giovedì 2 luglio 2020 - Marco Barone

Se l’Egitto rivendica il sostegno italiano alla dittatura dopo i fatti 30 giugno. Adesso si deve cambiare rotta

Ci sono immagini che rimangono indelebili nel tempo. Una di queste era, purtroppo tocca parlare al passato in questo caso, quello striscione esposto sul palazzo della Regione del Friuli-Venezia Giulia. Quello che in Italia è diffuso un po' ovunque anche nelle sedi istituzionali. Ma non a Trieste. Perchè per alcuni no se pol. Cosa c'era scritto? Verità per Giulio Regeni. A Trieste. Nella Regione di Giulio, nel capoluogo regionale. La prima Regione a dover dare il giusto esempio doveva essere questa. Deve essere questa.

La Regione di Giulio. Ma è stato dato l'esempio sbagliato. Certo, dipende dai punti di vista, dalle prospettive. Sbagliato per chi crede che la battaglia per la verità per Giulio sia imprescindibile e irrinunciabile per uno stato democratico. E passa anche attraverso il linguaggio dei simboli. Quello striscione era ed è un simbolo fondamentale. Ma è stato rimosso. Si parlò di fantomatiche strumentalizzazioni politiche. Quali? Mai comprese e comunque la forza del simbolismo deve riuscire ad andare oltre sterili strumentalizzazioni. Probabilmente non si aspettava che la prima scusa buona per farlo fuori. E' passato solo un anno da quel fatto e quel vuoto c'è. Colpisce. Quando viene segnalato, ricordato, con i post che in rete circolano ad una velocità impressionante.

E questo vorrà pur dire qualcosa. Quella rimozione non ha fatto bene alla nostra regione e neanche alla battaglia per la verità per Giulio. Si può sempre fare un passo indietro. Riconoscere di aver sbagliato. Ma non è da tutti. E pensare che nel luglio 2018 il Consiglio Regionale del FVG aveva approvato una mozione con voto unanime di consiglieri e giunta con la quale si chiedeva che la Regione mantenesse l'impegno nella ricerca della giustizia e della verità sulla morte di Giulio Regeni. Intanto altro non rimane che constatare la presenza di quel vuoto, con lo striscione che non c'è. E a tal proposito è bene richiamare quanto osservato dalla famiglia di Giulio: sull’intitolazione di strade delle città a Giulio.

“Non vogliamo monumenti alla memoria ma azioni vere per restituire a tutti verità e giustizia: i sindaci espongano gli striscioni o chiedano il ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo". Più striscioni, più azioni e meno ciacole. E non si può che osservare che per iniziativa di qualcuno sta partendo una sorta di campagna della rassegnazione, che avrà come scopo quello di delegittimare la verità per Giulio Regeni, magari anche sostenendo che l'Italia non otterrà mai la verità. Ciò non è vero o quanto meno non è dato sapere soprattutto se il nostro Paese non metterà in campo tutti i propri poteri per tentare di conseguirla questa verità processuale.

Ad oggi ciò non è successo. A parte la magistratura, che è arrivata lì dove doveva e poteva arrivare, il resto delle nostre Istituzioni hanno fatto poco o nulla. Tolta la Commissione monocamerale d'inchiesta, tolta la sospensione dei rapporti diplomatici tra la Camera dei deputati ed il parlamento egiziano, per il resto è stato fatto praticamente niente. Lo stesso discorso vale a livello europeo. Le risoluzioni contro l'Egitto son diventate dei boomerang nella misura in cui hanno evidenziato l'inconsistenza della stessa Unione Europea. Perchè ad esse non è seguito niente. Fino a quando il nostro Stato non farà tutto quello che è nelle sue facoltà fare per la verità processuale per Giulio, fino a quel momento, non ci si deve neanche permettere di dire che verità e giustizia mai sarà fatta.

Poi, si tireranno le somme, ma ancora la strada è lunga, anche se son trascorsi quattro anni, più di 1600 giorni, e solo la famiglia di Giulio può sapere cosa significano quattro anni senza il loro figlio, e di continue prese in giro colossali e offese, oltre che sopportare quel fango che ancora viene gettato sull'immagine di Giulio. Dopo l'ennesima conferma della presa in giro egiziana, e l'offesa rivolta alla famiglia di Giulio, non resta che fare una sola cosa. Richiamare l'ambasciatore dall'Egitto.

Cosa richiesta in Italia da oltre 50 mila cittadini. Fatto senza precedenti. Va ricordato che in Egitto con la riforma costituzionale voluta dalla dittatura ora in sostanza il potere giudiziario è nelle mani della presidenza della Repubblica. Cioè di Al Sisi. Certo, capiamo l'imbarazzo per i governi italiani.

Visto che è lo stesso Egitto che nel suo sito governativo ufficiale a riconoscere che l'Italia dopo il 30 giugno, cioè la data che porterà alla caduta di Morsi ed al colpo di stato di Al Sisi, "ci furono importanti sviluppi nelle relazioni tra Egitto e Italia. Ciò è stato testimoniato nei loro rapporti politici; visite ufficiali e sostegno del governo italiano alla road map egiziana". E' arrivato il momento di chiudere il rubinetto dei rapporti con questa dittatura.

mb



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