Riforma pensioni | A Fornero, Fornero e mezzo
La realtà non si pensiona: dopo i proclami da campagna elettorale, il governo Meloni dichiara guerra alle pensioni anticipate
Nella bozza di legge di bilancio, che va intesa esattamente come tale, cioè in divenire ma con paletti quantitativi, sono presenti numerosi interventi di “aggiustamento” sulle pensioni. A una prima ricognizione, tali interventi rappresentano delle strette spesso importanti, verosimilmente per rispondere alla realtà, che presenta un profilo di spesa pensionistica in ascesa sia a causa dei noti motivi demografici che di sciagurati provvedimenti adottati anni addietro, nel momento di maggiore ubriacatura populista. Vediamo queste ipotesi di intervento sulla materia previdenziale, senza ambizione di esaustività e sapendo che il percorso parlamentare, come il tempo nella canzone di Franco Battiato, “cambia molte cose nella vita”.
OBIETTIVO: BLOCCARE LE PENSIONI ANTICIPATE
Ad esempio, pare arrivi Quota 104. Cioè si andrebbe in pensione anticipata (la vecchia “anzianità”) con 63 anni di età e 41 di contributi. Non è così semplice, né tantomeno indolore. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha di recente ribadito di essere un “offertista”, cioè di puntare a rimuovere i colli di bottiglia sull’offerta di fattori produttivi, lavoro incluso, e la cosa non può che farci piacere.
Al netto dell’esigenza di Giorgetti di spiegare il concetto di offerta ai suoi colleghi di partito (leghista), che sembrano esserne all’oscuro, calato sulla materia pensionistica ciò si tradurrà in un sistema di incentivi e disincentivi. Tra i primi, per coloro che decideranno di proseguire a lavorare pur avendo maturato i requisiti per Quota 104, i contributi a carico del lavoratore finiranno in busta paga, determinando un aumento del netto ma un assegno inferiore in caso avessero proseguito senza agevolazione sino all’età del pensionamento di vecchiaia. Il disincentivo, per chi decidesse di fruire di Quota 104, è il ricalcolo col metodo contributivo dei versamenti previdenziali anteriori al 1996, quindi una sforbiciata all’assegno pensionistico.
Ma non è tutto: per comprimere gli esborsi, il governo mette mano alle cosiddette finestre, i periodi che intercorrono tra la maturazione dei requisiti per la pensione e la decorrenza effettiva del primo rateo previdenziale. L’idea del governo è quella di aumentarle da 3 a 6 mesi per il settore privato e da 6 a 9 nel pubblico.
E, se tutto ciò non dovesse bastare a comprimere le uscite anticipate, l’esecutivo starebbe pensando di alzare la soglia monetaria che consente queste uscite: nell’attuale ordinamento, si può uscire anticipatamente al compimento dei 64 anni, cioè tre prima della vecchiaia, purché l’assegno pensionistico (calcolato col contributivo puro) sia pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, cioè circa 1.400 euro mensili. Il governo Meloni starebbe meditando di alzare la soglia a 3,3 volte, oggi pari a 1.660 euro mensili.
Altra novità potenziale, sempre che la bozza venga confermata: il requisito di pensionamento anticipato dei 42 anni e 10 mesi (per le donne un anno in meno), dovrebbe tornare ad essere adeguato alla speranza di vita dal primo gennaio 2025 e non più dal primo gennaio 2027, come prevedeva il decreto 4 del 2019, quello Lega-M5S su Quota 100. Al momento, la speranza di vita pare aver smesso di crescere e forse si è anche lievemente ridotta, in conseguenza del Covid. Vedremo.
Palese quindi l’esigenza di comprimere gli esborsi contrastando i pensionamenti anticipati. Cioè si va contro tutta la mistica degli ultimi anni di ubriacatura populista, dove “qualcuno” riteneva che la demografia fosse diventata variabile indipendente e residuale. Qui servirebbe una domanda al leader della Lega e a tutto il suo partito: ma la vostra quota 41 anni di contributi, dove è finita? Ma non temete: i nostri eroi hanno negoziato il “taglio” del canone Rai di 20 euro, da mettere a carico della fiscalità generale, cioè di chi ancora paga le tasse in questo paese. Per le pensioni, ripasseranno “in una prospettiva di legislatura”, come si dice.
Restano, poi, contrariamente agli annunci post consiglio dei ministri, Ape sociale e Opzione donna, ma con ulteriori strette per il 2024. Riguardo l’Ape sociale, per disoccupati, persone con invalidità almeno del 74%, lavoratori impegnati in attività gravose e lavoratori che assistono persone con handicap in situazione di gravità si potrà accedere allo strumento con almeno 63 anni e cinque mesi.
Ad opzione donna potranno accedere le lavoratrici disoccupate, caregiver o con invalidità di almeno il 74%, con almeno 35 anni di contributi entro il 2023 purché abbiano compiuto 61 anni, requisito ridotto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due. L’importo della pensione sarà ricalcolato interamente con il metodo contributivo. Resta la finestra mobile di un anno per le dipendenti e 18 mesi per le autonome una volta raggiunti i requisiti per ottenere l’assegno.
Per queste misure, il governo prevede comunque un lieve aumento di spesa nominale ma vedremo i numeri di chi effettivamente riuscirà ad accedere.
LA REALTÀ NON SI PENSIONA
Che dire, quindi? Due cose: in primo luogo, che il governo Meloni pare perseguire effettivamente una disciplina dei conti pubblici a cui pochi sarebbero stati disposti a credere, in campagna elettorale. Del resto, la condizione della nostra finanza pubblica, nell’attuale contesto di stretta monetaria globale, non permette di fare altrimenti, pena crisi dello spread pressoché fulminanti. L’aumento di spesa per interessi è una pistola alla tempia di ogni governo italiano.
Mi sovviene, a questo proposito, un passaggio del punto 10 del programma elettorale di Fratelli d’Italia:
Flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso facilitato alla pensione, favorendo al contempo il ricambio generazionale. Stop all’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Rinnovo della misura “Opzione donna”.
E ricordiamo anche il cardine pensionistico del programma della Lega, anch’esso imperniato sul fallace concetto di “staffetta generazionale”, di cui non si rinviene traccia negli ordinamenti di paesi meno peronisti del nostro:
I lavoratori raggiungono il diritto alla pensione anticipata di anzianità con 41 anni di contributi.
Per fortuna, nella Lega esiste un offertista che siede pro tempore alla scrivania che fu di Quintino Sella.
La seconda considerazione è che la legge Fornero, introdotta per prendere atto della depressione demografica del paese, che nel frattempo si è ulteriormente aggravata, vive e lotta assieme alla realtà, con buona pace di tutti i saltimbanchi affabulatori che da ormai oltre un decennio puntano a seppellirla ma rischiano di esserne politicamente seppelliti. Sempre troppo tardi, temo.
Aggiornamento del 26 ottobre: inizia il balletto delle bozze, quest’anno spinto dai mal di pancia della coalizione. Il tutto a saldi invariati ma nel tentativo di sfuggire alla realtà. “In una prospettiva di legislatura”, l’obiettivo è quello di riportare la frittata allo stato di uova, e dare “un segnale immediato” della direzione di marcia.