“Shadow ban” in Palestina | Riflessioni in "Sol diesis"
Un nuovo termine è entrato a far parte del linguaggio nel mondo del social network: “shadow ban” che, tradotto letteralmente dall’inglese, suonerebbe qualcosa come “divieto ombra” ma che, in sé dice poco o niente.
In sostanza si tratta di un provvedimento, da parte del proprietario di quel network, da Facebook e Twitter a Telegram e così via, di “bannare”, ovvero di silenziare un utente per motivi insindacabili, in modo che i suoi contenuti non siano più visibili nei “feed”, nella funzione “esplora”, o nelle pagine degli “hashtag” (#) ma, cosa più importante, senza che l’interessato ne sia al corrente.
Di solito questi contenuti venivano rimossi a seguito di infrazioni delle regole di comportamento; una censura della quale, però, l’interessato veniva a conoscenza.
L’unico modo per farlo, ora, è passivo, cioè quell’utente che era abituato a centinaia, o migliaia di “like” se ne ritrova solo tre o quattro nell’arco di un mese.
Bene. Sappiamo, oramai per esperienza, che i network che inizialmente erano nati per allargare il campo dell’informazione a vantaggio di chi navigava in rete, ora sono diventati un mezzo per “controllare nell’ombra” un utente – una funzione più mirata rispetto allo “shadow ban”, del divieto ombra - entrando così nella guerra mediatica che, inevitabilmente, si associa alla guerra convenzionale, rafforzandola.
Dall’inizio degli attacchi israeliani a Gaza, soprattutto i palestinesi e i difensori della causa palestinese si ritrovano “shadowbannati”, per cui una semplice ricerca su qualsiasi social network farà apparire centinaia di account di utenti i quali affermano di essere stati sottoposti alla revisione della visibilità, limitandone la comparsa nei feed di notizie o nelle ricerche.
Ma, fin qui, la cosa seppur spiacevole, potrebbe non costituire un grosso problema.
Leggendo, però, i tanti messaggi dedicati a questo tema si vede, innanzi tutto, che si tratta di una questione politica.
La popolazione palestinese intrappolata a Gaza vede i social media come l’unica arma per aumentare la consapevolezza internazionale.
Prendiamo, ad esempio, l'esplosione all'ospedale arabo Al-Ahli di Gaza che ha ucciso 471 persone. Il presidente Biden che si è affrettato, durante la sua visita a Tel Aviv, a tranquillizzare il suo caro alleato Benjamin Netanyahu, e si è detto "profondamente rattristato e indignato" per l'esplosione, sostenendo l’affermazione israeliana secondo cui l’esplosione mortale sembra essere stata causata da un razzo palestinese andato male; gli USA – sostiene - ne possiedono le prove; "I dati mi sono stati mostrati dal mio dipartimento della difesa".
Quando, in realtà tra accuse e controaccuse, arrivare alla verità del fatto è più difficile che mai.
La BBC Verify ha contattato 20 “think tank”, università e aziende con esperienza nel settore degli armamenti. Nove di loro devono ancora rispondere, ma finora i dati sono inconcludenti. (https://www.bbc.com/news/world-middle-east-67144061?utm_source=Gmi+Mailchimp+INTEGRATION+Prod+List&utm_campaign=ea22266199-EMAIL_CAMPAIGN_2018_07_08_04_14_COPY_17&utm_medium=email&utm_term=0_ff3735a749-ea22266199-57316641).
Però, cari miei, una fonte vicina alla questione ha detto all'agenzia di stampa Reuters che il presidente degli Stati Uniti sta valutando la possibilità di chiedere al Congresso 10 miliardi di dollari in aiuti per Israele già da venerdì ma… tranquilli, ha anche affermato che 100 milioni di dollari in finanziamenti statunitensi saranno stanziati per sostenere i civili palestinesi! Una giusta proporzione perché, in effetti, Israele ne ha proprio bisogno!
La guerra è una preoccupazione perpetua in Israele, ma sono passati decenni da quando gli israeliani hanno dovuto chiedersi se oggi potrebbe essere il giorno in cui i loro confini saranno superati e i loro nemici andranno di costruzione in costruzione per decidere chi massacrare.
L’identità palestinese cancellata per sempre e la sua bandiera sciolta nell’acido muriatico.
il governo israeliano, giorni fa, ha portato un autobus carico di giornalisti a Sderot, la città israeliana più vicina all'estremità settentrionale di Gaza.
Amichai Chikli (del Likud, il maggior partito di destra al governo), il quale guida due ministeri, Affari della Diaspora e Uguaglianza Sociale, si è presentato con una Glock, una pistola semi automatica, stretta contro la parte bassa della schiena.
Il suo messaggio principale è stato che il nemico “non era solo Hamas” e che “comuni cittadini di Gaza” erano stati tra coloro che saccheggiavano, “uccidevano persone, bruciavano persone nelle loro case, decapitavano persone, compresi i bambini”.
“A Gaza, costringono i loro figli ad assistere alla macellazione degli animali durante l’Eid al-Adha a prendere il cuore dell’animale e a trattenerlo, in modo che possano essere cattivi e brutali quando crescono”.
Questa festa si basa su una storia nota tanto agli ebrei quanto ai musulmani: Dio impedì ad Abramo di sacrificare suo figlio e sostituì il povero ragazzo con un ariete. Molti genitori potrebbero preferire di risparmiare ai propri figli la vista di un animale morto dissanguato. Ma questo rituale non è pensato per addestrare gli assassini, e sembrava proprio che Amichai Chikli pensasse che anche i musulmani comuni fossero abusatori omicidi di bambini.
Mi ricorda molto quello che parecchio tempo fa dichiarò ai media l’ex cavalier Berlusconi, affermando che i cinesi bollivano nei pentoloni i bambini e poi se li mangiavano. E lo diceva seriamente, perdio!
Ma il fatto più inquietante, in questi giorni, è la reazione di quasi la totalità del mondo occidentale nel dichiarare pubblicamente che “Israele ha tutto il diritto di difendersi, ma al tempo stesso dobbiamo aiutare la popolazione di Gaza”.
Questa frase, che sembra essere l’espressione di una parola d’ordine convenzionale, se ci pensate, nasconde una palese contraddizione; quasi un ossimoro strategico.
Chi si deve difendere, in tal caso Israele, non lo farà sollevando scudi come potrebbero pensare gli sprovveduti che stanno ascoltando alla tv. Lo farà cercando di neutralizzare il nemico, ma non con le minacce verbali, non fateci ridere, bensì con tutte quelle strategie di guerra che la situazione richiede; come d’altra parte sta avvenendo in questi giorni.
Però, al tempo stesso la frase auspica l’aiuto della popolazione di Gaza! Ma in che modo? Aiutandoli a morire con pietà? Ma certamente, questa seconda parte della frase viene aggiunta per non apparire disumani agli occhi della gente.
Come si chiama tale comportamento? Non lo voglio dire, perché è troppo facile.
Tutti, come un coro organizzato, hanno proferito la stessa frase. Dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al Presidente americano Joe Biden, pedina invecchiata di un potere più grande di lui; unica alternativa, sino a poco tempo fa, al pericolo trumpiano, che Dio ce ne liberi! E per un ateo viscerale come me, fare questa invocazione dà la misura di quanto la mia espressione sia accorata.
All’Italia, pedina di… non si sa più di chi, nella quale da una generazione a questa parte non si è più visto un politico con le p*lle in grado di governare, e la cui componente di quello attuale può essere sostanzialmente espressa con la frase fanciullesca “…da grande voglio fare il pulizziotto”.
Insomma, il mondo ha perduto la prima qualità che per parecchi anni ha assicurato l’equilibrio geopolitico: la coerenza.
Suvvia, andiamola a cercare, in qualsiasi parte del globo si sia nascosta perché, diversamente, la profezia Maya, che abbiamo deriso fino all’altro ieri, si attuerà quanto prima!