venerdì 19 luglio - Riccardo Noury - Amnesty International

Scambio di prigionieri con l’Iran: come la Svezia ha tradito la giustizia internazionale

La scioccante scarcerazione dell’ex funzionario iraniano Hamid Nouri, condannato all’ergastolo da un tribunale svedese per il suo ruolo nel massacro delle prigioni del 1988, a seguito di uno scambio di prigionieri tra l’Iran e la Svezia, ha costituito un colpo devastante per le persone sopravvissute e i parenti delle vittime.

La decisione del governo svedese non solo finirà per incoraggiare le autorità iraniane a commettere ulteriori crimini di diritto internazionale, incluso il sequestro di ostaggi, senza temere conseguenze, ma minerà anche il diritto alla giustizia e alla riparazione delle persone sopravvissute e delle famiglie delle vittime. Tutto questo solleva forti preoccupazioni riguardo all’impegno della Svezia nei confronti dei suoi obblighi in materia di diritto internazionale.

La prematura liberazione di Hamid Nouri ha indebolito l’impatto delle storiche sentenze dei tribunali svedesi basate sul principio della giurisdizione universale. Queste sentenze, in primo e secondo grado, avevano reso possibile l’unico processo, sia in Iran che all’estero, contro un funzionario iraniano per le sparizioni forzate e le esecuzioni extragiudiziali di migliaia di prigionieri avvenute oltre tre decenni fa.

La grazia concessa ad Hamid Nouri da parte del governo svedese e il suo ritorno in Iran confermano le precedenti preoccupazioni di Amnesty International riguardo al fatto che le autorità iraniane abbiano tenuto in ostaggio dei cittadini svedesi per scambiarli proprio con Nouri.

I due cittadini svedesi Johan Floderus e Saeed Azizi sono tornati a casa il 15 giugno dopo essere stati sottoposti a una serie di violazioni dei loro diritti umani in Iran. Così non è stato per un terzo cittadino svedese, Ahmadreza Djalali, che ha anche nazionalità iraniana, detenuto arbitrariamente in Iran dall’aprile 2016 e è sotto condanna a morte dall’anno successivo. Considerata la spaventosa ondata di esecuzioni nel paese, la sua sentenza lo pone in grave pericolo.

Ahmadreza Djalali è stato condannato a morte nell’ottobre 2017 per “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz), a seguito di un processo gravemente iniquo celebrato dalla sezione 15 del tribunale rivoluzionario di Teheran, noto per estorcere “confessioni” con la tortura. Il 9 dicembre 2018 i suoi avvocati hanno appreso che la Corte suprema iraniana aveva confermato in via definitiva la condanna a morte senza concedere loro l’opportunità di presentare la loro difesa. La Corte ha respinto più volte le richieste di revisione giudiziaria avanzate da Ahmadreza Djalali.

La condanna a morte di Djalali pertanto può essere eseguita in qualsiasi momento.

Come minimo, ora le autorità svedesi devono urgentemente adottare tutte le misure necessarie per garantire la sua immediata scarcerazione e il suo ritorno a casa dalla sua famiglia in Svezia, agendo rapidamente per proteggere i diritti di Ahmadreza Djalali, incluso il diritto alla vita.

 




Lasciare un commento