso basta" (da Edoardo Bennato), proporrano leggi e provvedimenti e incontreranno le "parti sociali". I tanti agenti di commercio e/o finte partite iva italiane si diranno attoniti e sconvolti all'uscita dal cinema. I ragazzi che tra poco si addentreranno in questo mondo lavorativo non andranno a vedere il film di un 84enne regista e continueranno a compulsare il proprio smartphone-passatempo o finestra sul mondo, come il 17enne del film; una piccola citazione per associazione di idee: il titolo del libro di Elena Ferrante La vita bugiarda degli adulti – Crescere per diventare cosa, per assomigliare a chi? E' sperabile dunque che l'attivista e politico britannico abbia sempre devoluto parte dei suoi guadagni da ottimo regista a beneficio dei precari senza alcuna sicurezza, mostrando i quali si è fatto moltissimo apprezzare. Più o meno come le devoluzioni che sta facendo il calciatore negro del Liverpool Sadio Mane.



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