martedì 18 ottobre 2011 - Enrico Campofreda

Shalit libero: rilasciati anche i primi 477 palestinesi

Il caporale Shalit è fuori dalla sua prigione. Lo sono dalle loro (Ketziot, Katsiout, HaSharon) i primi 477 detenuti palestinesi, cui ne seguiranno altri 550 fra alcune settimane. È il lieto fine d’una trattativa estenuante e lunghissima, molte volte data per conclusa e poi naufragata o rinviata.

Sull’accordo, deciso da giorni, nulla hanno potuto le petizioni rivolte all’Alta Corte Suprema da alcune famiglie israeliane colpite dalla morte dei propri congiunti che contestavano il rilascio di taluni militanti palestinesi.

Attraverso il valico di Rafah, il soldato dell’Idf è stato consegnato dal responsabile dell’ala militare di Hamas, Jabbari Ahmed, a funzionari egiziani e della Croce Rossa, e da questi affidato a uomini del Mossad che l’hanno condotto nella base di Tel Nof. Lì ha riabbracciato i genitori e incontrato uomini di governo.

Shalit appariva in buone condizioni di salute e dichiarava: "Hamas mi ha trattato bene. Spero che quest’accordo possa aiutare il processo di pace tra israeliani e palestinesi". Una sortita quasi politica che conforta chi in patria vuole fondare un partito in suo nome.

Alla festa iniziata a Tel Aviv e nella casa Shalit di Gerusalemme fa da specchio la gioia di Ramallah e Gaza, dove madri e mogli palestinesi espongono da giorni foto dei parenti e li ritroveranno con qualche capello bianco in più. Cose da poco per gente come Muhammad Sabri Asayla che contrappone ai circa duemila giorni di prigionia di Shalit i propri diecimila trascorsi dal 1986 in parecchie galere israeliane.

La real politik ha prevalso su fronti che continuano a considerarsi nemici. E per l’occasione le contrapposte categorie di Stato sionista da distruggere e fazione terrorista da sterminare sono state accantonate.

Ciò non significa che siano abbandonate. Gli scambi di prigionieri esistono da sempre, perciò non è automatico vedere nella positiva soluzione del logorante episodio una ripresa del dialogo di pace che solo venti giorni fa risultava affossato all’Assemblea Generale Onu.

A causa del veto statunitense alla richiesta palestinese di ammissione nell’assise del Palazzo di Vetro prim’ancora che dal netto diniego a quella richiesta da parte di Netanyahu. Vero è che il premier israeliano sul caso Shalit ha cambiato registro rispetto alle sue stesse posizioni passate. Ma ciò può non stupire perché risulta totalmente in linea con la politica del doppio binario praticata da decenni dall’intero establishment d’Israele.

Però vista l’aria di ampio consenso (80%) alla scelta della trattativa che spira a Tel Aviv e la gioia trasmessa sullo schermo gigante del Katiba Park di Gaza il cosiddetto quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) ha previsto a fine mese un incontro per valutare l’ipotesi di rilanciare un dialogo fra le parti.

Il fronte palestinese continua a mantenersi unito, i vertici di Hamas non esibiscono vittorie soggettive sostenendo che "L'accordo è stato un successo per tutti i palestinesi, a prescindere dal partito di appartenenza". Comunque c’è chi mette in guardia ricordando che Tsahal "Compie incursioni in Cisgiordania anche dieci volte al giorno e rastrella mediamente in un mese 300-400 persone, considerandole tutte passibili di azioni terroristiche. I mille liberati potrebbero presto venire rimpiazzati da altri fratelli".

Nelle prigioni israeliane restano oggi più di seimila detenuti palestinesi, molti non sono i ribelli delle Intifade ma cittadini catturati giorno per giorno nelle strade, nelle campagne, ai check point .




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