sabato 14 settembre 2019 - Agostino Spataro

SCIASCIA DOVREBBE LASCIARE RACALMUTO PER UNA VACANZA

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1... Leonardo Sciascia sotto stress laudativo?

Il casuale rinvenimento, presso la Fondazione Gram­sci di Roma, di due lettere (inedite) scambiate tra Re­nato Guttuso e Leonardo Sciascia hanno riacceso in me l’interesse per la personalità dello scrittore, soprat­tutto sul versante politico e civile, in un momento in cui certe polemiche evidenziano un disagio da tempo latente, e irrisolto, all’interno della stessa cerchia dei suoi estimatori.

Pertanto, oltre a pubblicare le due lettere, ho pensato di far stampare (a mie spese e a fini non commerciali) questo opuscolo per tentare di abbozzare un punto di vista più completo a riguardo e, al contempo, offrire un contributo di informazione e di documentazione.

Com’è mio costume, cercherò di farlo rispettando le opinioni altrui e mantenendomi nell’alveo delle cose a me più congeniali ossia nel campo politico, poiché non mi piace sconfinare in campi impropri, dove, per altro, operano validissimi critici e biografi.

Dico subito che non sono stato amico di Leonardo Sciascia e tanto meno un suo “fan”[1] come non lo sono di altri scrittori.

Mi reputo soltanto uno dei suoi tanti lettori ed esti­matori che, a 30 anni dalla sua morte, osservando la realtà che lo circonda, specie dalle parti di Racalmuto, ne ha tratto l’impressione che taluni (non tutti in ve­rità) “amici” dello scrittore, nell’intento di celebrarne le doti, continuano a sottoporlo a una sorta di “stress laudativo”, passionale, possessivo perfino, che, certo, non sarebbe stato gradito al laudato.

Pratiche discutibili che potrebbero risultare detrattive dell’opera e della stessa personalità dello scrittore che rischiano di essere risucchiate dentro una dimensione territoriale ristretta e non universale come Sciascia merita.

Nulla di malevolo, per carità. Solo una debolezza umana che si può manifestare in ognuno di noi. Spe­cie quando avviciniamo, eccessivamente, a noi stessi il personaggio e lo costringiamo a convivere nei nostri spazi angusti, nei nostri malcelati desideri di… visibi­lità.

Così procedendo, diventa inevitabile l’insorgere d’incomprensioni, contrapposizioni; la formazione di “partiti” (intesi come fazioni della medesima conce­zione fideistica) ciascuno dei quali cercherà di tirare il laudato dalla propria parte, generando un movimento di spinte e controspinte deleterie, contropro­ducenti.

 

2... Sciascia dovrebbe “lasciare” Racalmuto per una vacanza

A mio modesto parere, Leonardo Sciascia dovrebbe “lasciare” Racalmuto per qualche tempo. Non in­tendo il paese, né la Fondazione da lui voluta, ma l’aere un po’ vischioso e l’inopportuna udienza che lo circondano, per inoltrarsi, più di quanto non sia, per le vie del mondo. Insomma, prendersi una “vacanza”, magari a Parigi, città da lui amata e da lei riamato.

Farsi quattro passi nel quartiere latino. Curiosare fra le vetrine di libri, fra la gente che ha ancora voglia di respirare cultura, aria di libertà. Fare un salto al Cafe’ Procope, creato dal siciliano Procopio, detto “dei coltelli”, nel 1686, un secolo prima della Rivoluzione francese ossia la madre di tutte le rivoluzioni della storia moderna.

Il primo café parigino, il più antico del mondo, centro della vita letteraria e filosofica parigina, frequentato dalla gran crema dell’intellighenzia illuminista (Voltaire, Diderot, D’Alembert, ecc) e dai capi rivoluzionari più influenti (Danton, Marat e Robespierre, Bonaparte, ecc) e dai più rinomati scrittori francesi ed europei.

Un luogo ideale in cui un illuminista contemporaneo- come Sciascia si proponeva- può ritrovare lo spirito del tempo, di quel tempo, di quelle idee, appunto, luminose, che divennero diritti individuali e collettivi, che schiarirono i cupi cieli d’Europa e penetrarono il mondo con i loro aneliti di libertà, di fratellanza e di sovranità popolare che - per la prima volta- fu trasfe­rita dai re ai popoli.

A proposito di sovranità mi sia consentita una breve digressione. Oggi, nel 2019, tale inestimabile con-quista politica e civile é dileggiata, derisa, declassata a “sovranismo” e presentata come una malattia incurabile di masse di cittadini “cretini”, ritenuti tali solo perché si oppongono al tentativo (in atto) di ritorno indietro, di ri - trasferimento della sovranità popolare dalle Costituzioni democrati­che (compresa quella italiana) ai “mercati” ossia ai nuovi poteri, anonimi e voraci, che vogliono plasmare il mondo, l’umanità secondo i loro immorali interessi economici e finanziari.

Ora- sia chiaro- nessuno desidera vivere in società autarchiche, per altro, impossibili. Quote di sovranità nazionale le ab­biamo cedute, senza particolari problemi, alla UE, alla Nato e ad altri organismi internazionali. Sapendo, però, a chi e per che cosa venivano cedute. Quello che é inaccettabile è l’attacco ai diritti dei popoli all’identità culturale e all’auto-determinazione che tali “poteri”, affatto democratici, stanno portando avanti con la complicità di ciurme di politici banditori e di pennivendoli che sembrano lavorare quasi per un ritorno all’ancien regime.

Il denaro è il nuovo Dio unico, (o “globale” se prefe­rite) adorato da questa perfida genia, insediatasi al go­verno del mondo, che sta divorando i valori morali e le conquiste sociali e culturali di tutte le rivoluzioni, dalle più recenti giù giù, fino a quella francese. Ap­punto.

Ma torniamo alla ricreante passeggiata del nostro scrittore, che abbiamo lasciato al celebre café. il quale, appoggiandosi al suo bastone, potrebbe imboccare la rue Mazarin per andare a incontrare lo spirito fremente dell’illustrissimo cardinale Giulio Raimondo Mazzarino (nato da padre palermitano) che aleggia nella monumentale biblioteca da lui donata ai posteri. Il cardinale non fu un illuminista (non poteva esserlo), ma sicuramente fu uno fra i più grandi statisti europei del ‘600, un “genio” della politica pre­stato dal Vaticano alla Francia, auspice Richelieu, du­rante i regni di due Luigi XIII e XIV…[2]

 

3... Il pessimismo di Sciascia razionale e presago

Stiamo divagando, fantasticando, evidentemente. Sciascia è Sciascia, dovunque si trovi. Con i suoi grandi pregi letterari, con le sue brillanti intuizioni politi-che e- ovviamente- anche con qualche limite, umano e politico. E’ un autore speciale che deve continuare a volare in alto, sulle ali dei suoi libri, dei suoi ragiona-menti, del suo pessimismo a volte cupo ma razionale.

Un pessimismo che, talvolta, appare sconcertante, definitivo ma plausibile, presago addirittura, come quello che si coglie nelle parole amare che Sciascia mette in bocca al don Benito del suo “A ciascuno il suo”.

“Stiamo affondando, amico mio, stiamo affondando… Questa specie di nave corsara che è stata la Sicilia, col suo bel gatto­pardo che rampa a prua, coi colori di Guttuso nel suo gran pa­vese, coi suoi più decorativi pezzi da novanta cui i politici hanno delegato l’onore del sacrificio, coi suoi scrittori impegnati, coi suoi Malavoglia. Coi suoi Percolla, coi suoi loici cornuti, coi suoi folli, coi suoi demoni meridiano e notturni, con le sue arance, il suo zolfo e i cadaveri nella stiva: affonda, amico mio, affonda…”

(citato da Massimo Onofri in “ Storia di Sciascia”, Editori Laterza, Bari, 2004)

In realtà, il presagio sciasciano è in corso di svolgi­mento, ma non possiamo ammetterlo, denunciarlo pubblicamente. Forse, per non deprimere ancor di più lo spirito pubblico o per non disturbare il manovratore ossia la pletora di ottimisti o di ottimati (?) che continuano a dominare la nostra povera Sicilia. Sì, povera ed emarginata, perché maltrattata e mal governata! 

Piaghe antiche e recenti attraversano la sua condizione sociale e morale che, certo, non può essere rimossa e/o esorcizzata con qualche scatto d’orgoglio inneggiante alle sue bellezze naturalistiche, monumentali, ecc. In realtà, il dramma continua: dall’Isola si continua ad emigrare; scappano, soprattutto le nuove generazioni ossia la principale speranza che ci resta.

4... Guttuso e Sciascia sconoscevano il patto “segreto” tra Moro e Berlinguer

Chiudo con le divagazioni per rientrare nel tema, senza avere la pretesa della verità. Le mie annotazioni su certi “sciasciani” sono impressioni, suggestioni discutibilissime che spero vengano smentite con comporta-menti più sobri.

Il fatto più interessante e concreto sono queste due lettere ( e penso anche le tantissime ancora non cata­logate e ben conservate nei locali della Fondazione) che confermano cose già note e ne svelano di nuove, sorprendenti – direi – sia per i loro contenuti e per i toni piuttosto graffianti, sia per i temi affrontati, certo da non poco conto, quali “l’Affaire Moro” e il trava­gliato rapporto che Sciascia ebbe con il Pci allora di­retto da Enrico Berlinguer ossia dal leader comunista più “laico” (in senso ideologico) d’Occidente e d’Oriente.

Nelle lettere, Sciascia e Guttuso si accalorano intorno alla tragedia di Aldo Moro e al dramma del potere democristiano, inoltrandosi nei meccanismi psicolo­gici, nella lucida disperazione dell’illustre prigioniero, di quel Moro che s’illude, addirittura, di far da guida politica ai suoi carnefici. Tuttavia, almeno in queste missive, non viene colto il senso vero e l’ampia portata del ba­ratro che si era aperto sotto i piedi della democrazia italiana.

D’altra parte, a cinque mesi dell’assassinio di Moro. loro, come altri, non potevano sapere quel che c’era stato prima, durante e perfino dopo il sequestro.

Oggi sappiamo- per esempio - che, per un certo tem-po, Enrico Berlinguer, segretario del Pci, e Aldo Moro, autorevole presidente della DC, lavorarono, riservatamente, per individuare una via d’uscita al pericoloso stallo della democrazia italiana verifica­tosi negli anni ’70, anche per effetto di oscure strate­gie interne ed esterne e dell’attacco micidiale dei ter­rorismi di opposte matrici ideologiche.

L’obiettivo era quello di favorire un clima politico nuovo ossia normale, democratico nel vero senso della parola e della lettera della nostra Costituzione, basato sul rispetto reciproco fra le forze politiche e mirato al re­cupero della moralità pubblica e al buongoverno, superando la discrimi­nazione anticomunista e avviando, finalmente, una mo­derna politica di alternanza al governo del Paese.

Un nuovo patto di valore costituzionale, un progetto ambizioso e pericoloso, una sorta di “rivoluzione” democratica, cui fu dato il nome di “compromesso storico”, che sarà intercettato e bloccato mediante la distruzione fisica di Aldo Moro da parte delle sedi­centi “Brigate rosse”.

Un vera tragedia per la famiglia e per l’Italia. Un fatto clamoroso, sconvolgente che meritava ben altra rea­zione da parte di coloro che, in quel frangente, regge­vano le sorti del governo e dello Stato. Ricordo che noi, membri del Parlamento, lo vivemmo frastornati e impotenti, tormentati da ansie e da interrogativi tre­mendi che nascevano dalla gravità del “caso” e anche da una sua “gestione” assai discutibile, ma non di­scussa, apertamente, né in Parlamento né nel Paese.

A mio parere, fu questa la prima, grave, ingiustifica­bile anomalia verificatasi sul terreno politico: per libe­rare Aldo Moro si mobilitarono le piazze, le fabbri­che, le scuole, l’opinione pubblica, mentre il Parla­mento, il governo non agirono come avrebbero do­vuto.

 

5... La scandalosa gestione del sequestro Moro. Le ambiguità dei partiti.

Il Paese rispose con fermezza e solidarietà all’orrido attacco, mentre il ceto politico, gli organi istituzionali si rivelarono indecisi, divisi, impotenti durante quei lunghi e terribili 55 giorni. Tanto durò il calvario dell’on. Moro.

Un mese e mezzo, un periodo abbastanza lungo du­rante il quale non si trovò tempo e modo per inves­tire il Parlamento delle sue responsabilità e, tramite esso, informare, coinvolgere gli italiani, le opinioni pubbliche nazionale e internazionale.

La gestione della crisi fu verticalizzata al massimo e delegata a un ristretto e ambiguo “comitato di crisi” (quasi interamente composto da affiliati alla P2 di Li­cio Gelli), coadiuvato da “esperti” inviati dall’Ammi-nistrazione Usa.

E noi, 930 fra deputati e senatori della Repubblica, apprendevamo dai giornali qualche notizia, spesso una bufala come quella del lago della Duchessa o delle sedute spiritiche in quel di Bologna!

Chi, a livello politico, bazzicava quel “comitato” do­veva sapere chi fossero quegli illustri signori inchio­dati al tavolo delle decisioni (anche operative) insieme al ministro dell’interno Francesco Cossiga. E cosa stessero facendo.

Qualche dubbio insorse anche nel nostro ambiente. Circolavano tanti sospetti e congetture, ma nulla di specifico, di concreto.

Si brancolava nel buio. E dire che chi (per il Pci) se­guiva il caso avrebbe potuto chiedere lumi al “soc­corso rosso” dei vari servizi dell’Est europeo che, certamente, non si lasciarono sfuggire la “ghiotta preda” del sequestro Moro che - a seconda della sua conclusione - poteva influire sui delicati equilibri geo - strategici fra Nato e Patto di Varsavia sui “teatri” europeo e mediterraneo.

Purtroppo, anche il Pci si accodò alla linea della “riservatezza“ e del rifiuto di ogni trattativa con i terroristi.

Non restava che fidarsi dell’operato (a noi ignoto) del nostro “ministro dell’Interno”: sicuramente Pecchioli era al corrente di tutto, di nomi, fatti e dinamiche di quella bizzarra gestione.

A quanto si saprà dopo, così non fu. Perché se fosse stato effettivamente partecipe di quella gestione ne sarebbe stata messa in dubbio la buonafede e si sa-rebbero aperti scenari davvero inquietanti e sconvolgenti. Anche nel partito.

O lo fu? Il dubbio ci rode ancora oggi. Poiché, dopo tanto tempo e nuove rivelazioni, le ombre non si sono diradate, anzi sembrano essersi infittite.

 

6...Il dovere della verità vale per tutti

E qui mi fermo, per concludere con l’omaggio a Scia­scia e a Guttuso, alla loro bella e, talvolta, tormentata amicizia: due intellettuali siciliani di prima grandezza che costituirono un sodalizio fra i più interessanti e vivaci della cultura italiana del secondo novecento.

Come detto, ho focalizzato l’intervento su taluni aspetti relativi al rapporto, non facile ma a tratti anche fecondo, tra Leonardo Sciascia e il Pci, soprattutto per fatti avvenuti in Sicilia. Alle due lettere ho ac­cluso, per documentazione, una piccola selezione di articoli relativi (miei e di altri), pubblicati negli ultimi anni.

Nulla di sensazionale, soltanto qualche notizia e qual­che commento per ampliare il quadro o il “contesto” di riferimento; un contributo mirato a illuminare al­cuni angoli rimasti oscuri nella pubblicistica e nel di­battito più generale.

Per amore di verità verso la gente, verso i militanti di quel nostro grande Partito liquidato e sepolto - a dir poco - frettolosamente. Molti di noi “senza partito”, in realtà un partito l’abbiamo ed è sempre il Pci pur con tutti i suoi limiti e errori attribuitigli. Ma chi non sbaglia?

Non per nostalgia, che considero una pietosa commozione del pensiero, ma per attaccamento ai suoi nobili ideali di pace, di uguaglianza e di fratellanza universale, oggi più che mai, validi e necessari.

Pertanto, credo sia dovere di ogni militante e diri­gente (anche di coloro che hanno abiurato) del Pci quantomeno di consegnare all’archivio della memoria storica collettiva le sue esperienze e conoscenze.

E soprattutto, dire la verità che- a mio parere- è sem­pre rivoluzionaria. Anche se a taluno può dispiacere, magari perché trova imbarazzante qual­che riferimento specifico, come quelli da me avanzati in questo lavoro che sarei ben lieto venissero smentiti.

Avverto, però, che non si accettano reazioni “indi­gnate”, ad effetto, che non smentiscono nulla e che, spesso, si risolvono in penose volgarità, ma solo fatti e nomi suffragati da documenti, dati, testimonianze, ecc. Questo è quanto.

(Agostino Spataro)

 

* dal libro di Agostino Spataro (in corso di stampa): "Sciascia e Guttuso- Una bella amicizia polemicamente vissuta".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] “Fan” è l’abbreviativo della parola inglese “fanatic”. E il fana-tismo- si sa- è la negazione della ragione cui Sciascia sempre si appellava nei suoi scritti e nei suoi ragionamenti.

[2] Sulle relazioni tra il cardinale Mazzarino e Luigi XIV ho scritto un articolo su “La Repubblica” in cui si ipotizza che il “Re Sole” fosse figlio del cardinale e della regina Anna d’Austria. Vedi qui: https://ricerca.repubblica.it/repub...




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