Referendum Costituzionale | Altre ragioni per un NO
I motivi per respingere la riforma costituzionale Renzi-Boschi sono molti. Tra questi vi è il fatto che essa dispiegherebbe i suoi effetti in un contesto che dal punto di vista della conformità costituzionale è già fortemente distorto e viziato.
La riforma, ben lungi dal correggere queste storture e questi vizi, che condizionano la democrazia e attribuiscono ai Partiti e ai gruppi di interesse organizzato un potere improprio, li aggrava e li consolida al punto da renderne difficile in futuro la correzione e il superamento.
Non è affatto vero che il cambiamento è sempre positivo: quello proposto sarebbe un cambiamento decisamente negativo. Per i cittadini italiani almeno.
Il giudizio sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi, sulla quale i cittadini italiani dovranno esprimere il loro voto il prossimo 4 dicembre, dovrebbe tenere conto non solo delle modificazioni che essa apporterebbe alla Costituzione formale, quella scritta, se venisse confermata dal referendum, ma anche, e soprattutto, degli effetti che avrebbe la sua interazione sulla cosiddetta "Costituzione materiale", cioè quella effettivamente attuata e praticata. Infatti, valutare la riforma soltanto in relazione alla Costituzione formale potrebbe indurre a gravi errori di giudizio in quanto è noto che in Italia non vi è mai stata la piena e fedele applicazione del dettato costituzionale. Se si limitasse il giudizio soltanto all'ambito teorico, come fanno alcuni costituzionalisti, sfuggirebbero completamente gli effetti reali della sua applicazione.
Come è noto l'architettura istituzionale di base delle moderne democrazie liberali si fonda sulla divisone dei poteri sovrani: Legislativo, Esecutivo, Giudiziario. Poteri indipendenti l'uno dall'altro, che si bilanciano, collaborano, interagiscono secondo modalità stabilite dalla Costituzione in modo che nessuno prevalga sull'altro. Ed essendo sistemi democratici, nei quali sovrano è il Popolo, laddove, come in Italia, non è prevista l'elezione diretta del Capo dello Stato, a rappresentare il Sovrano è il Parlamento.
Per questo compete al Parlamento, in quanto rappresentante del Sovrano, la facoltà di attribuire il potere Esecutivo al Governo, votandogli la sua fiducia, o di revocarglielo successivamente, votando una mozione di sfiducia nei modi e nei tempi previsti dalla Costituzione.
In sintesi, la Costituzione formale italiana stabilisce che il Parlamento investe il Governo del potere Esecutivo con una votazione a maggioranza e che può revocarla con una esplicita mozione di sfiducia.
Vale la pena citare integralmente l'art.94 della Costituzione perché è di esemplare chiarezza.
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Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d'entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.
L'intento dei Costituenti è chiarissimo: una volta ricevuta la fiducia delle due Camere il Governo assume per intero il potere Esecutivo fino al termine del suo mandato, e può essere fatto dimettere anzitempo solo da una esplicita mozione di sfiducia votata dal Parlamento nei modi e nei tempi stabiliti nell'articolo citato.
Per rafforzare il principio dell'indipendenza del potere Esecutivo dal Legislativo, e viceversa, il quarto comma dell'articolo 94 esclude esplicitamente che il voto contrario del Parlamento su una proposta del Governo possa giustificare le dimissioni di quest'ultimo.
Ed è ovvio, e logico, che sia così, perché un conto è che il Parlamento voti contro uno specifico provvedimento del Governo, un altro conto è votare contro il Governo.
Se questo articolo fosse stato pienamente applicato nella forma e nella sostanza non vi sarebbero stati 63 governi in 70 anni di Repubblica, come lamenta Matteo Renzi. Ma questa è la Costituzione formale, la Costituzione materiale è altra cosa.
Nella Costituzione materiale vige il principio (incostituzionale alla luce dell'art.94) che il voto contrario del Parlamento su una proposta del Governo può comportare le dimissioni di quest'ultimo. Dimissioni che possono essere reclamate dai parlamentari che hanno votato contro la proposta oppure date dal Governo, a seconda delle convenienze del momento.
La fonte di questo principio della Costituzione materiale, causa di continua instabilità dei governi, è stato l'inserimento nei regolamenti di Camera e Senato dell'istituto della "Questione di fiducia".
Nei regolamenti parlamentari, prescindendo dal principio costituzionale, le forze politiche hanno stabilito che il Governo può porre la questione di fiducia su una sua proposta di legge.
Grazie a tale artificio è stato aggirato l'art.94 della Costituzione: il Governo può ricattare il Parlamento minacciando le sue dimissioni, il possibile scioglimento delle Camere, il ricorso a nuove elezioni, in caso di voto contrario. In tale evenienza, naturalmente, i parlamentari che avessero votato contro la fiducia posta dal Governo dovrebbero mettere in conto di essere esclusi dalle liste elettorali. Dal canto loro le forze di opposizione in Parlamento possono reclamare le dimissioni del Governo nel caso in cui riescano ad ottenere che la maggioranza voti contro la proposta governativa. E' del tutto evidente che nel caso di maggioranze formate da coalizioni composite e poco solide l'istituto della questione di fiducia metta in mano alle componenti minoritarie una formidabile arma di ricatto politico: facendo venire meno la maggioranza su un provvedimento governativo sul quale è stata posta la fiducia possono far cadere il Governo e provocare nuove elezioni. Cosa avvenuta effettivamente piuttosto spesso in passato.
Dall'istituto della questione di fiducia, inserito nei regolamenti parlamentari ma escluso dalla Costituzione, deriva un principio secondario, anch'esso incostituzionale e fonte di instabilità politica: il Governo deve avere la fiducia del Parlamento costantemente nel tempo.
Per la Costituzione formale, invece, il Governo deve avere la fiducia delle due Camere una e una sola volta all'atto dell'investitura come Esecutivo. Se fosse applicato questo principio il voto di fiducia al Governo sarebbe assimilabile, dal punto di vista funzionale e per la durata in carica, alla elezione diretta del Primo Ministro da parte del corpo elettorale. Con la differenza che nel sistema parlamentare l'elezione è indiretta: votano i rappresentanti dei cittadini.
Questo stato di cose, questa "Costituzione materiale", oltre alla elevata instabilità dei Governi implica effetti distorcenti anche su altri aspetti fondamentali dell'assetto istituzionale del Paese.
Il primo, e forse il più grave, è la sovrapposizione del potere Esecutivo sul Legislativo. E' un fatto acclarato che negli ultimi 20-30 anni il Governo ha assunto quasi interamente la funzione legislativa. Dalle statistiche ufficiali risulta che dei provvedimenti discussi e votati in Parlamento la stragrande maggioranza sono elaborati e proposti dal Governo, non hanno origine parlamentare: l'esercizio del Potere Legislativo, di fatto, è stato avocato dal Governo e sottratto ai rappresentanti del Popolo. E il Governo, solitamente e salvo interludi "tecnici", è espresso dalle forze politiche di maggioranza, cioè dai Partiti. In sostanza i poteri Esecutivo e Legislativo vanno a concentrarsi nelle mani dei capi dei partiti di maggioranza. Caso esemplare di questo stato di fatto è Matteo Renzi: al tempo stesso Presidente del Consiglio e capo del partito di maggioranza relativa. Contraddicendo platealmente e con i fatti le sue stesse affermazioni sulla presunta inefficiente lentezza del processo legislativo e sulla "ingovernabiità" del Paese, ha ottenuto che in alcuni mesi venisse discussa (con l'esercizio della questione di fiducia e della disciplina di partito "discussa" è solo un modo di dire) e approvata una riforma costituzionale che rivoluziona profondamente le istituzioni italiane. Ed è solo a causa di divergenze tra i capi partito dei due schieramenti principali, che non ha permesso di raggiugere una maggioranza dei due terzi nella votazione per la riforma costituzionale, che i cittadini italiani sono chiamati al referendum. Altrimenti la modifica della Costituzione sarebbe già stata promulgata.
A loro volta i parlamentari, che secondo la Costituzione dovrebbero essere liberi dal vincolo di mandato, cioé liberi da qualsiasi condizionamento che non derivi dalla loro coscienza, sono invece irregimentati dalla disciplina di partito.
Questo è un punto di fondamentale importanza. I Costituenti hanno voluto garantire la piena libertà dei rappresentanti del Popolo, anche al prezzo di svincolarli dall'obbligo morale e politico della coerenza con gli impegni presi con i cittadini che li hanno eletti, purché non fossero posti sotto tutela da poteri esterni al Parlamento. Quali sono, tra gli altri, i partiti politici e i gruppi di interesse organizzato.
La riforma Renzi-Boschi, lungi dal porre rimedio a queste storture che viziano l'architettura istituzionale del Paese e che assegnano ai Partiti politici un potere al quale non hanno alcun diritto, tende a rafforzarle.
La trasformazione del Senato da camera elettiva su base regionale, come stabilito dalla Costituzione, a camera in cui siedono rappresentanti designati dalle Regioni e dalle Province Autonome, ha comportato l'eliminazione di un problema di "governabilità", come si suol dire, dal momento che storicamente le maggioranze che si formano in Senato sono diverse e meno controllabili dai partiti rispetto a quelle originate dalle elezioni a livello nazionale.
Le motivazioni addotte per la trasformazione del Senato dunque: risparmio dei costi e snellimento dell'iter legislativo, alla luce di quanto detto sopra appaiono del tutto pretestuose. Considerata l'esiguità dei risparmi ottenuti; la riduzione dei rappresentanti eletti dal Popolo, che è comunque un costo in termini di democrazia; il fatto che, contrariamente a quanto asserito, la produzione legislativa in Italia, ben lungi dall'essere scarsa e lenta è invece sovrabbondante e rapida quando è il caso; ciò che si voleva ottenere era la eliminazione di un ostacolo al pieno controllo delle liste elettorali da parte dei Partiti.
A dimostrazione di questo basti considerare la legge elettorale varata parallelamente alla riforma costituzionale. Una legge elettorale, il cosiddetto Italicum, che tra liste bloccate, sbarramenti, premi di maggioranza, si propone di rendere "governabile" il Paese a tutto scapito della coerenza della rappresentanza parlamentare col corpo elettorale; della libertà dal vincolo di mandato dei parlamentari; della separazione dei poteri; della indipendenza delle Istituzioni da lobby e Partiti.
Senza nemmeno approfondire le anomalie, le illogicità, le contraddizioni insite nella riforma costituzionale Renzi-Boschi, che pure esistono e sono state denunciate da illustri costituzionalisti, il solo raffigurare gli effetti della suddetta riforma nel contesto reale in cui verrebbe implementata è sufficiente per definirla come una pessima riforma, da respingere con un convinto e deciso NO.