giovedì 14 ottobre 2021 - marina bontempelli

Rigoletto al Teatro La Fenice di Venezia, nuovo allestimento del Dutch National Opera di Amsterdam

A due anni dal debutto arriva sul palcoscenico lagunare il Rigoletto di Damiano Michieletto

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Rigoletto Fenice, settembre-ottobre 2021

Dal 29 settembre al 10 ottobre abbiamo potuto assistere al Teatro la Fenice a Rigoletto, l’opera verdiana che ha visto la prima rappresentazione assoluta proprio qui l’11 marzo 1851. Damiano Michieletto la ripropone con una regia concettuale e simbolica, di impostazione fortemente psicanalitica: ci troviamo nell’alienante vuoto di una stanza dell’ospedale psichiatrico dove è ricoverato Rigoletto, impazzito dal dolore per aver involontariamente provocato la morte dell’adorata figlia. La trama si snoda in un lungo flashback della nota, tragica vicenda con le ossessioni della follia del buffone proiettate, enormi, sulle pareti bianche (“uno spazio bianco, mentale non realistico. Un po’ come se ci trovassimo dentro la sua testa” ci racconta il regista) nell’andirivieni di medici e infermieri che all’occorrenza diventano nella mente del protagonista la vil razza dannata dei cortigiani. In un guscio di noce, questa, la lettura di Michieletto del capolavoro verdiano: una lezione di creatività nella quale i movimenti degli interpreti e i tempi sono ben calibrati per la funzionalità narrativa.

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Il regista Damiano Michieletto

In questa originale produzione troviamo tutti i topos di Michieletto, nel senso di anche troppi: la bimba alter ego di Gilda immobile o agita, i coriandolini luccicanti, peluche e giocattoli sovradimensionati, le maschere (indossate dal coro e che riproducono tutte la faccia del duca) sangue ben ostentato. E anche troppo risultano le dimensioni delle immagini (di Rocafilm) proiettate nel corso delle arie di maggior pathos che purtroppo creano controscene che distraggono dal canto.

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Sul podio, Daniele Callegari offre una direzione vigorosa e incalzante, che mai concede al canto la possibilità di indugiare nell’autocompiacimento né ammette colori di pallida melopea e tiene vivo con rispetto e rigore della partitura il dialogo tra palcoscenico e golfo mistico, dove si trova in gran forma l’orchestra del Teatro La Fenice.

Abbiamo assistito alla recita del secondo cast. Nel ruolo eponimo Dalibor Jenis, baritono dalla voce generosa, ricca di colori e mezze voci, che non lascia nulla al caso. La sua recitazione enfatizza il personaggio con prorompente incisività senza tuttavia scivolare in eccessi di facile parodia.

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Marco Ciaponi incarna il duca di Mantova. Dotato di nobiltà d’accento e capacità dinamica nonchè di importante presenza scenica, il tenore evoca magistralmente l’idea del potente che prende senza scrupoli, la forza trascinante e imperiosa del suo desiderio sessuale da colmare così come la magia dell’idillio.

Su tutt’altro livello il giovane soprano Lara Lagni, Gilda, che non ha saputo trasmettere le finezze interpretative insite nella scrittura del suo personaggio. Pur dotata di una voce interessante, manca dell’essenziale atletismo vocale che si esprime attraverso il legato, il fraseggio, la lunghezza dei fiati, le dinamiche e i colori. Grossolana anche l’interpretazione a livello scenico.

Positive le prove di Mattia Denti, Sparafucile; Valeria Girardello, Maddalena; Carlotta Vichi, Giovanna; Gianfranco Montresor, il conte di Monterone; Armando Gabba, Marullo; Marcello Nardi, Matteo Borsa; Matteo Ferrara, il conte di Ceprano; Rosanna Lo Greco, La contessa di Ceprano. Completano il cast Umberto Imbrenda, un usciere di corte e Francesca Poropat, un paggio della duchessa.

Impeccabile il coro istruito dal M° Claudio Marino Moretti.

Perfettamente calibrate sulla regia le scene di Paolo Fantin, i costumi sono di Agostino Cavalca, il disegno luci di Alessandro Carletti.

Applausi e numerose chiamate alla ribalta ad attestare il sincero consenso del pubblico.

Marina Bontempelli




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