giovedì 31 maggio 2012 - Riccardo Noury - Amnesty International

Salviamo Intisar dalla lapidazione in Sudan

Amnesty International ha lanciato sul proprio sito un appello per salvare dalla lapidazione Intisar Sharif Abdallah, una cittadina sudanese di 20 anni, madre di tre figli, condannata a morte a colpi di pietra per adulterio.

 

La sentenza è stata emessa il 13 maggio dal tribunale penale di Ombada, nello stato di Khartoum, che ha giudicato Intisar colpevole di “adulterio durante il matrimonio”, in violazione dell’articolo 146 del codice penale del 1991.

Tutta la vicenda rappresenta una grottesca parodia della giustizia, cui speriamo la mobilitazione internazionale che sta partendo in queste ore riesca a porre rimedio, convincendo la corte d’appello ad annullare la condanna.

Inizialmente dichiaratasi innocente, Intisar ha “confessato” la colpa dopo essere stata picchiata dal fratello, la cui testimonianza è stata l’unica ad essere presa in considerazione dal giudice. L’imputata non è stata assistita da un avvocato e neanche da un interprete, sebbene il processo sia stato condotto in arabo, che non è la sua lingua madre.

Intisar ha tre figli: i più grandi sono stati affidati alla famiglia, l’ultimo di quattro mesi è in carcere con lei.

Considerata la più antica e barbara modalità di esecuzione, non prescritta dal Corano ma dagli hadit della tradizione islamica, la lapidazione per adulterio è prevista in alcuni paesi ove vige la shari’a (la legge islamica) tra cui il Sudan, l’Iran e alcuni stati settentrionali della Nigeria. La procedura prevede che la persona condannata venga legata o sepolta fino alla vita (come ricostruito nella foto) o al collo e colpita numerose volte da pietre che, secondo la legge, non dovranno essere né troppo grandi da causare la morte immediata né troppo piccole da non avere alcun effetto.

Spesso, la persona condannata rimane cosciente per quasi tutta la durata dell’esecuzione. Se riesce a liberarsi nel corso della lapidazione, o se comunque sopravvive, la sua vita verrà risparmiata.

Nel 2011 non sono state ufficialmente registrate nel mondo esecuzioni di condanne a morte mediante lapidazione. In Sudan, quest’anno, già un’altra ragazza è stata salvata dalle pietre.




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