venerdì 21 agosto 2020 - Riccardo Noury - Amnesty International

“Sogno un centro di cinematografia nei sobboghi di Nairobi”

“Sogno un centro di cinematografia, nei sobborghi di Nairobi, che dia voce a chi non ce l’ha”.

Sono queste le parole di Jackson Odiaga Odonga, Direttore del Dagoretti Film Centre (DFC), che ci racconta la sua storia in occasione dell’edizione del 2020 del Giffoni Film Festival, che prevede la proiezione di un cortometraggio documentario prodotto nello slum di Nairobi, dal regista Peter Gitau. Il video è stato presentato al Giffoni, un film nato da uno dei sobborghi più difficili di Nairobi. L’iniziativa è promossa da Amref, Fondazione Aurora e Mediafriends. Il corto racconta la vita di un giovane ragazzo, Mashaa, che vive nello slum e ha la passione per il cinema e la telecamera.

 

Nel cuore di Nairobi, sorge dal 2001 il Centro di Dagoretti, creato da Amref Italia per accogliere i bambini e i ragazzi che vivono in condizioni di difficoltà. Il recupero dei ragazzi di strada nel centro Dagoretti è sempre avvenuto attraverso le arti, il teatro di Pinocchio Nero, le percussioni dei Juakali Drummers, e oggi nasce in questo contesto una scuola di video partecipato che ha insegnato a decine di ex bambini di strada a raccontare il proprio mondo attraverso una telecamera. Il nostro blog ne aveva già parlato qui.
Uno di quei bambini è Jackson Odiaga Odonga, che oggi, grazie a un progetto finanziato da Amref Italia e Fondazione Aurora e con il contributo di Amref Kenya, dirige l’impresa sociale Dagoretti Film Centre.

 

Qual è il progetto realizzato nel Dagoretti Film Centre (DFC), che verrà proiettato al Giffoni Film Festival?

In questo periodo di crisi, il DFC ha deciso di proseguire le attività con i ragazzi, nel rispetto degli standard di sicurezza, per portare a termine un progetto: un cortometraggio documentario sulla vita nello slum, intitolato “Mashaa”. Il film nasce dalla collaborazione tra Amref Health Africa, Fondazione Aurora e Mediafriends, ed è stato diretto dal regista Peter Gitau, videomaker pluripremiato, che ha realizzato produzioni in Uganda, Tanzania e Kenya.

 

Chi sono i protagonisti del cortometraggio?

Il cortometraggio racconta la vita di un giovane ragazzo, Mashaa, che vive nello slum di Nairobi. Mashaa ha un’innata passione per la cinematografia e, per coltivare il suo interesse e contemporaneamente aiutare economicamente la sua famiglia, con un cellulare, chiesto in prestito, comincia a fare foto e riprese. Cimentandosi come reporter per le vie del suo quartiere, riesce a vendere i suoi prodotti alla televisione nazionale. Mashaa incarna l’esperienza di concretizzazione di uno dei sogni che accomuna i ragazzi del Dagoretti Film Center: essere protagonisti e narratori della propria realtà e fare di questo un lavoro. Regista, attori e tecnici – tutti legati al Dagoretti Film Center – hanno girato il corto in un insediamento informale nella contea di Nairobi.

 

Qual è il messaggio principale che volete fare arrivare, con questo documentario?

La sensibilizzazione è al centro di questo progetto. L’obiettivo è quello di arrivare il più lontano possibile, per informare coloro che non vivono queste realtà. Nel Centro, i ragazzi come Mashaa hanno la possibilità di raccontare nuove storie di vita, dal loro punto di vista; storie che non sempre sono alla portata di tutti.

 

Ci sono altri progetti in programma, nel DFC?

Abbiamo intrapreso il progetto “Mashaa” con l’obiettivo di documentare la totalità degli aspetti della vita dei ragazzi nello slum, tuttavia, durante la fase di preparazione abbiamo identificato una problematica ricorrente e molto rilevante: la salute sessuale e le gravidanze precoci. Abbiamo quindi deciso di portare avanti il progetto principale (Mashaa), e contemporaneamente intraprenderne un secondo, concentrato sulla salute sessuale e riproduttiva, attualmente in fase di montaggio.

 

Qual è stata la tua esperienza personale a Dagoretti?

Il mio è stato un lungo viaggio, iniziato nel lontano 2003. Ero un ragazzo giovanissimo e, come tutti, stavo cercando me stesso. Cercavo un percorso di vita, una carriera, un modo di fare soldi. Ho trovato il Centro di Dagoretti, creato da Amref Italia per accogliere i bambini vulnerabili della baraccopoli. Mi sono quindi avvicinato molto ai bambini di strada, che mi hanno cambiato la vita. E sono rimasto lì, nel Centro di Dagoretti, dove ho trovato e coltivato la mia passione per il cinema.

 

Come è iniziata la tua passione per il cinema?

È iniziata per caso quando un giorno, dopo scuola, io e mia sorella abbiamo trovato una piccola videocamera, l’abbiamo presa e per gioco abbiamo filmato e scattato centinaia di foto, a qualche chilometro dal centro abitato di Nairobi. Ero solo un bambino, non sapevo di star infrangendo la legge, ma poco dopo, la polizia mi arrestò per non aver chiesto anticipatamente il permesso di scattare foto. Capendo la situazione mi lasciarono andare, ma quando sono arrivato a Dagoretti, quel gioco si è trasformato nella mia passione. Ho trovato qualcosa in cui credere. Finalmente avevo uno scopo. Oggi, sono una persona adulta, matura, competente, capace di vedere il mondo da più prospettive, e questa crescita personale e professionale, la devo al Centro di Dagoretti.

 

A livello professionale, qual è stato il tuo percorso a Dagoretti?

Nel 2011 e nel 2013, Amref Kenya ha ospitato dei corsi di formazione cinematografica, a cui ho avuto la fortuna di partecipare. In queste occasioni sono entrato in contatto con moltissimi esperti, e questo ha contribuito moltissimo alla mia crescita professionale. Infatti, da quel momento, ho iniziato ad insegnare ai più giovani ciò che avevo appreso, per offrire una possibilità di crescita, in termini di talento e carriera in campo cinematografico, anche a ragazzi e giovani vulnerabili e svantaggiati.

 

Ti sei mai sentito scoraggiato?

Sì. Mi chiedo spesso: sto facendo la cosa giusta? Sto davvero aiutando queste persone? Mi capita di sentirmi scoraggiato specialmente quando lavoro con qualcuno che ha molto talento, qualcuno in credo, che incoraggio, e che poi molla tutto alla ricerca di altro. Lo capisco, ma mi rende triste, e allora mi chiedo: sto davvero guidando questi ragazzi nella giusta direzione? Potrei fare di più? Il momento peggiore della mia esperienza a Dagoretti è stato quando, nel 2015, seguivo un ragazzo di strada molto giovane, molto determinato e pieno di talento. Era diventato, nel tempo, il mio migliore amico, e avevo preso a cuore il suo reinserimento sociale. Un giorno si ammalò, mi chiamarono, e nel trasferimento all’ospedale, se ne andò. In quel momento, tutte le mie certezze vacillarono. Ci sono molti ostacoli qui, economici, sanitari, emotivi, ma in fin dei conti, so di star facendo la cosa giusta, e ho visto tanti giovani farcela. Ho visto bambini crescere e sposarsi, mantenersi da soli. Mi rende felice quando mi chiamano “maestro”, mi aiuta a tenere a mente il mio scopo. E quando vedo la gioia sul viso dei ragazzi che raggiungono un obiettivo, la loro soddisfazione, quando capisco che sono fieri di loro stessi e che hanno trovato, come me, qualcosa in cui credere, allora capisco che ne vale la pena.

 

Avresti mai pensato di arrivare così lontano?

Da piccolo ero sicuro di una cosa: che non sarei mai salito su un aereo, che non avrai mai lasciato il mio quartiere. Mia mamma mi diceva: “Vai in America, in Europa, lì avrai più possibilità”. “No”, rispondevo io, “Rimarrò qui per sempre”. Ero timido, avevo paura. Ad oggi, ogni volta che parto per un viaggio, mia mamma me lo ricorda.

 

Qual è il tuo sogno per il futuro?

Sogno un centro di cinematografia, nei sobborghi di Nairobi, che dia voce a chi non ce l’ha. Da diverso tempo il Centro di Dagoretti sta intraprendendo la strada per costituirsi come impresa sociale, e nel breve termine spero che raggiungerà tutti gli obiettivi posti. Questo è quello che mi auguro, per il futuro di ogni ragazzo che condivide la mia stessa passione. A livello personale, un giorno vorrei una mia compagnia cinematografica. ­­




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