venerdì 4 ottobre 2013 - Persio Flacco

Siria, Iran, Stati Uniti: prospettive di disgelo

Barack Obama sembra essersi deciso a distinguere anche nei fatti le priorità della lobby sionista statunitense dagli interessi del suo Paese.

 

Con la dissennata "linea rossa" sull'uso delle armi chimiche Obama si è trovato ad un passo dal coinvolgere gli USA in una nuova guerra in Medio Oriente: contro la Siria e, molto probabilmente, contro l'Iran, che con la Siria ha un trattato di mutuo soccorso militare.

Forse, mentre i suoi generali aspettavano il suo segnale per l'attacco, ha visto in prospettiva il grave deteriorarsi dei rapporti con la Russia e anche con la Cina; ha visto il dissenso degli americani verso la guerra che, se ignorato, diventava qualunquismo distruttivo; ha visto la débacle delle alleanze con i paesi europei, la cui tenuta stava per soccombere alla diffusa coscienza delle opinioni pubbliche che una guerra contro Siria e Iran avrebbe aperto prospettive terribili per il Vecchio Continente, che si sarebbe trovato il caos alle porte di casa e probabilmente anche dentro casa.

Solo i governi di Francia e Regno Unito, i due più influenzati dalla lobby sionista, hanno resistito fino all'ultimo all'opinione contraria dei loro concittadini, pronti a scatenare il conflitto a fianco degli USA. Poi, rimasti isolati: troppo esposti nel loro stagliarsi contro il loro Paese, si sono dovuti arrendere.

E si sarà chiesto per quale motivo stava trascinando il suo Paese, reso fragile dalla crisi economica e dalle abnormità della grande Finanza, verso il baratro di un conflitto dalle conseguenze potenzialmente nefaste, perfino contro il parere degli stessi vertici militari.

Per abbattere il regime di Assad e mandare al potere una congerie di feroci integralisti acerrimi nemici dell'occidente?

Per abbattere un regime, quello siriano, che da 40 anni non pone particolari problemi di sicurezza né agli USA né a Israele; che ha tollerato senza particolari rappresaglie i raid israeliani sul presunto reattore atomico nordcoreano e sui carichi di armi destinati a Hezbollah; che ha perfino messo a disposizione della CIA i suoi specialisti in torture per "trattare" gli ospiti delle extraordinary rendition di Bush.

Per trovarsi coinvolto in un conflitto contro l'Iran? Un Paese che da 200 anni non dichiara guerra a nessuno? Che ha la più antica comunità ebraica del mondo e la più numerosa del Medio Oriente dopo Israele? Un Paese di oltre 70 milioni di abitanti, vasto e con un territorio difficile tale da escludere qualsiasi possibilità di concludere una guerra con un successo?

E tutto questo nel momento in cui l'interesse statunitense per il Medio Oriente sta scemando, essendo gli USA diventati esportatori di gas ottenuto con la tecnica del fracking e promettendo di diventare il primo produttore di petrolio al mondo entro il 2020. Proprio adesso che l'interesse strategico americano si è spostato nel settore Asia Pacifico, verso il contenimento dell'espansionismo economico e politico cinese.

Nel giro di poche ore Obama ha rischiato di passare alla Storia come il presidente che ha distrutto gli USA, e che forse ha scatenato un conflitto mondiale, per motivi futili, incomprensibili, contrari agli interessi del suo Popolo.

Quando Obama ha annunciato all'ultimo momento di voler rimettere al Congresso la decisione sull'attacco alla Siria, attacco motivato dalle "prove" elaborate dai servizi israeliani, da Israele si è levato un coro di voci di protesta, di recriminazioni, perfino di insulti al suo indirizzo.

E l'AIPAC, la più potente delle lobby sioniste americane, soprannominata "il gorilla da 800 libbre" per l'influenza che esercita sulla politica estera statunitense, si è subito attivata inviando 250 lobbisti a fare pressioni sul Congresso affinché desse il suo consenso all'attacco, e mobilitando i suoi opinionisti per bollare Obama come incapace di fronte all'opinione pubblica americana.

A Obama deve essere apparsa chiara la gigantesca entità dell'errore che stava per commettere portando gli Stati Uniti verso obiettivi pericolosi e contrari ai loro interessi prioritari, contro obiettivi di altri: della lobby sionista innanzitutto, e delle petromonarchie mediorientali, interessate a sgombrare il campo dai regimi laici come quello siriano per consolidare il loro potere politico e religioso sul Medio Oriente, e ha scelto di svincolarsi dalla stretta.

D'altra parte quello che oggi Obama sta facendo, col perseguire pragmaticamente la via diplomatica senza pregiudiziali ideologiche, è riannodare il filo di una strategia annunciata col suo storico discorso all'Università del Cairo nel 2009 e interrottosi nel 2011.

In quella occasione Obama promise un nuovo inizio nei rapporti col mondo islamico, e ciò inplicava da una parte togliere il sostegno degli USA dei regimi arabi che ne garantivano gli interessi e dall'altra forzare l'alleato israeliano a risolvere il conflitto con gli arabi palestinesi. Il filo si interruppe a causa del fallimento del tentativo di ottenere da Israele la conclusione di un accordo di pace definitivo con i palestinesi.

La lobby sionista nel 2011 promosse l'invio a Gerusalemme di una folta delegazione di congressisti per rassicurare il regime israeliano che il Congresso degli Stati Uniti si sarebbe opposto a qualsiasi tentativo del Presidente di obbligare Israele alle trattative di pace, e questo mise la parola fine alla strategia obamiana.

Ora, dopo che in modo apparentemente estemporaneo e al culmine della tensione, Kerry ha posto come condizione per la sospensione dell'attacco a Damasco la consegna dell'arsenale chimico a disposizione di Assad: offerta prontamente accolta dal regime e dal suo tutore russo, si è aperta un via di fuga diplomatica rispetto a quella apparentemente obbligata della guerra.

L'Iran ha colto a sua volta il nuovo corso statunitense offrendo anche sul versante del contenzioso nucleare una sponda all'Amministrazione Obama per smarcarsi dalle pressioni guerrafondaie della lobby sionista e da quelle delle petromonarchie. Ma non è ancora detto che il nuovo corso impresso da Obama alla politica estera degli Stati Uniti abbia successo.

Esiste infatti una eventualità che lo obbligherebbe a invertire di nuovo il senso di marcia. Se Israele lanciasse un attacco contro la Siria, e la risposta siriana fosse più efficace di quello che si pensa, Obama potrebbe esimersi di entrare in guerra a sua volta per difenderlo? Difficile.

Oppure, se Israele lanciasse uno strike contro gli impianti nucleari iraniani, e se i missili iraniani iniziassero a cadere sulle città israeliane, Obama potrebbe lasciare il suo alleato da solo? Difficile.

Dunque non è affatto certo che l'accenno di distensione appena iniziato possa continuare, che la guerra sia scomparsa dall'orizzonte.

 

Foto: U.S. Department of State/Flickr



18 réactions


  • (---.---.---.27) 4 ottobre 2013 18:04

    l’Impero del Male è ormai al tramonto e il restante mondo dei Regni del Democraticismo occidentale, al suo fianco, è entrato in una ed irreversibile dissoluzione epocale.
    ecco perchè le loro Guerre d’invasione e di Terrorismo globale sono al loro primo posto nelle propagande delle menzogne.
    la Storia con la "S" maiuscola, che insegna dagli arbori della specie umana l’antisocialismo alle masse, ne da prova.
    viva il socialismo che non si è ancora realizzato.


    • Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola (---.---.---.27) 4 ottobre 2013 18:37

      Grande Persio, proprio una fissa gigante con questa lobby sionista!


    • Persio Flacco (---.---.---.188) 4 ottobre 2013 23:46

      Il sionismo attuale è una organizzazione ideologicamente nazionalista presente nel mondo contemporaneo che influenza notevolmente le politiche attuate dai governi occidentali in Medio Oriente: un’area cruciale per gli equilibri mondiali. E non solo queste.

      Una realtà che, quindi, dovrebbe entrare in tutte le analisi che vengono svolte sugli accadimenti di quell’area, e non solo, la cui influenza, invece, viene sistematicamente ignorata dai più.

      Il fatto che quasi tutti quelli che nel mainstream analizzano certe tematiche la ignorino fa apparire in una luce particolare quelli che invece gli attribuiscono la considerazione che merita: come fosse una loro ossessione immotivata. Una ossessione solo apparentemente immotivata ma, per questo, anche "sospetta", essendo contigua all’ebraismo.

      L’ambiguità elusiva del sionismo e la sua contiguità col mondo ebraico sono le sue migliori difese contro la luce della critica. Il sionismo non dichiara apertamente il suo manifesto ideologico nazionalista: lo maschera sotto lo schermo generico della difesa di Israele, usando senza remore tutte le leve che la storia ebraica gli mette a disposizione. Ciò non toglie che tutte le sue articolazioni, in tutti i contesti, promuovono coerentemente una immagine di Israele, di quale debba essere il suo destino e il suo compito storico, secondo un programma ideologico e pratico ultranazionalista e messianico. Ripeto: non ci sono manifesti ideologici che lo rendano esplicito, a provare questo indirizzo sono i fatti, i comportamenti, le scelte su come e dove indirizzare le pressioni sugli attori coinvolti.

      Ehud Olmert, l’ultimo dei leader israeliani che ha tentato di opporsi al corso imposto dal sionismo alle politiche israeliane, disse più volte pubblicamente che occorreva rinunciare "al sogno del Grande Israele" (http://www.repubblica.it/2006/c/sez...) confortato dalla volontà della maggioranza degli israeliani. 

      Non è riuscito a tradurre in concretezza questo proposito: come Rabin e Sharon prima di lui è stato interrotto prematuramente (per sua fortuna, in modo incruento) tuttavia ha fatto in tempo a segnalare al mondo dichiarandolo esplicitamente, cosa più unica che rara, l’esistenza di un obiettivo nazionalista-messianico che si prefigge di concretizzare il comandamento divino che assegna agli ebrei una porzione di terra ben più grande di quella che il sionismo di Herzl, laicamente e politicamente, ritenne idonea per il nuovo Stato. 

      E quando mai nei congressi del WZO è stato teorizzato un programma di questo genere? Mai. Tuttavia, se si esaminano gli atti concreti della lobby sionista, nel loro insieme risultano coerenti con questo obiettivo e non con altri. Di certo non è compatibile con l’obiettivo di raggiungere un accordo di pace con i palestinesi e con gli arabo islamici in genere.

      E questo, ripeto, a prescindere dalla volontà dei cittadini israeliani e della stragrande maggioranza degli ebrei della Diaspora.

      In tutto questo ci sono due aspetti che personalmente ritengo deleteri. Il primo, odioso, è che l’immagine della feccia nazionalistico messianica si sovrapponga sempre di più all’immagine dell’ebraismo: questo lo trovo intollerabile. 

      Il secondo è che Israele, sotto l’influenza del sionismo, ha finora perso tutte le occasioni per garantirsi un futuro sereno e rischia di perdere anche l’ultima. 
      Così come era folle l’idea degli zeloti di sconfiggere Roma, la superpotenza dell’antichità, con gli scarsi mezzi del piccolo Israele, con ciò causando la distruzione del Tempio e duemila anni di traversie al popolo ebraico, allo stesso modo è folle l’idea che Israele possa contrapporsi a centinaia di milioni di arabo islamici che lo circondano e alla volontà del mondo intero, che vorrebbe veder terminare il conflitto con tutte i suoi squallidi e spesso criminali risvolti quotidiani.

      Io credo che questi due motivi giustifichino ampiamente il mio interesse per il sionismo attuale.


    • Persio Flacco (---.---.---.188) 4 ottobre 2013 23:58

      Penso di aver capito a grandi linee le sue aspirazioni ma, francamente, non mi trovo molto a mio agio con questo suo lessico alla Tolkien.


    • Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola (---.---.---.27) 5 ottobre 2013 10:01

      Cos’è il lessico alla Tolkien ?


    • Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola (---.---.---.27) 5 ottobre 2013 10:16

      Ma, a parte il lessico, sono almeno quarant’anni che in Israele si dibatte sui temi che lei cita. Le segnalo questo articolo http://moked.it/blog/2010/12/01/la-... (ma si ricordi che io mi chiamo F. non S.)...

      Ed è un dibattito fra sionisti... Saluti


    • Persio Flacco (---.---.---.244) 5 ottobre 2013 16:30

      << sono almeno quarant’anni che in Israele si dibatte sui temi che lei cita. [...] Ed è un dibattito fra sionisti..>>

      Si, ma mentre qualcuno dibatte avvengono delle cose, cose che avvengono *a prescindere* dal dibattito.
      Lei suggerisce di seguire "il dibattito" e di tralasciare i fatti. Non sono di questo parere: per me i fatti contano più delle parole, dunque declino l’invito.

      Anzi, sa cosa le dico? Le voglio sottoporre un fatto che evidentemente lei, preso dal dibattito, non ha rilevato.
      Ma prima riassumo brevemente le opzioni sul tappeto, con l’avvertenza che non stiamo parlando di pinzillacchere ma del futuro di Israele, dei rapporti futuri tra occidente e mondo arabo e/o islamico, tra occidente e Israele e tra questo e mondo arabo e/o islamico:

      1. soluzione a due Stati. Accordo di pace tra Israele e arabi palestinesi sulla base della costituzione di uno Stato palestinese indipendente e sovrano. A parole tutti, salvo frange marginali, sostengono questa soluzione, che peraltro è quella ritenuta più conforme al diritto internazionale e alle varie risoluzioni ONU.
      Questa soluzione comporta anche la distensione dei rapporti tra Israele e popoli arabi e/o islamici e, di conseguenza, tra questi e occidente. Se gli arabi palestinesi comunicassero Urbi et Orbi di essere soddisfatti del loro nuovo Stato sovrano che motivo avrebbero gli altri arabo islamici di non esserlo? Sulla base di cosa, se non dell’integralismo alla Al Qaeda, altri arabi / islamici potrebbero contraddirli?

      2. soluzione a Stato unico binazionale. Annessione unilaterale da parte di Israele dei Territori Occupati e concessione della piena cittadinanza a tutti gli abitanti. Soluzione non molto popolare in Israele e nemmeno tra i palestinesi.

      3. pulizia etnica dei Territori Occupati e annessione da parte di Israele del territorio liberato. L’espulsione degli arabi palestinesi può avvenire in vari modi: più o meno cruenti, più o meno lunghi.

      4. soluzione sudafricana o di apartheid. I Territori Occupati rimangono indefinitamente sotto occupazione e ai palestinesi viene negata sia la sovranità sia la cittadinanza. Questa soluzione, se accompagnata dalla continua espansione coloniale ebraica nei Territori Occupati, ricade nel caso n.3: pulizia etnica poco cruenta con graduale sostituzione della popolazione araba da parte di coloni ebrei. Comporta tempi lunghi, ma si fa.

      Ora, sarà d’accordo con me, la soluzione n.1 presuppone che rimanga libero e disponibile un territorio sul quale fondare uno Stato palestinese. In sintesi: niente terra quindi niente Stato palestinese e niente soluzione n.1. Tolta dal tappeto la soluzione n.2, che nessuno vuole: alcuni meno di altri, rimane la soluzione n.3, che in presenza di incremento di occupazione comprende la n.4. Ovvio, no?

      La inevitabile conclusione è che l’incremento della colonizzazione della WB comporta il rifiuto della soluzione a due Stati (n.1) e implica l’annessione previa espulsione della popolazione araba (n.3 e n.4).

      Ora, se le riesce, indossi i panni dello scienziato ed esamini questi dati:

      Anno Coloni Incr. PM (anni) Partito
      -------------------------------------------------------------------------------
      1982 21.700 0 M. Begin (1977-1983) Likud
      1983 23.800 +2.100 M. Begin (1977-1983) Likud
      1984 32.600 +8.800 Y. Shamir (1983-1984) Likud
      1985 46.100 +13.500 S. Peres (1984-1986) Labour
      1986 53.400 +7.300 S. Peres (1984-1986) Labour
      1987 60.300 +6.900 Y. Shamir (1986-1992) Likud
      1988 66.300 +6.000 Y. Shamir (1986-1992) Likud
      1989 72.800 +6.500 Y. Shamir (1986-1992) Likud
      1990 81.600 +8.800 Y. Shamir (1986-1992) Likud
      1991 93.600 +12.000 Y. Shamir (1986-1992) Likud
      1992 103.600 +10.000 Y. Shamir (1986-1992) Labour
      1993 114.900 +11.300 Y. Rabin (1992-1995) Labour
      1994 126.800 +11.900 Y. Rabin (1992-1995) Labour
      1995 132.300 +5.500 S. Peres (1995-1996) Labour
      1996 150.200 +17.900 S. Peres (1995-1996) Likud
      1997 156.100 +5.900 B. Netanyahu (1996-1999) Likud
      1998 176.500 +20.400 B. Netanyahu (1996-1999) Likud
      1999 188.100 +11.600 B. Netanyahu (1996-1999) Labour
      2000 203.000 +14.900 E. Barak (1999-2001) Labour
      2001 213.700 +10.700 A. Sharon (2001-2005) Likud
      2002 226.000 +12.300 A. Sharon (2001-2005) Likud
      2003 231.443 +5.443 A. Sharon (2001-2005) Likud

      (nel 1966 i coloni erano n.0; nel 1972 erano n.1.182; nel 1980 17.400 ecc.)

      Pur essendo incompleti questi dati rappresentano un processo reale: nella WB, ogni anno e per 20 anni consecutivi, vi è stato un costante incremento del numero di coloni *a prescindere* da quali forze politiche hanno guidato il governo di Israele. Questo significa una sola cosa: qualcuno o qualcosa alcune decine di anni orsono decise che Israele debba trovarsi nella condizione o di scomparire in uno Stato binazionale (una scelta impossibile) o di annettersi i Territori Occupati previa pulizia etnica degli stessi. E dopo 46 anni: tanti ne sono passati dall’inizio dell’occupazione israeliana del ’67, bisogna riconoscere che le cose sono a buon punto: quel qualcuno o qualcosa ha ormai reso impossibile la soluzione a due Stati, tanta poca terra è rimasta libera. Se avesse seguito meno i dibattiti e più i fatti se ne sarebbe accorto anche lei.

      Mi dica: secondo lei come è stato possibile che carovane di aspiranti coloni abbiano attraversato all’insaputa di tutti (?) la linea di confine più sorvegliata al mondo portandosi al seguito famiglie, vettovaglie, mobilio, materiali edili e, immagino, pure qualche betoniera e qualche ruspa? Ovviamente con l’esercito al seguito: mica si può lasciare i coloni alla mercé delle ire dei palestinesi, no? L’avverto che ho sentito le giustificazioni più buffe e fantasiose al proposito: è difficile che lei possa superarle.

      E cosa ha fatto la lobby sionista di fronte alle proteste degli arabi, dell’ONU, dei paesi europei e di molti altri Paesi del mondo, degli stessi USA, di gran parte delle opinioni pubbliche mondiali, ha difeso Israele? No, perché è convinzione diffusa e accettata che la soluzione a due Stati sarebbe la più opportuna, sicura e vantaggiosa per Israele.
      Ciò che ha difeso è un progetto: annessione dei Territori previa pulizia etnica degli arabi. Guarda caso si tratta di un progetto che trasuda nazionalismo messianico, perfettamente compatibile col sogno della realizzazione della Grande Israele Biblica.

      E’ da notare che, ne sia consapevole o meno, chi contribuisce ad occultare questi fatti contribuisce a quel progetto.


    • Persio Flacco (---.---.---.244) 5 ottobre 2013 16:30

      La risposta era diretta al primo commentatore. Qualcosa non ha funzionato.


    • Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola (---.---.---.27) 7 ottobre 2013 09:19

      Mancano dati per fare gli “scienziati”.

      1) Quanto territorio - interno alla linea verde - è effettivamente occupato dalla colonizzazione ? Quanto ’scambio di territorio’ è stato ritenuto necessario ad esempio dai negoziatori degli accordi informali di Ginevra ? L’1 %, il 2%, il 5 ? Mi sembra di ricordare che questa fosse, più o meno, la parte di territorio “palestinese” soggetta a scambio con altrettanto territorio israeliano nel caso di un accordo definitivo (le virgolette sono necessarie perché i confini del ’67 non sono mai stati confini, ma solo una linea di armistizio del conflitto del ’48 che i paesi arabi hanno scatenato, non riconoscendo così i confini stabiliti dalla delibera dell’ONU; quindi definire “palestinesi” i territori interni alla linea verde è discutibile mancando un accordo sui confini stessi: chi ha stabilito che quella specifica colonia, ad esempio, sia su territorio palestinese se non si sa dove inizia il territorio palestinese ?)

      2) Inoltre: pulizia etnica significa che corrispondentemente all’incremento dei colonizzanti si evidenzi un decremento della popolazione indigena, spinta ad andarsene. Magari lento, ma costante. Di quanto è diminuita la popolazione palestinese nella West Bank dal 1973 ad oggi ? Naturalmente sappiamo tutti che molti sono rifugiati all’estero, ma non le sto chiedendo quanti sarebbero oggi i palestinesi se non ci fossero state le guerre del ’48, ’67 e ’73 (che peraltro Israele ha subìto), ma di quanto è effettivamente diminuita la popolazione presente dopo quelle guerre, in termini assoluti ?
      A me risulta che uno dei motivi ‘forti’ dell’opposizione israeliana all’occupazione della WB stia proprio nell’aumento demografico arabo, maggiore di quello ebraico.

      Di fatto la popolazione palestinese è aumentata di sette volte dal ’48 ad oggi. Da 1.4 milioni nel 1948 a 10,5 milioni, di cui almeno la metà vive tuttora in WB e Gaza (oltre ad un milione abbondante che vive in Israele). Come si concilia quindi l’aumento vistoso di popolazione con l’idea di ‘pulizia etnica’? Si direbbe che, al contrario, sia evidente un aumento di popolazione in parallelo con l’aumento di coloni.  In altri termini che l’aumento di coloni non impedisca affatto l’aumento di popolazione araba. Quindi ? Come la mettiamo con la ‘pulizia etnica’ ?

      Quindi se ’pulizia etnica’ è una definizione non sostenibile dai numeri, quali sono le opzioni che restano in piedi se non le due ’classiche’ di stato binazionale o due stati separati ? E qui torna il ’dibattito’, dal momento che i ’fatti’ presentano delle incongruenze. Chi vuole lo stato binazionale e chi, davvero, l’opzione a due stati ?

      3) Tanto per chiarire ed evitare malintesi; personalmente sono apertamente favorevole agli accordi di Ginevra.

      Fine (dal momento che commento non è lo stesso che dibattito).


    • Persio Flacco (---.---.---.160) 8 ottobre 2013 10:26

      <<Mancano dati per fare gli “scienziati”.>>

      No, ci sono tutti i dati che servono. Quello che volevo evidenziare è l’esistenza di un processo reale che dura da decenni, che prescinde da chi governa in Israele e da cosa vuole la maggioranza degli israeliani.
      Un processo la cui direzione è opposta rispetto a quella che dovrebbe portare alla soluzione a due Stati e che è sostenuto e protetto, pur senza proclami, dalla lobby sionista internazionale.
      Ho anche evidenziato la compatibilità di tale processo col progetto di restaurazione della Grande Israele biblica.

      Quelli che lei ha elencato sono spunti di discussione utili come alternativa alle discussioni sul calcio: buoni per passare il tempo al bar, oppure per coprire sotto un velo di distrazione i fatti reali che nel frattempo avvengono.

      In ultimo le ricordo che stavolta è lei nella veste di commentatore e che quindi tocca a me fare ramanzine.


    • Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola (---.---.---.27) 8 ottobre 2013 14:00

      Ovviamente; mi sono sottoposto volutamente alla condizione di ramanzinabile per darle modo di pareggiare i conti.

      Ma la sua risposta non è convincente. "Pulizia etnica" non è un modo di dire; è un fatto che deve essere dimostrato incontestabilmente, numeri alla mano. Che qui non ci sono. Quello di cui lei parla è una tendenza - peraltro esecrabile - di occupare territorio ’conteso’ (non ’altrui’ per quanto già detto sopra in merito a confini contestati in origine dal rifiuto arabo) in modo da allargare la futura demarcazione definitiva. Che è tutt’altro dall’ipotesi della Grande Israele (sostenuta da quattro gatti) che, per essere tale, dovrebbe procedere davvero con una pulizia etnica; inesistente e fin qui solo ideologicamente affermata.
      Saluti.


    • (---.---.---.176) 8 ottobre 2013 21:32

      << Ma la sua risposta non è convincente. "Pulizia etnica" non è un modo di dire; è un fatto che deve essere dimostrato incontestabilmente, numeri alla mano. Che qui non ci sono. >>

      Io ho scritto di "espulsione" della popolazione araba, non di sterminio; ho anche scritto di "pulizia etnica poco cruenta con graduale sostituzione della popolazione araba da parte di coloni ebrei." E ho aggiunto che "Comporta tempi lunghi, ma si fa."

      Con quali numeri? Non è solo questione di numeri, è questione di logica. 
      Dato un territorio di estensione finita, definito come "territorio occupato"(*), sul quale il gruppo umano "A" ha il controllo militare, esercita la sua giurisdizione, espande costantemente la sua popolazione sia con apporti esterni sia con la naturale crescita demografica, estende costantemente la sua disponibilità di risorse e le sue capacità produttive mentre al gruppo umano "B" non sono concessi apporti esterni ma solo la naturale crescita demografica, è preclusa l’espansione nel consumo di risorse, è soggetto alla costante erosione delle sue proprietà e a drastiche limitazioni di movimento, di commercio, di produzione; elaborare una proiezione a 5, 10, 20 anni sull’andamento del rapporto numerico tra popolazione "A" e popolazione "B".

      (*) la definizione deriva dal diritto internazionale, ed è accettata universalmente dalle diplomazie del mondo. Quella di "territorio conteso" credo sia la sua.

      << Quello di cui lei parla è una tendenza - peraltro esecrabile - di occupare territorio ’conteso’>>
      Si chiama "territorio occupato". Almeno è così che viene definito internazionalmente. 
      Quanto a giudicare "esecrabile" la tendenza ad espandere la colonizzazione ebraica su quel territorio: chi non la giudica tale, a parte quei "quattro gatti" che la teorizzano apertamente come un diritto?
      Se lei interpellasse il direttore esecutivo dell’AIPAC, ne sono certo, la giudicherebbe allo stesso modo. Tuttavia, quando il presidente Obama si mise d’impegno per spingere le parti a concludere un accordo definitivo che consentisse la fine dell’esecrabile tendenza di cui sopra e la nascita di uno stato palestinese, l’AIPAC fece fuoco e fiamme per neutralizzare quelle pressioni.
      Lo stesso fecero tutte le altre articolazioni della lobby sionista internazionale, con varie motivazioni e modalità ma con un unico fine: opporsi all’azione di Obama.

      << in modo da allargare la futura demarcazione definitiva.>> Quale demarcazione? Quando? Questa storia va avanti da quasi mezzo secolo, almeno dal ’67 ad oggi, e potrebbe continuare per un altro mezzo secolo con gli attuali rapporti di forza. Già oggi bisogna essere molto ma molto ottimisti per credere che: 1. sia rimasto un territorio disponibile sufficiente ed adatto per la costituzione di uno Stato palestinese; 2. che la particolare tipologia ideologica di coloni scelta per popolare i territori occupati non scateni una guerra civile qualora qualcuno (ma chi?) tentasse di spostarli da dove sono.

      << Che è tutt’altro dall’ipotesi della Grande Israele (sostenuta da quattro gatti) che, per essere tale, dovrebbe procedere davvero con una pulizia etnica; inesistente e fin qui solo ideologicamente affermata.>>

      Forse lei è solo molto ingenuo e fiducioso. Lo spero almeno.


    • Fabio Della Pergola Fabio Della Pergola (---.---.---.27) 9 ottobre 2013 08:47

      Può darsi che io sia molto ingenuo, ma continuo ad attenermi ai fatti, come lei suggeriva.

      1 - "Territori contesi" è la definizione data dalla diplomazia israeliana, non da me ovviamente, credevo che lo sapesse."Territori occupati" è la definizione data da parte palestinese e dalla diplomazia internazionale.
      E’ scontato che sono definizioni che hanno un contenuto ideologico che deriva dalla definizione che si dà della linea verde del ’48: “linea armistiziale” (come fu) oppure “confine” (come si definisce spesso: vedi i continui riferimenti ai "confini del ’67" intendendo con questo la linea precedente il conflitto del ’67).

      La realtà è la prima perché la linea verde non corrisponde ai confini (peraltro non ben definiti) tracciati con la delibera ONU che sanciva la nascita di Israele nel ’48. Quindi non è mai stato il “confine” tra Israele e l’ipotizzato stato palestinese. Violando nel ’67 la linea verde del ’48 gli stati arabi ne hanno di fatto annullato il valore di linea armistiziale, imponendo di tracciare una nuova linea armistiziale alla fine dei due conflitti ’67 e ’73. Questo non è mai avvenuto perché poteva avvenire solo con una trattativa fra le parti. Trattativa che avrebbe dovuto svolgersi fra Egitto, Siria, Giordania da una parte e Israele dall’altra. Ma, ecco l’inghippo, dei tre stati arabi due, Egitto e Giordania si sono ‘ritirati’ da quei territori - sottoscrivendo la pacificazione con Israele solo sulla base del loro territorio metropolitano - lasciando la patata bollente relativa a Gaza e West Bank nelle mani della galassia palestinese, mentre la Siria è semplicemente rimasta da allora in uno stato di guerra senza più guerreggiarla. Con l’OLP-Fatah-ANP è iniziato il balletto negoziale che dura tuttora. Quindi non sono mai stati tracciati né confini definitivi e condivisi né una linea armistiziale post ’73 perché la trattativa non ha mai visto la fine.

      La comunità internazionale continua a pensare alla linea verde del ’48 come tracciato di riferimento (e quindi parla di” territori occupati” perché il diritto internazionale vieta di ‘annettersi territori’ a seguito di un conflitto). Ma non essendo mai stato tracciato un confine condiviso dalle parti (per tre volte la parte araba ne ha rifiutato il riconoscimento) la posizione israeliana di non riconoscere quello colonizzato come ‘territorio occupato’ bensì come ‘territorio conteso’ è tuttaltro che cervellotica ed è il motivo per cui, in mancanza di una trattativa di pace complessiva, seria e affidabile, qualsiasi governo israeliano ha proceduto con una colonizzazione più o meno accentuata su quel 3-4 o 5% di territorio - usando la pressione colonizzatrice come elemento finalizzato alla trattativa: è il "pace in cambio di territori" di vecchia memoria post ’67 - che potrà essere scambiato con uguale estensione di territorio attualmente israeliano in caso di accordo di pace defintivo.

      2 - “Pulizia etnica” significa allontanamento forzato di una popolazione da un territorio. “Sterminio” o “genocidio” o “etnocidio” ne indicano la soppressione. Qui c’è un conflitto territoriale ad intensità variabile, ma non c’è né pulizia etnica né genocidio. I numeri parlano chiaro.

      La sua “logica” – che pretende di parlare di ‘pulizia etnica’ - non indica una particolarità palestinese; vale per qualsiasi territorio “finito” su cui insistono popolazioni ad alto tasso demografico.

      La questione alla fine è che siamo di fronte ad un contenzioso territoriale che si è ammantato di una patina di conflittualità religiosa (molto più profonda da parte palestinese – vedi Hamas - che non israeliana – vedi i sostenitori della “Grande Israele biblica”). Gli accordi informali di Ginevra hanno dimostrato che il contenzioso territoriale – essendo “finito” – può essere risolto stabilendo quanti metri quadri vanno all’uno e quanto all’altro. Con rinunce, anche significative, da entrambi le parti. Un conflitto che diventa religioso non avrà mai fine se non con la “conversione” dell’avversario.

      Il punto è esattamente questo; in entrambi i campi esiste chi vede il conflitto come territoriale e chi come religioso. Io, ingenuamente, penso che sia un problema palestinese molto più che ebraico e che dipenda in gran parte dalla deriva islamista di gran parte del mondo islamico. Lei forse no, ma il suo uso del termine “lobby sionista” è comunque molto inesatto: più un ebreo è religioso e meno è sionista, dovrebbe saperlo.

      Adesso siamo pari. Come vede “dibattito” non è uguale a “commento”. Saluti. FDP


  • Persio Flacco (---.---.---.42) 9 ottobre 2013 22:06

    << Può darsi che io sia molto ingenuo, ma continuo ad attenermi ai fatti, come lei suggeriva. >>

    No, lei continua a girare la testa dall’altra parte di fronte a fatti che non gradisce vedere. Nessuno può obbligarla a fare diversamente, per carità: è suo diritto chiudere gli occhi quando lo desidera. Ma non per questo certi fatti diventano meno reali.

    << 1 - "Territori contesi" è la definizione data dalla diplomazia israeliana, non da me ovviamente, credevo che lo sapesse. >>

    Certo che lo sapevo. Quello che ancora non sapevo è che lei la adottasse come sua.

    << "Territori occupati" è la definizione data da parte palestinese e dalla diplomazia internazionale. >>

    Infatti è quella adottata in base a trattati e convenzioni (antecedenti al conflitto tra sionisti e palestinesi) che fanno parte del Diritto Internazionale. E’ quella alla quale mi attengo.
    Di passaggio: è nota l’ostilità della lobby sionista verso il diritto internazionale, e se ne comprende il motivo.

    [...]
    Mi scusi se taglio l’ennesima riproposizione della versione sionista della storia: ormai stucca.

    << La sua “logica” – che pretende di parlare di ‘pulizia etnica’ - non indica una particolarità palestinese; vale per qualsiasi territorio “finito” su cui insistono popolazioni ad alto tasso demografico.>>

    Esatto: essendo logico (qualcuno direbbe ovvio) è un ragionamento che si applica ad ogni circostanza analoga. E, supportato dai dati che le ho fornito, dimostra un processo reale in atto da quasi mezzo secolo che tende all’espulsione degli arabi dai Territori Occupati e che, inevitabilmente, lascia aperta una sola strada. Dovrebbe farsi un giro, ogni tanto, sul sito di B’Tselem, se non le fa schifo. Documenta la varietà di modi usati dal regime sionista per privare la popolazione araba dei mezzi per vivere e della dignità, oltre che dei diritti civili.

    << in entrambi i campi esiste chi vede il conflitto come territoriale e chi come religioso. Io, ingenuamente, penso che sia un problema palestinese molto più che ebraico e che dipenda in gran parte dalla deriva islamista di gran parte del mondo islamico. Lei forse no, ma il suo uso del termine “lobby sionista” è comunque molto inesatto: più un ebreo è religioso e meno è sionista, dovrebbe saperlo.>>

    Questa è una schematizzazione che si applicava ad una certa fase dei rapporti tra movimento sionista risorgimentale e Diaspora, ma che non si applica più al movimento nazionalista che oggi si fa chiamare sionismo, salvo per frange marginali.

    Il principio dell’eterna unione tra "sangue e terra" può essere fondato laicamente, sostenendo un diritto "storico" del popolo ebraico ad esercitare la sovranità su un certo territorio. Oppure può essere fondato religiosamente sostenendo l’esistenza di un mandato divino che attribuisce il diritto sovrano del popolo ebraico su quel territorio.

    Chi adotta il primo potrebbe affermare sulla base di fonti storiche che "In Giudea Samaria il popolo ebraico non è un occupante straniero", come ha fatto Netanyahu di fronte al Congresso degli Stati Uniti; chi adotta il secondo potrebbe affermare semplicemente: "Questa terra è mia, Dio me l’ha data", come farebbe un colono. Supportato in questo dal sionista cristiano che anela alla fine dei tempi.

    Nazionalismo laico e nazionalismo religioso sono due facce della stessa medaglia: l’uno e l’altro hanno in mente una terra i cui confini coincidono, siano storicamente o religiosamente determinati, e un diritto eterno su di essa in capo al popolo ebraico. 

    Come le ho dimostrato con numeri e logica il processo di colonizzazione dei territori occupati è coerente con entrambi i programmi delle componenti del nazionalismo ebraico, è sostenuto dalla lobby sionista, è il progetto che si sta realizzando.

    I cittadini israeliani ne sono vittima, come la maggioranza della Diaspora. Ma lei continui pure a tenere la testa girata, se crede.


    • (---.---.---.27) 10 ottobre 2013 10:55

      Il diritto internazionale sostiene che non è lecito aggredire militarmente un altro stato. E, mi sembra di ricordare che tre guerre a una (48-67-73 contro quella del 56) abbiano avuto origine da parte araba. E mi sembra di ricordare che anche quella del Libano 2006 sia iniziata per un attacco Hezbollah. E avrei da ridire qualcosa anche sulle due guerre di Gaza. E avrei da ridire anche su altre vicende più o meno antiche.

       “dimostra un processo reale in atto da quasi mezzo secolo che tende all’espulsione degli arabi dai Territori Occupati”... “Come le ho dimostrato con numeri e logica...”: un processo così reale e una logica così ferrea che si basano su numeri che dimostrano esattamente il contrario. L’espulsione non esiste, esiste un incremento della popolazione araba a dir poco plateale. Ma basta chiudere gli occhi e tutto torna... magicamente.

      “Questa è una schematizzazione che si applicava ad una certa fase dei rapporti tra movimento sionista risorgimentale e Diaspora, ma che non si applica più al movimento nazionalista che oggi si fa chiamare sionismo, salvo per frange marginali”... è solo una sua discutibile opinione basata su non si sa cosa. Francamente incomprensibile.

      “Il principio dell’eterna unione tra "sangue e terra" può essere sostenuto così oppure cosà e “chi adotta il primo potrebbe affermare...” oppure, più banalmente, si potrebbe sostenere che il principio del diritto ebraico ad avere un territorio nazionale può essere sostenuto dal riconoscimento di confini certi che devono essere confini concordati; ma che le varie componenti del mondo arabo hanno negato a partire dal 1948 (ricorrendo al trito giochetto che quando ce n’è una disposta a trattare ce n’è sempre un’altra pronta a opporsi).

      Un lungo sproloquio per non parlare della “deriva islamista”, tutto così preso dal fascino della “lobby sionista”.

      Non si preoccupi troppo della mia testa, so dove guardare. Auguri.


    • Persio Flacco (---.---.---.221) 10 ottobre 2013 22:47

      <<Il diritto internazionale sostiene che non è lecito aggredire militarmente un altro stato. E, mi sembra di ricordare che tre guerre a una (48-67-73 contro quella del 56) abbiano avuto origine da parte araba. E mi sembra di ricordare che anche quella del Libano 2006 sia iniziata per un attacco Hezbollah. E avrei da ridire qualcosa anche sulle due guerre di Gaza. E avrei da ridire anche su altre vicende più o meno antiche.>>

      Mi interessa il futuro più del passato. L’occupazione deve finire, deve essere conclusa la pace con i palestinesi, i rapporti tra Israele e mondo arabo islamico devono entrare in una fase di costruzione positiva. Queste sono le priorità che personalmente ritengo in cima a tutte le altre. Come ritengo nemico di Israele e mio nemico personale chiunque per qualsiasi motivo si opponga a questa linea di indirizzo. Finora le cose sono andate in direzione contraria: al governo di Israele c’è chi incitava all’uccisione di Rabin e c’è chi coltiva una visione razzista e/o messianica del destino del popolo ebraico. La colonizzazione non si è mai fermata, la prospettiva di una conclusione del conflitto non è mai stata così lontana, le nuove generazioni in Israele si sono ormai adattate al ruolo di occupanti, di guardiani di un popolo senza diritti. La maschera grottesca del nazionalismo estremo si è sovrapposta al volto dell’ebraismo.
      La responsabilità di tutto questo non si può accollare unicamente alla parte araba, ormai sconfitta e impotente: occorre saper guardare con spietata obiettività da tutte le parti, altrimenti si è complici di un processo in fondo al quale vi è la distruzione di Israele. E io non voglio che questo succeda.

      A me piace discutere, mettere alla prova le mie convinzioni, confrontare la mia visione con altre su una materia che mi coinvolge profondamente. Ma quando mi si accusa di parteggiare per la parte araba contro Israele allora vuol dire che la discussione è arrivata al termine, che l’interlocutore si è rifugiato nel bunker.

      << Non si preoccupi troppo della mia testa, so dove guardare.>>

      No, mi creda sulla parola.


  • Luca Troiano (---.---.---.132) 10 ottobre 2013 11:06

    "Solo i governi di Francia e Regno Unito, i due più influenzati dalla lobby sionista"


    Arrivato qui ho capito che non era il caso di proseguire. Pollice verso.

    • Persio Flacco (---.---.---.221) 10 ottobre 2013 23:01

      Peggio per lei. Porre volontariamente limiti alla conoscenza non lo ritengo un buon segno.


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