lunedì 3 luglio 2023 - Enrico Campofreda

Sogni dall’Emirato afghano

Il mese di marzo 2022 nella mente di alcune donne afghane è correlato all’agosto 2021. La decisione dell’Emirato di chiudere le scuole pubbliche in vigore da quel marzo - ufficialmente non riaprirle, nonostante l’avvìo della stagione scolastica fosse rivolto ad alunni e alunne - era uno spettro già conosciuto da generazioni precedenti.

Chi viveva nelle aree meridionali (Kandahar, Zabul, Paktika) in epoca di guerra talebana ai governi Karzai e Ghani, faceva più i conti con le decisioni e l’autorità dei turbanti che con quelle di Kabul. E nella stessa capitale, controllata dai governi sostenuti dalla Nato, tendenze fondamentaliste di tal o tal altro Signore della guerra potevano impedire alle ragazze di andare a scuola. Accadeva e accade, visto che in Afghanistan i diritti negati abbracciano quattro generazioni. Eppure chi fa della necessità virtù non s’abbatte, s’adatta alle avversità, si organizzava e s’organizza anche per l’istruzione. Con la collaborazione di qualche padre e fratello non oscurantista, col contributo di coraggiose insegnanti si ricreavano nelle case quelle classi perdute pubblicamente. Il piano si ripete tutt’oggi. In tal modo le scuole clandestine sono una realtà grazie alla quale le bambine imparano a leggere, scrivere, far di conto contro la perfidia di chi vuole emarginarle. In questi spazi celati scoprono i segreti della lingua pashto, della religione, studiano la vita del Profeta e leggono il Corano, nelle classi superiori s’avvicinano anche alla giurisprudenza coranica. Non poterlo fare è un atto d’ingiustizia gravissimo, riconosciuto anche da taluni conservatori islamici che però non muovono un dito per evitarlo. E’ un atto di codardia e di formalismo. Non si vuol mettere in discussione il fanatismo religioso legato al potere maschile e a un’arcaica tradizione che vuole perpetuare la subalternità femminile. Poi, a seconda delle fasi, si chiude un occhio sulle scuole domestiche, di cui si sa l’esistenza, ma si vuole lasciarle nel ghetto della clandestinità, del passaparola, della difficoltà delle allieve di fare chilometri per raggiungere la scuola spesso costretta a cambiare sito per evitare reprimende.

Si colpisce anche il ruolo dell’insegnante cui non viene riconosciuta un’ufficialità professionale; l’occupazione dovrebbe essere statale o provinciale con tanto di salario, invece così non è. Maestre e professoresse, che pure hanno conseguito i titoli, vengono retribuite dalle collette organizzate dalle famiglie delle alunne. Nei decenni dell’occupazione Nato diverse Ong riuscivano a stabilire, sebbene non in tutte le province, rapporti con tali iniziative autoctone e riuscivano a finanziarle. Qualcosa ancora accade, però dopo l’agosto 2021 e ancor più il marzo 2022, gli aiuti esterni sono diminuiti sino a svilire il quantitativo di materiale e fondi rivolti alle scuole domestiche. Il timore di cadere in provvedimenti repressivi sono oggettivamente cresciuti quando, da quest’anno, l’orientamento anti scolastico talebano è parso ostinato. Tutti i rinvii che per mesi prendevano a pretesto “l’assenza di stoffa per confezionare le divise, la presunta difficoltà nel reperire locali e adattarli, la carenza d’insegnanti” hanno creato un muro invalicabile. Insomma i buoni propositi messi ‘nero su bianco’ e riferiti addirittura in conferenze stampa da parte del nuovo regime nelle euforiche (per loro) settimane seguenti la presa del potere, hanno tradito la promessa di non discriminare le donne sul fronte dell’istruzione. E si sa che la segregazione prosegue e aumenta sul versante lavorativo e la semplice convivialità quotidiana. Certo, la caparbia volontà femminile di proseguire la via e la vita, risulta straordinaria. Ed è meraviglioso che al di là di quanto facevano Ong e associazioni locali e straniere, anche singoli gruppi di vicinato, familiari e altro, non si lascino intimidire da ronde e pattugliamenti che vigilano sulle decisioni del governo. L’istruzione scorre come un fiume sotterraneo, mantiene viva la speranza anche nel luogo dove nulla è per sempre. Che rovesciato è un buon viatico per chi sogna, osa e provvede. Ogni trasformazione.  

Enrico Campofreda




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