venerdì 27 settembre 2019 - Osservatorio Globalizzazione

Sono il signor Wolf, non risolvo problemi

Martin Wolf, firma di punta del Financial Times, scopre con almeno un decennio di ritardo le vulnerabilità e le debolezze prodotte da un sistema capitalistico non riformato e lasciato in balia di sé stesso. Il sistema che per secoli ha plasmato l’ordine globale ha perso la sua capacità di adattarsi ai mutamenti del pianeta ed è entrato in una fase di declino che nel XXI secolo sarà sempre più accentuata.

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Gli esseri umani sono in grado di torturare il proprio sistema di pensiero, torcerlo, spezzettarlo, sbatterlo di qui e di là, piuttosto che cambiarlo. In effetti, cambiare sistema di pensiero non è per niente facile.

Il sistema di pensiero ha certo una declinazione individuale ma ha anche un declinazione sociale ed addirittura storica. Quando in un tempo storico (parliamo di secoli non di decenni o anni) vige un sistema di pensiero che corrisponde ad un sistema di mondo che sta finendo la sua parabola storica, si notano i fenomeni intellettivi più ridicoli e perversi, si pensi all’Inquisizione cinquecentesca che tentava l’ultima estrema difesa dell’ordinatore religioso che da lì a breve dovrà lasciare il posto a quello politico-economico, il “moderno”. In questi passaggi storici che sono le transizioni, la società sa che quella cosa non funziona più, lo “sente” prima di razionalizzarlo compiutamente, ma si ostina con la teoria della versione sbagliata.

La “teoria della versione sbagliata” dice che non è il sistema ad essere sbagliato, è stato pervertito, mal interpretato, deviato, corrotto, manipolato, c’è da ripristinarlo alla base, tornare al bel tempo andato quando, puro e innocente, funzionava a meraviglia. Vale per i teorici del capitalismo, vale per i teorici dell’anti-capitalismo anch’essi affezionati a varie versioni della “versione sbagliata”, meno marxisti, più marxiani (qualcuno addirittura keynesiano) questi, meno Friedman più Smith quegli altri. Gli uni vanno ad un pensatore di un secolo e mezzo fa, gli altri addirittura a due secoli e mezzo. Accipicchia che voluttà di innovazione! Ma qualcuno non aveva detto che ogni sistema di pensiero pensa il suo tempo e non quello che verrà? Miseria dello storicismo, forse … . A livello individuale poi, se si è nella fase storica declinante ma non ancora transitata, se nessuno affronta il problema del fatto che il sistema sta terminando la sua fase storica ed il suo riflesso nei sistemi di pensiero sono quindi da buttar via assieme al sistema che sta entrando nella pre-morte, certo non sarà il singolo ad alzarsi in piedi a dire “il re è nudo”. Fintanto che non c’è un nuovo re, nessuno ammetterà l’evidenza, negare sempre anche davanti l’evidenza, appunto.

Eccoci allora a Martin Wolf, penna di punta del Financial Times, che ha scoperto il finanzcapitalismo à la Gallino, con abbondanti anni di ritardo. Troppi monopoli, troppe diseguaglianze, troppa finanza e quindi rentier improduttivi e short-termismo, poca concorrenza, innovazione, dinamismo, produttività. Il sistema che, parole di Adam Smith, doveva “fare felice il popolo ed il Sovrano”, con salari bloccati, disoccupazione, sottoccupazione, precarietà schiavistica non fa più felice il “popolo”, ma con massiva evasione, elusione ed esenzione fiscale, non fa più felice neanche il Sovrano. Così, dice Wolf, qualcuno tende sempre più a dar di matto con populismi arruffoni, presagio di future tirannie invocate a fin di bene, conditi da anti-globalismo, xenofobia quando non aperto razzismo e sfiducia e pessimista depressione nei confronti della democrazia-liberale. Insomma, non funziona più, il sistema produce negatività per molti per produrre positività fuori scala neanche per pochi, per pochissimi. Se trovi Wolf ad Occupy Wall Street vuol dire che il problema è grave ma prima ancora molto confuso.

Wolf quindi conclude con la tipica teoria della versione sbagliata. Già da qualche anno, forse addirittura decennio, c’è questa spiegazione assurda del finanzcapitalismo data dall’emergenza improvvisa di una super-sindrome dell’avidità. Dalla parabola di Creso, la cremastica aristotelica, lo sterco del Diavolo medioevale, all’avaro di Molière passando per i quadri di Grosz e Zio Paperone che è degli anni ’50, l’avidità umana è cosa ben nota, ma chissà perché essa spunta fuori all’improvviso pervertendo il povero ed altrimenti virtuoso sistema capitalistico pochi anni fa, neo-liberandosi. Pochissimi, evidentemente furbissimi (illuminati, massoni, ebrei, cospiratori, orgiastici à la Eyes Wide Shut di Kubrick-Schnitzler, ora anche pedofili, praticamente il Diavolo) convincono chissà come tutti gli altri a giocare al nuovo gioco in cui perdono tutti tranne l’1%.

Se Wolf e gli imprenditori del recente appello all’auto-riforma reagiscono sposando il protestantesimo ri-vivificatore del ritorno alla saggezza del Libro (la Inquiry smithiana), la Commissione europea sposa il Concilio di Trento, comminando ieratiche scomuniche ai diversamente pensanti, segue Inquisizione. Così i tristi tempi in cui ci è toccato in sorte di vivere …

Il capitalismo è una forma sociale adattativa ovviamente di tipo storico ed in Occidente, il suo tempo è finito. È finito o sta per finire perché l’Occidente non domina più il mondo (Macron dixit), né più può dominarlo come ha fatto negli ultimi quattro-cinque secoli di storia. Questo tra l’altro impatta grandemente con la facilità con cui abbiamo storicamente alimentato la nostra macchina economica di materie ed energie, facilità oggi sostituita da costi che saranno sempre più alti dato che le risorse tendono a diminuire in un mercato-mondo che ne richiede sempre di più.

È finito o sta per finire perché qui da noi abbiamo già prodotto grande parte di ciò che serve ed anche di ciò che non serve e ciò che rimane da sostituire o produrre ex novo, non sostiene più un meccanismo macro che dovrebbe ordinare l’intera società anche perché con gli incrementi di produttività oggi produciamo già molto di più in molto meno tempo e quindi con molto meno lavoro.

E’ finito o sta per finire perché il sistema pensato da Adam Smith prevedeva centrale la figura del lavoratore/consumatore ma già oggi e sempre più in futuro, mancherà lavoro e corrispondente salario mentre si richiede di consumare sempre di più, visto che si produce sempre di più. Giusto pochi giorni fa qualche importante istituto internazionale di cui non ricordo l’identità ha avvertito che sono 120 milioni i posti di lavoro a rischio non per i prossimi trenta anni ma tre, tre anni, 2022, domattina praticamente.

È finito perché quel sistema ha prodotto infertilità che mina le nostre stesse basi demografiche e perché ci ha resi longevi stante che la produttività di un settantenne non può esser quella di un trentenne, così per il suo “consumo”, oltre a portare più costo sociale che gli Stati sanno sempre meno come pagare.

Far quadrare queste variabili impazzite nei nuovi limiti delle compatibilità ambientali e mentre i cambiamenti ambientali e geopolitici strapazzeranno il tavolo da gioco sarà, con buona pace di Wolf assai improbabile. In più non c’è alcuna reale possibilità di convincere il capitale a non andare a finanziare l’altrui crescita (orientale, africana) remunerandosi in poco tempo, relativa sicurezza e moltiplicatori invitanti per invece dirottarlo a finanziare qualche start up che cerchi di fare soldi in questo quadro disperante. È finita, sta finendo, il capitalismo che pure è una forma molto adattativa avendo cambiato struttura ripetutamente per molti secoli, in Occidente, ha terminato la sua funzione adattiva, non potrà esser più un ordinatore perché da tempo e non per caso è diventato un dis-ordinatore.

Tocca pensarne un’altra e pure in fretta. Ma se i tempi cambiano velocemente, i sistemi di pensiero arrancano lentamente… g

Foto: Pixabay




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